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La moglie del rabbino Con i romanzi dei fratelli Singer, Isaac Bashevis, premio Nobel per la letteratura nel 1978, di Israel Joshua e della meno nota sorella Esther Kreitman, il grande pubblico ha imparato a conoscere e apprezzare il mondo dell’ebraismo chassidico polacco considerato come un momento di svolta nello sviluppo della letteratura in yiddish e in ebraico. L’universo ebraico ortodosso lituano invece, propugnando un razionalismo talmudico e una spiccata presa di distanza dalla mistica, offre minori occasioni di espressività letteraria oltre ad essere meno noto ai lettori. Interprete magistrale di questo mondo è Chaim Grade nato a Vilna nel 1910 di cui la casa editrice Giuntina manda in libreria il romanzo “La moglie del rabbino” tradotto per la prima volta in italiano con grande efficacia dalla studiosa Anna Linda Callow. Prima di addentrarci in una breve riflessione sul libro può essere utile soffermarsi sull’ambiente sociale e storico in cui si è sviluppata l’arte narrativa di Chaim Grade, ritenuto da alcuni esperti il più grande scrittore in lingua yiddish di tutti i tempi, più innovativo dello stesso Isaac Bashevis Singer. Avviato dalla madre allo studio del Talmud Chaim Grade frequenta diverse accademie talmudiche, studia sotto la direzione di Karelitz, il più grande pensatore del Novecento nel campo della Halakhà (la normativa ebraica). All’età di vent’anni si allontana dall’ambiente religioso per dedicarsi alla poesia e nei primi anni Trenta è fra i membri fondatori del “Young Vilna”, gruppo sperimentale di artisti e scrittori di cui fece parte anche il poeta Avraham Sutzkever, superstite della Shoah. Scampato ai nazisti fuggendo in Unione Sovietica all’occupazione di Vilna nel 1941, Grade - che ha perso la famiglia nell’Olocausto – alla fine della guerra vive per qualche tempo prima in Polonia poi a Parigi dedicandosi in quel periodo a una produzione poetica incentrata sul suo mondo annientato dalla Shoah. E’ solo nel 1948 che Chaim Grade, dopo il matrimonio con Inna Hecker, emigra a New York dove si guadagna da vivere insegnando e collaborando a diverse riviste in lingua yiddish. In questi anni, pur continuando la sua attività poetica, si rivolge sempre più alla narrativa con la quale ritrae il mondo dell’ebraismo lituano fra le due guerre. A questo periodo della sua produzione appartiene anche “La moglie del rabbino” (Di rebetsin) pubblicato nel 1974, un romanzo che racconta la storia di Perele, una rebetsin “piccolina di statura, con le spalle strette e le braccia sottili, dotata di due freddi, intelligenti occhi indagatori e un’alta fronte da rabbino, eredità del padre rabbi Asherl Broido, il gaòn di Staripol” in cui l’autore offre il ritratto di un donna di potere e nel contempo dipinge un affresco magistrale degli intrighi familiari e comunitari nel mondo est-europeo. Come argomenta Anna Linda Callow nella postfazione l’opera, priva di ogni romanticismo nostalgico, ci permette di cogliere tutta l’attualità del modello di vita descritto da Grade, certo non più nelle vie di Vilna (la Gerusalemme di Lituania) o di Horodne/Grodno dalle quali è stato spazzato via non solo dal nazismo ma anche dall’irrompere della modernità nella vita degli ebrei dello shtetl, bensì in quelle di Gerusalemme o di Bnei Brak dove è tornato a prosperare. Per questo il libro di Grade getta uno sguardo da un’angolazione diversa su un settore importante, a volte contestato, della società israeliana odierna che per il suo crescente sviluppo demografico sta acquistando un’influenza sempre maggiore in ambito politico e sociale. L’eccellenza nell’interpretazione del Talmud e dei suoi commentatori, l’aspirazione alla carriera di rabbino e alla stesura di opere di halakhà sono alcuni dei valori che caratterizzano l’ebraismo ortodosso lituano e che Perele, la protagonista del romanzo di Grade, fa propri in una società, quella ortodossa di Horodne, divisa per questioni ideologiche fra i seguaci del Mizrahi, l’ala religiosa ortodossa del movimento sionista, e i sostenitori dell’Agudat Israel, fazione ultraortodossa