Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 10/05/2020, a pag.32, con il titolo "Nel rogo dei libri brucia ancora la nostra libertà" l'articolo di Umberto Gentiloni.
Umberto Gentiloni
Un rogo di libri nella Germania del 1933
Il libro bene primario da difendere e tutelare nei tempi difficili della pandemia. Quando alla metà di aprile il Decreto del presidente del consiglio dei ministri ha consentito alla riapertura delle librerie quel bene ha ripreso una sua antica e sofferta centralità: i volumi come pane dell’anima, preziosi compagni di strada per sentieri incerti. Come i prodotti alimentari, i farmaci, la benzina o le sigarette. Librerie presidi di libertà, isole minacciate dalla crisi economica e dall’impatto della rivoluzione digitale. Un tema che ha fatto discutere e pensare. Quale il posto del libro e della lettura nella quotidianità minacciata dal virus e dai morsi della crisi? Quali risultati delle indicazioni di insegnanti rivolte ad alunni nativi digitali? Come non pensare all’attacco dei poteri criminali contro le librerie in periferie considerate terra di conquista. Uno spazio del libero pensiero e della socialità può persino far paura a chi cerca luoghi di spaccio sottoposti all’unico controllo della violenza del branco. Il ritorno del libro e della lettura può essere un piccolo grande gesto di libertà e partecipazione, un’attenzione non scontata verso pagine di passato, memorie preziose per autori e storie, richiami di comunità da non smarrire nelle incertezze del presente. Colpire i libri significa distruggere tradizioni e culture: è una storia di oltre tremila anni piena di esempi e riferimenti: dal saccheggio della biblioteca di Tebe nel 1358 avanti Cristo all’incendio del 1992 nella collezione di Sarajevo simbolo del carattere multiculturale della città, dalle ripetute distruzioni della biblioteca di Alessandria alla demolizione sistematica di quella di Bagdad nel 2003 (Lucien X Polostron, Livres en feu. Histoire de la destruction sans fin des bibliothèques , 2004). Lo sguardo sul secolo scorso porta alla notte del 10 maggio 1933. Il rogo dei libri diventa una scelta precisa nella politica che il nazismo aveva inaugurato all’inizio dell’anno, quando Hitler era diventato cancelliere. L’attacco ai volumi assume una dimensione pubblica coinvolgendo studenti e professori che si muovono con una strategia comune: cercare opere di autori non compatibili con l’ideologia del regime in ascesa. E così gli oltre 20 mila libri bruciati nella piazza del Teatro dell’Opera di Berlino (oggi Bebelplatz) vengono considerati pericolosi e contrari allo spirito nuovo dell’uomo nazista. Finiscono così tra le fiamme pagine di Karl Marx, Bertolt Brecht, Thomas Mann, Joseph Roth, Theodor W. Adorno, Walter Benjamin, Herbert Marcuse, Ludwig Wittgenstein, Hannah Arendt, Edith Stein, Max Weber, Erich Fromm, l’architetto Walter Gropius, i pittori Paul Klee, Wassili Kandinsky e Piet Mondrian, gli scienziati Albert Einstein e Sigmund Freud, i registi Fritz Lang e Franz Murnau. Poeti, filosofi, romanzieri: uno spaccato significativo del pensiero europeo da sopprimere, cancellare attraverso la forza rigenerante del fuoco sacro che avrebbe favorito la nascita di una nuova autentica cultura. Ecco il punto cruciale: una cultura ufficiale, riconosciuta e riconoscibile non ammette deroghe o eccezioni, non prevede confronto tra idee e identità, tra giudizi e interpretazioni. Il libro va distrutto in quanto alter ego dell’uomo, segno di una dialettica perversa. I nemici secondo l’organizzazione studentesca che promuove l’iniziativa sono gli autori per le loro pagine invise al regime: gli oppositori politici socialisti e bolscevichi, gli stranieri che minano la compattezza della nazione tedesca (Hemingway, London sono per citarne alcuni casi) e la lunga mano della corruzione giudaica che inquina la letteratura e la stessa identità di un popolo. Distruggere per rigenerare, bruciare libri per conquistare l’essenza della cultura nazista, il suo messaggio universale, razionale e ordinato. Le parole che il ministro della propaganda Joseph Goebbels pronuncia nel giorno del rogo di Berlino saranno di esempio per altri roghi, in oltre trenta città della Germania: «Studenti, uomini e donne tedesche, l’era dell’esagerato intellettualismo ebraico è giunto alla fine. Il trionfo della rivoluzione tedesca ha chiarito quale sia la strada della Germania e il futuro uomo tedesco non sarà un uomo di libri, ma piuttosto un uomo di carattere ed è in tale prospettiva e con tale scopo che vogliamo educarvi. Vogliamo educare i giovani ad avere il coraggio di guardare direttamente gli occhi impietosi della vita. Vogliamo educare i giovani a ripudiare la paura della morte allo scopo di condurli a rispettare la morte. Questa è la missione del giovane e pertanto fate bene, in quest’ora solenne, a gettare nelle fiamme la spazzatura intellettuale del passato. È un’impresa forte, grande e simbolica, un’impresa che proverà al mondo intero che dalle loro rovine sorgerà vittorioso il padrone di un nuovo spirito». Una strada per eliminare con le fiamme le tracce maligne del passato rappresentate da un’arte depravata fattore disgregante e invasivo dell’anima tedesca. Colpire le avanguardie artistiche, i valori e il clima della repubblica di Weimer: tolleranza, liberalismo, cosmopolitismo. Una svolta per accendere energie e consensi: conquistare la cultura come ingrediente costitutivo di supremazia della razza ariana. Se i libri diventano ostacoli problematici di una rivoluzione inarrestabile meglio distruggerli sostituendoli con una nuova ideologia. Per fortuna quei libri non possono essere eliminati, le parole e le idee hanno proseguito il loro cammino incontrando nuove generazioni di tedeschi e di europei. Brecht dedicherà una celebre poesia al rogo immaginandosi un poeta risparmiato dalla foga distruttrice, «sgomento che i suoi libri erano stati dimenticati. Corse al suo scrittoio, alato d’ira, e scrisse ai potenti una lettera. Bruciatemi! Non lasciatemi fuori! Che forse la verità non l’ho sempre nei libri miei dichiarata? E ora voi mi trattate come fossi un mentitore! Vi comando: bruciatemi!». E tra i libri ridotti in cenere nelle fiamme di quella notte lontana le opere di Heirich Heine che aveva scritto con terribile lungimiranza: «Dove si bruciano i libri, si finisce per bruciare anche le persone».
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