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| L'America deve rimanere un leader nella lotta contro l'antisemitismo  Analisi di Ben Cohen  (traduzione di Yehudit Weisz)  Hannah Rosenthal In  una famosa intervista rilasciata nell'ottobre del 2012  all'Agenzia  Telegrafica Ebraica, Hannah Rosenthal, nel suo ultimo giorno come  Inviato Speciale del Dipartimento di Stato Americano per il Monitoraggio  e la lotta contro l'Antisemitismo, aveva concluso dicendo che “ce ne  sarà sempre bisogno” facendo riferimento all'incarico che aveva  ricoperto per tre anni. Eppure l’assegnazione di quel posto non si è  rivelata facile. Dopo che la vice di Rosenthal, Ira Forman, aveva  lasciato l'incarico nel gennaio del 2017, l'amministrazione del  Presidente in carica Donald Trump ha impiegato fino all'inizio del 2019  prima di annunciare la nomina a quel ruolo di Elan Carr, un veterano  militare statunitense. Nel frattempo, il Primo Segretario di Stato di  Trump, Rex Tillerson, aveva persino prospettato l’eventualità di abolire  l'incarico ma l’opposizione dei leader ebrei e di altri gli fecero  cambiare idea. Intanto, da quando il Presidente Joe Biden è entrato in  carica nel gennaio del 2021, il posto è rimasto vacante.  Deborah Lipstadt Sebbene  lo scorso luglio,  Biden abbia nominato a quel ruolo Deborah Lipstadt,  la famosa storica della Shoah e docente dell’Università di Emory  (Atalanta, Georgia), le obiezioni repubblicane a quelli che loro  considerano degli evidenti pregiudizi politici da parte della Lipstadt,  le hanno impedito di essere confermata. Tornerò a tempo debito sulla  controversia su Lipstadt, ma prima è necessario rivedere brevemente  perché esiste la carica di inviato speciale e come i vari titolari della  carica hanno inteso il loro mandato. Quando nel 2006, l'amministrazione  di George W. Bush aveva creato quella carica, l'antisemitismo globale  stava raggiungendo nuovi picchi storici. Solo pochi mesi prima della  nomina dell'inviato speciale Gregg Rickman, la violenza antisemita che  affliggeva le comunità ebraiche europee aveva preso una piega  agghiacciante culminata con il rapimento, la tortura e l'omicidio di  Ilan Halimi, un giovane ebreo francese preso in ostaggio da una banda di  delinquenti di Parigi che lo hanno rapito per la convinzione errata  che, poiché tutti gli ebrei sono ricchi, la famiglia di Halimi sarebbe  stata disposta a pagare un ingente riscatto per assicurarsi la sua  libertà. Dopo aver sopportato per tre settimane botte bestiali e  bruciature di sigaretta, mentre lui era incatenato a un termosifone,  Halimi è stato poi scaricato dalla banda sul ciglio della strada e  lasciato morire. Morì poco dopo essere stato trovato, e il suo caso  divenne un doloroso simbolo della nuova realtà europea per gli ebrei.  “Più di sei decenni dopo la Shoah l’antisemitismo non è solo un fatto  storico, purtroppo”, aveva dichiarato l'allora Segretario di Stato  Condoleezza Rice alla cerimonia del maggio del 2006 in cui Rickman  prestò giuramento. “È un evento di attualità.”  Sedici anni dopo,  l'antisemitismo rimane sia una notizia di attualità che di portata  globale, manifestandosi in una vertiginosa serie di situazioni e di  drammi, originati sia da destra che da sinistra. Poiché l'antisemitismo è  un fenomeno dalla testa di Idra, non sorprende che ogni inviato  speciale abbia portato nel suo ruolo le proprie preoccupazioni  particolari, riflettendo anche le priorità politiche  dell'amministrazione che lui serviva. Rickman, nominato da Bush, è stato  schietto sull'antisemitismo dell’islam e del regime iraniano; Rosenthal  e Forman (e l'inviato ad interim Michael Kozak), nominati dal  Presidente Barack Obama, hanno sottolineato la lotta contro  l'antisemitismo come parte di un più ampio programma di tolleranza;  mentre Carr, nominato da Trump, ha evidenziato la minaccia rappresentata  dal movimento BDS di sottoporre lo Stato di Israele a un boicottaggio  globale.  