della vita comunitaria ebraica fortemente contraria al sionismo che si proponeva di rifondare uno Stato in Terra d’Israele senza attendere la venuta del Messia e propugnando l’uso della lingua ebraica nella vita di tutti i giorni. Figlia di un illustre rabbino Perele in quanto donna, pur dotata di acuta intelligenza e di un temperamento ambizioso, non può incarnare i valori della società in cui vive. Esclusa dagli studi riservati ai soli uomini può essere solo moglie e madre. Dopo essere stata rifiutata da un genio del Talmud, il brillante Moshe Mordechai Ayznshtat perché “malvagia”, Perele sposa uno studente di Kaydan, Uri Zvi Kenigsberg, “un ragazzo forte e prestante con due occhi lucenti”, di animo buono e arrendevole ma di modeste ambizioni che si accontenta del suo ruolo di rabbino nella piccola città di Graypeve. “Benchè fosse famoso come erudito e predicatore, non aveva mai cercato un incarico più prestigioso…non aveva dominato con il pugno di ferro, né adulato i potenti. Aveva sempre seguito l’aurea regola di evitare controversie”. Con abili manovre Perele pur disprezzando il marito per la sua arrendevolezza lo convince a trasferirsi a Horodne per potersi avvicinare al fidanzato di un tempo che ora è uno stimato rabbino della città in cui vivono anche i figli. Anche da questi ultimi riceve poche soddisfazioni: i due figli maschi, un tempo studiosi del Talmud, non sono diventati rabbini ma venditori con scarsa iniziativa, la figlia Serel, sposa e madre, è una donna che trascura i doveri familiari e non risparmia alla madre critiche pungenti. Con uno stile narrativo raffinato ed una scrittura tersa, precisa nelle parole e vivida nelle immagini (“Gli alberi erano ancora di un verde brillante, ma i rami erano già piegati sotto il pesante carico di foglie. Il sole al tramonto sembrava l’ultimo bagliore giallastro di una candela commemorativa”), Chaim Grade ci restituisce il ritratto di una donna di potere che vuole riprendersi ciò che la vita le ha negato: il prestigio spettante alla discendente di una famiglia illustre e l’aspirazione, unica concessa a una donna, a essere la moglie di un rabbino influente e rispettato da tutti. Pagina dopo pagina Perele per raggiungere il suo obiettivo non esiterà a manipolare con freddezza quanti la circondano, indifferente ai sentimenti e agli affetti familiari. Senza tenere conto delle “istanze specifiche delle fazioni politiche contrapposte, sfrutterà anche quelle per promuovere i propri fini personali con tenacia e determinazione”. Figura estrema, perfettamente riuscita e plausibile, Perele è una donna “di segno negativo che persegue i propri obiettivi con spregiudicatezza” ma che allo stesso tempo non si può evitare di ammirare per la determinazione con cui ha cercato di imporsi in un mondo governato dagli uomini. Perché le opere di questo grande scrittore Yiddish sono arrivate al pubblico così tanti anni dopo la sua morte avvenuta nel 1982? In realtà il destino di Chaim Grade pareva destinato a restare ignoto al di fuori della cerchia ristretta di studiosi di letteratura in lingua yiddish. A cambiare la sorte di tutta la sua produzione artistica è stata la morte della moglie nel maggio del 2010 perché Inna Hecker, vedova di Grade, per oltre due decenni si è ostinatamente opposta alla traduzione, pubblicazione e persino allo studio in privato delle opere del marito sostenendo che “non avrebbero mai potuto rendergli giustizia”. Alla morte di Inna, senza eredi né testamento, quattro istituzioni si sono contese lo straordinario archivio di opere dell’autore yiddish “un vero e proprio tesoro” e oggi quel materiale è conservato presso la Biblioteca nazionale di Gerusalemme e presso l’Yivo Institute for Jewish Research di Manhattan. Vincitore dell’Itzik Manger Prize per eccezionali contributi alla letteratura yiddish Chaim Grade è stato considerato da Elie Wiesel “tra i più grandi, se non il più grande romanziere yiddish”. Un autore da leggere con rispetto e devozione la cui opera grazie alla casa editrice Giuntina è finalmente disponibile anche ai lettori italiani.
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