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Gigetto francese 
Commento di Diego Gabutti Luigi Di Maio Fosse  francese, Gigetto di Maio voterebbe Macron. Così ha dichiarato il  nostro fenomeno in gessato blu al Festival dell’ottimismo di Firenze,  un’iniziativa del Foglio. È lo stesso Di Maio che, prima d’approdare al  ministero degli esteri, ai tempi gialloverdi del Conte 1, era volato in  Francia per portare la sua solidarietà ai «gilet jaunes», che stavano  mettendo il paese a ferro e fuoco, e che Macron lo volevano impiccare  (be’, non tutti i «gilet jaunes», solo i meno scalmanati tra loro). Ne  era seguita una mezza crisi diplomatica. Macron aveva preteso le scuse  del governo italiano e, più educato di quanto le mezze pippe gialloverdi  potessero mai essere, le aveva persino accettate fingendo di prenderle  sul serio. Direte: l’attuale inquilino della Farnesina ha cambiato idea. Capita,  anzi «ci sta»», come si dice oggi nel gergo degli apericena. In fondo,  il trasformismo ha una sua nobiltà: un giorno marci a petto nudo  intonando il Ça Ira e il giorno dopo, sotto una cascata di riccioli  biondi, con la bocca a cuoricino, intoni un roco «happy birthday,  monsieur le president / happy birthday to you», come Marylin al  compleanno di JFK. Nell’ormai ultracentenaria storia d’Italia ci sono  stati fior di trasformisti (nessuno sexy come Marilyn, però ci sono  stati, e quanti). Si può dire, anzi, che il trasformismo, senza  esagerare, sia la sostanza stessa della politica, non soltanto italiana.  Giusto i fascistoni tipo Vogliamo i colonnelli (il film di Mario  Monicelli, anno 1973) sono «sempre di quell’idea». Tutti gli altri  passano con eleganza e danzando sulle punte dal clericalismo al  liberalismo, dalla rivoluzione alle riforme, dall’autarchia  all’europeismo, dal leghismo separatista al salvinismo  nazionalsovranista.  
Ma Gigetto Di Maio e i  trasformisti pentastellari suoi frères e semblables sono di un’altra  specie. Gli unici, in Italia e forse nel mondo, a cambiare idea senza  avere un’idea da cambiare né un’idea da abbracciare. Un comunista ha  qualcosa da abiurare: Stalin, il Gulag, quella boiata pazzesca della Corrazzata Potemkin.  Un monarchico può diventare repubblicano e un bacchettone rassegnarsi  alle ballerine scosciate di Mediaset e al divorzio. Ma Di Maio e i suoi a  cosa dovrebbero rinunciare e a cosa convertirsi? Ai banchi senza  rotelle? Invece del «vaffa» il baciamano? Politici a una dimensione,  invisibili di profilo e poco attraenti visti di fronte, Di Maio e i suoi  sono portati dall’onda, come le sacchette di plastica e i torsi di  cavolo che la risacca, in questi tempi d’inquinamento, scarica sulle  nostre spiaggie, dove i vacanzieri si svenano per pagarsi l’ombrellone.  
Diego Gabutti  | 
  
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