I loro contributi nella posizione  di inviato speciale non sono riducibili a queste specifiche  problematiche, è  ovvio, ma vanno notati i sottili cambiamenti di enfasi  che si sono  succeduti con ogni inviato. Con tutto questo ben chiaro in  mente , sorge la domanda su quali attenzioni particolari Lipstadt si  concentrerebbe, ammesso che sia approvata. Questo mese sono già state  rinviate due votazioni sulla sua conferma alla commissione per le  relazioni estere, la prima a causa delle obiezioni nei confronti della  Lipstadt da parte del senatore Ron Johnson (R-Wis.), che lei ha accusato  di avere “simpatie per i nazionalisti bianchi” in un tweet che in  seguito ha cancellato e di cui poi si è scusata, la seconda perché il  senatore Bob Menendez (DNJ) ha ritenuto che fosse necessario un altro  rinvio a causa della scarsa partecipazione in seno alla commissione  riunitasi il 23 marzo. Supponendo che sia confermata, Lipstadt dovrà  dimostrare immediatamente di essere al di sopra dei mormorii di parte  che hanno tormentato la procedura della sua nomina. Lei stessa ama dire,  correttamente, che l'antisemitismo è una caratteristica sia della  sinistra che della destra; quell'osservazione dovrebbe essere centrale  se dovesse trasformarsi in un diplomatico americano.  In effetti, vale la pena sottolineare che, poiché l’incarico  dell'inviato è quello di un diplomatico, il titolare non ha alcun  mandato per affrontare l'antisemitismo interno; il suo obiettivo è  rivolto nei confronti dell’odio contro gli ebrei al di fuori dei nostri  confini. Per quanto riguarda i Paesi e gli argomenti, Lipstadt avrà  molto da fare. Nell’Europa occidentale, si dovrà occupare dei livelli  crescenti di violenza antisemita nei confronti degli ebrei;  dell'influenza antisionista nei parlamenti, nelle università e in altri  luoghi chiave di condizionamento; e di un crescente interesse per le  teorie del complotto mirate centro gli ebrei, come evidenziato durante  la pandemia di COVID-19. Nell'Europa orientale, si occuperà degli abusi e  delle distorsioni della Shoah da parte dei politici nazionalisti,  nonché delle ricadute ideologiche della sedicente “de-nazificazione”  dell'Ucraina operata dal Presidente russo Vladimir Putin.  Più lontano, in Medio Oriente, c'è la continua dedizione del regime  iraniano alla distruzione di Israele e il continuo sostegno del Qatar  alle organizzazioni terroristiche che si aggrappano a ideologie  antisemite, come Hamas. Nel continente africano, politici e influencer  di spicco in Sud Africa, tra cui il nipote di Nelson Mandela, promuovono  la diffamazione secondo cui Israele è una reincarnazione del governo  dell'apartheid e che solo il potere finanziario e politico smisurato  degli ebrei impedisce ai governi occidentali di sostenere i palestinesi.           E quell'elenco è non è certo completo. Il continuo blocco  della conferma di Lipstadt sta ostacolando un'efficace risposta degli  Stati Uniti a queste sfide. Non c'è dubbio che sia assolutamente  qualificata per il ruolo, sia per il suo lavoro di accademica che per il  suo status di donna che, nel 2000, ha dato una sonora sconfitta al  negazionista dell'Olocausto più famoso del mondo, David Irving, che  aveva intentato contro di lei una causa per diffamazione presso l'Alta  Corte di giustizia britannica. È vero, non tutti i suoi giudizi sono  validi. Il suo libro del 2019, Antisemitism: Here and Now , ha tracciato  un'assurda equivalenza tra Trump e Jeremy Corbyn, l'ex leader del  Partito laburista britannico il cui mandato è giunto a una fine  vergognosa tra una massa di prove inconfutabili dell'antisemitismo  all'interno del partito che lui e altri irriducibili sostenitori della  causa palestinese hanno scatenato. Si può disprezzare la retorica spesso  bigotta di Trump nella sua terminologia, ma c'è poca attenzione  analitica nel confrontare le sue esplosioni rozze e impulsive con la  strategia di Corbyn di promuovere l'antisemitismo a sinistra, camuffato  da sostegno ai diritti dei palestinesi. Niente di tutto ciò dovrebbe  distrarre dall'urgenza della nomina dell'inviato speciale. Sicuramente,  gli Stati Uniti hanno aperto la strada alla nomina di funzionari  governativi per combattere in modo specifico l'antisemitismo, un  approccio successivamente adottato in Germania, Regno Unito e altri  Paesi. Su questo tema, come su tanti altri, l'America deve continuare a  fare da leader, piuttosto che restare indietro.  Ben Cohen, esperto di antisemitismo, scrive sul Jewish News Syndicate | 
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