Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 06/02/2021, a pag.17 con il titolo "Processo alla Storia, in Polonia va alla sbarra la memoria della Shoah" l'analisi di Wlodek Goldkorn.
Wlodek Goldkorn
Sarà, verosimilmente il 9 febbraio, il Tribunale distrettuale di Varsavia a decidere il futuro delle ricerche indipendenti sulla Shoah in Polonia. In quella data i giudici dovrebbero emettere il verdetto nel processo per diffamazione contro due fra i più importanti studiosi della materia, Barbara Engelking e Jan Grabowski. Engelking dirige il Centro di ricerche sullo sterminio degli ebrei, presso l’Accademia della scienze polacche ed è coautrice del libro "Il ghetto di Varsavia, guida alla città scomparsa", un gigantesco e meticoloso lavoro storico su quel ghetto. Grabowski, laureato del Yad Vashem International Book Prize nel 2014, insegna attualmente a Ottawa ed è figlio di un sopravvissuto all’Olocausto e di una madre cattolica. I due sono i curatori del libro di circa 1.700 pagine "Dalej jest noc" (La notte non è finita), un’indagine sulla sorte degli ebrei in nove province della Polonia occupata dai nazisti, pubblicato nel 2018. Al centro dell’interesse degli autori di quel lavoro erano le strategie di sopravvivenza degli ebrei appunto a quei tempi. Dal racconto sono emersi e sono stati documentati, oltre ai non pochi casi di solidarietà e aiuto, numerosi episodi di denunce e complicità dei polacchi nella persecuzione e uccisione dei loro vicini di casa. Il tema non è nuovo. Fin dalla caduta del comunismo e l’instaurazione della democrazia, la ricerca sulle pagine oscure della storia patria, in primo luogo dell’antisemitismo in tutti i suoi aspetti, è al centro della discussione pubblica in Polonia. Quando spira il vento di libertà, si cerca di rendere l’aria pulita. Succede in tutto il mondo. Il governo nazionalista al potere ha invece più volte tentato di ostacolare questo dibattito, per esempio con una legge che avrebbe dovuto punire coloro che «diffamano la nazione». Quella legge non è mai stata applicata, per le proteste degli storici e dell’opinione pubblica. L’idea però che i polacchi fossero scevri da ogni responsabilità per le sorti degli ebrei continua a pervadere la propaganda del regime. Per i populisti è fondamentale il mito di una nazione innocente. Così nel mirino sono finiti gli storici che non sono d’accordo. Fra quelli Grabowski ed Engelking, appunto. Nel libro che hanno curato, fra i numerosi episodi citati, c’è la vicenda del sindaco di un paesino non lontano di Bialystok che sarebbe stato corresponsabile della morte di diciotto ebrei.
La nipote ha ritenuto che l’onore di famiglia ne sarebbe stato danneggiato e, spalleggiata da un’organizzazione di destra "Ridotta di difesa del buon nome" (così, alla lettera, si chiama l’associazione), ha portato i due storici in Tribunale. A protestare, contro quello che viene considerato un attentato alla libertà di ricerca sono ora, fra gli altri: Yad Vashem, il memoriale della Shoah di Gerusalemme, la direzione del Museo della Storia degli ebrei in Polonia, l’Istituto di storia ebraica di Varsavia (la cui direttrice non si è mai distinta per le critiche al governo), il parigino Memoriale della Shoah e via elencando. Ma cosa è successo in quel luogo? Il racconto degli storici si basa sulla testimonianza di una sopravvissuta, Estera Siemiatycka. La donna è stata salvata davvero dal sindaco, quando riuscì a scappare da una retata di ebrei, nella vicina foresta. Ai tempi, nei boschi da quelle parti di bande di ebrei (alcune di partigiani armati) ce n’erano tante. Per lo più, finirono male. Dopo la guerra, il sindaco venne processato per la vicenda di altri ebrei, uccisi invece, nella foresta. Siemiatycka, allora, testimoniò a suo favore e così gli salvò la vita. Però, negli anni Novanta, rese un’altra testimonianza, questa volta alla Fondazione Spielberg della Shoah, con un’altra versione dei fatti, opposta a quella precedente (nel frattempo non è più fra i vivi). E su quella versione si basa il racconto della storica Engelking. Ma può la verità giudiziaria del 1950 impedire nel 2021 la ricerca di una verità storica? Gli studiosi del mondo intero pensano di no. E sono convinti che questa storia è solo un pretesto per intimidire chi cerca verità scomode.
Per inviare a Repubblica la propria opinione, telefonare: 06/49821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante