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Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 27/07/2021, a pag.17, con il titolo "La Tunisia nel baratro. Sospeso il Parlamento. L’opposizione: è golpe", l'analisi di Giampaolo Cadalanu.
Giampaolo Cadalanu Proteste in Tunisia Da una parte resta il sogno della rivoluzione, dopo la dittatura. Dall’altra c’è una strada già percorsa, quella che potrebbe trasformare la fragile democrazia tunisina in un nuovo Egitto, con le Forze armate a gestire la repressione. È rischioso il percorso avviato nella serata di domenica dal presidente Kais Saied con il "congelamento" della Camera e lo scioglimento forzato del governo. Il partito islamico Ennahda grida al golpe, chiama i suoi sostenitori a scendere in piazza e contesta il blocco dei lavori parlamentari. Il capo dello Stato ha invocato l’articolo 80 della Costituzione, che gli permette di prendere le misure necessarie se le istituzioni, la sicurezza e l’indipendenza nazionale sono di fronte a un pericolo imminente. Come la regola impone, ha fermato i lavori del Parlamento, ma non lo ha dissolto. La norma però richiedeva anche le consultazioni con il premier, con il presidente dell’Assemblea e con la Corte costituzionale. Ma il primo, Hichem Mechichi, protagonista di un braccio di ferro istituzionale dopo una proposta di rimpasto non accettata dalla presidenza, è stato silurato e diverse voci lo danno agli arresti. Il secondo, Rachid Ghannouchi, leader del partito islamico, dice che Saied non l’ha interpellato e anzi chiede alla popolazione di ribellarsi al "colpo di Stato". La terza, infine, che dovrebbe dirimere le controversie, non si è mai insediata, a sette anni dal varo della Carta fondamentale, per i dissidi sulla scelta dei giudici. La decisione di usare il pugno di ferro affidando alle Forze armate il compito di bloccare l’Assemblea dei rappresentanti e — secondo la stampa locale — di fermare anche ogni tentativo di espatrio da parte di un folto gruppo di parlamentari è una scelta radicale. Il primo risultato è una spaccatura profonda nel Paese, fra i partiti e nella popolazione. Per ora le Forze armate hanno tenuto sotto controllo le prime scaramucce con insulti fra militanti di diversi schieramenti. Ma la rabbia espressa nelle manifestazioni dei giorni scorsi, e culminata con l’assalto alle sedi del partito islamico, non è sopita. Nasce dalla delusione dei giovani, abbagliati dall’idea di un nuovo inizio dopo la partenza di Ben Ali, e disillusi da una realtà economica disastrosa.
Non è nemmeno sicuro che il coprifuoco dalle 19 alle 6 annunciato ieri sera assieme al divieto di assembramenti sia una misura sufficiente per smorzare la collera delle piazze. La spinta finale è arrivata con la pandemia: la diffusione dei contagi non ha solo messo all’angolo le strutture sanitarie del Paese — con il 90 per cento dei posti nei reparti di terapia intensiva già occupati e appena sette tunisini su cento vaccinati — ma ha anche dato una mazzata formidabile all’industria turistica, settore molto importante soprattutto per l’occupazione giovanile. Ed è facile prevedere che nemmeno un controllo più ferreo dell’apparato statale, con l’agognata stretta sulla corruzione che i tunisini chiedono a Saied, potrà fare il miracolo di rilanciare l’economia. Un po’ di fiato potrebbe arrivare dal Fondo Monetario Internazionale, che in queste ore ha preso l’impegno di continuare a sostenere la Tunisia «di fronte a pressioni socio- economiche eccezionali», perché avvii una maggiore ripresa, «più inclusiva» e con la creazione di posti di lavoro. Per Saied è un segno positivo, come la presa di posizione dei sindacati: la federazione Ugtt, a suo tempo parte del quartetto premiato con il Nobel, è scesa in campo a sostenere la conformità delle scelte presidenziali alla Costituzione. «È ora che i partiti responsabili del degrado si assumano le proprie responsabilità », dichiarano i sindacati, sottolineando che l’obiettivo è sempre quello di seguire il processo democratico e ristabilire la stabilità del Paese. Queste stesse preoccupazioni sono espresse anche dalla comunità internazionale, che ha accolto con estrema prudenza gli avvenimenti di Tunisi. Dall’Unione europea alla Casa Bianca, ai Paesi del Golfo, il richiamo è sempre lo stesso: rispettare la democrazia, evitare le violenze. Unica voce dissonante, quella in arrivo da Istanbul. Il partito di Recep Tayyip Erdogan, da sempre alleato di Ennahda, ha condannato quello che ha definito "il golpe di Saied".
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