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Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 01/08/2022, a pag. 11, con il titolo "Vadatursky il 'duro', colpito per aver rifiutato di collaborare con i russi", l'analisi di Federico Fubini. Federico Fubini Oleksiy Vadatursky Oleksiy Vadatursky è morto perché aveva detto di no. È stato eliminato dai russi in una classica esecuzione mafiosa e il messaggio del suo annientamento è rivolto a tanti altri in Ucraina: è un avvertimento a chiunque potrebbe ricevere le stesse richieste o le ha già avute. A Vadatursky gli emissari del Cremlino avevano proposto di trasformarsi in un collaboratore occulto della Russia, secondo alcuni protagonisti della vita politica di Kiev che hanno avuto frequenti contatti con lui e i suoi uomini. Il Cremlino aveva sperato di usare l’influenza di Vadatursky quale maggiore imprenditore agricolo e padrone della logistica in Ucraina per accelerare la sottomissione di tutta la striscia del Sud da Kherson, a Mykolaiv, fino ad Odessa e per paralizzare le vie di trasporto del Paese. In cambio, a lui era promessa la tutela del suo patrimonio da poco meno di mezzo miliardo di dollari e la sua posizione al cuore dell’industria agricola e del trasporto navale nel Paese. Vadatursky non era un uomo di ampie vedute: fino al 1991 dirigente di un conglomerato sovietico, proprietario di porti sul Mar Nero e di una capacità di stoccaggio di grano per 2,5 milioni di tonnellate a Odessa, Kherson e Zaporizhzha, l’imprenditore era soprattutto il monopolista del trasporto via fiume in Ucraina. Era un uomo duro, forse anche ottuso. Aveva resistito ferocemente alla liberalizzazione del trasporto via nave nel suo Paese, prima piazzando il figlio Andryi in parlamento e in questi mesi manovrando il partito dell’ex premier Yulia Tymoshenko. A maggior ragione non intendeva rinunciare al suo monopolio sulle acque dolci, perché il blocco dei porti oggi rende prezioso l’accesso da Kiev al Mar Nero attraverso la foce dello Dnepr: il grande fiume diventa l’arteria vitale di una nazione sotto assedio. Non era un uomo aperto Vadatursky, ma era un patriota. Dall’inizio della guerra finanziava l’esercito ucraino. La sua fortuna gli avrebbe permesso di rifugiarsi a Londra come altri oligarchi, invece aveva scelto di restare a Mykolaiv: non lontano da dove era nato in un kolchoz sovietico 74 anni fa e soprattutto pericolosamente vicino alla linea del fronte. Già quella scelta era una dichiarazione: non aveva intenzione di piegarsi. Per il Cremlino, avere Vadatursky quale complice sarebbe stato un trofeo più importante della conquista di una città del Donbass. Avrebbe significato poter strangolare le comunicazioni interne dell’Ucraina e controllare una capacità di esportazione di grano in Europa, Africa e Medio Oriente da ottanta navi e 4,5 milioni di tonnellate all’anno. Fare di Vadatursky un collaborazionista avrebbe concentrato in mani russe una quota crescente dell’offerta di cereali sui mercati globali, con il potere politico che essa conferisce. Ma l’imprenditore aveva respinto le pressioni. Era un oligarca, non un uomo dai metodi impeccabili, ma non intendeva lasciarsi corrompere a spese della libertà del suo Paese. È sicuramente il suo rifiuto a essergli costato la vita. I missili hanno puntato la stanza da letto della sua villa con una tale violenza e precisione che di Oleksiy Vadatursky ora non resta neanche un cadavere che possa essere raccolto in un feretro, per l’ultimo omaggio a un uomo d’acciaio anche nell’onore.
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