Lo “stupro di Gaza”
Commento di Giuliana Iurlano
Israele e i pregiudizi dei media: è ora di combatterli
A proposito di un libro da non consigliare. Il mondo accademico è purtroppo pieno di pregiudizi antiebraici: dagli studenti che, in aula, ti guardano con diffidenza non appena parli di Israele e prendono la parola per sciorinare i soliti slogan filo-palestinesi, condendoli con pseudo-certezze “storiche” in nome di un verificazionismo ormai sotterrato sin dai tempi di Popper, ai docenti saccenti che dicono la loro sul “ricatto ebraico” operato sul presidente della repubblica italiana, che non ha autorizzato la sepoltura nel Pantheon delle salme dei reali compromessi con le leggi razziali, alla retorica ormai melensa sulla Shoah alla quale non segue una altrettanto ferma posizione sull’esistenza dello Stato ebraico, unica democrazia mediorientale.
Insomma, gli esempi sono talmente tanti nel mondo dell’academical politic correctness, che chiunque abbia a cuore le sorti di Israele deve ingaggiare quotidianamente una vera e propria battaglia culturale contro la voluta disinformazione ideologica.
Per non parlare delle “sorprese” che punteggiano la produzione scientifica nel momento in cui, su un argomento anche apparentemente lontano dai temi controversi, un docente consiglia letture di approfondimento.
Un esempio per tutti: da internazionalista, ho preso parte a un seminario sulla violenza contro le donne e ho sviluppato un percorso che riguardava lo stupro come “arma di massa” nei conflitti moderni.
Ed ecco la sorpresa: scorrendo l’indice di un volume curato da Simona La Rocca, dal titolo Stupri di guerra e violenza di genere (Roma, Ediesse, 2015), trovo un capitolo di Giusi Ambrosio e Patrizia Cecconi intitolato “Palestina. Donne sotto occupazione” (pp. 253-286), nel quale sin dall’incipit compare l’ideologia fuorviante della tesi sostenuta sui difficili rapporti tra due popoli, quello ebraico e quello palestinese: “Un popolo, sopravvissuto a un programmato sterminio, ha avuto l’opportunità di definirsi nella forma storica di uno Stato; al contrario su quella stessa terra ha imposto a un altro popolo prima l’espulsione nella forma della pulizia etnica e poi la discriminazione e l’apartheid”.
La nascita dello Stato ebraico è stata un’“opportunità” dopo la Shoah, come se la stessa “opportunità” non fosse stata concessa anche agli arabi, che invece la rifiutarono più e più volte; inoltre, vi sarebbe stata uno shift sostanziale, nel momento in cui gli ebrei si sono trasformati da vittime in carnefici, imponendo espulsione, discriminazione e apartheid.
“Espulsione nella forma di pulizia etnica”, così come descritto “nel programma esplicitato da Ben Gurion”: la nota che contiene questa precisazione è assolutamente generica, priva di rimandi scientifici a fonti consultabili e, soprattutto, utilizzata per far credere che il concetto di “pulizia etnica”, dopo Hitler, sia stato introiettato e a sua volta usato contro i “nuovi innocenti” dai dirigenti israeliani.
Una sorta di “legge del taglione” internazionale, insomma, in cui “il mito della Terra Promessa si intreccia all’azione della ‘pulizia etnica’ da realizzare contro un altro popolo della Palestina”.
Ancora più grave è il richiamo all’aspetto “biologico” del nazionalismo ebraico, che avrebbe agito, tramite le sue milizie, nei confronti di popolazioni innocenti (quelle palestinesi, naturalmente) “del tutto estranee alla dannata storia delle persecuzioni subite dagli ebrei in Europa”.
E l’alleanza tra il Gran Muftì di Gerusalemme e Hitler dove la mettiamo?
Il progetto di sterminio che avrebbe dovuto avere inizio proprio in Palestina ce lo siamo dimenticati?
Ma il saggio continua collegando la “pulizia etnica” agli stupri di massa, “come obiettivo primario del Piano Dalet” dell’Haganah, portato avanti (ancora una volta senza il sostegno scientifico delle fonti) da Ben Gurion, con lo scopo di “destinare il territorio alla purezza ebraica” (e, per rafforzare questo concetto, si citano le parole del rabbino Di Segni, che parla di ebraicità come condizione “congenita”).
Dopo tutta una serie di informazioni sulle violenze di genere alle quali sarebbero sottoposte le ebree ultra-ortodosse (rasatura della testa e uso della parrucca), cominciano a piovere informazioni sulla vera natura dello Stato israeliano: “In Israele, paese ‘laico’ e democratico, i matrimonio e i divorzi sono amministrati dai tribunali rabbinici” e la legge israeliana “viola anche la dimensione domestica con l’irruzione dei soldati nelle case e le perquisizioni, […] con la demolizione della case palestinesi e con la costruzione di insediamenti di coloni ebrei nelle aree palestinesi”. Nessun accenno agli atti di terrorismo nei confronti di Israele, e nemmeno all’istillazione dell’odio nelle giovani menti dei bambini, mentre si sottolinea con enfasi che “la costruzione di case degli ebrei all’interno delle aree palestinesi è uno ‘stupro’ esercitato sulla terra”.
Qui siamo veramente al limite massimo: la violenza sulle donne si trasforma in una metafora “efficace” per gli stolti e lo “stupro della terra”, lo “stupro di Gaza” diventa lo strumento per accreditare anche il complesso conflitto israelo-palestinese all’interno di un percorso di violenza di genere. Ogni singola parola di questo saggio potrebbe essere confutata sul piano storico, per non parlare della metodologia di analisi, parziale e soprattutto ideologica.
Le fonti citate riguardano, in una succinta e carente bibliografia, una sola opera “storica” e, guarda caso, è quella di Ilan Pappè (La pulizia etnica della Palestina, 2008), già da tempo ormai messa all’angolo anche dai nuovi storici revisionisti israeliani; poi solamente siti internet di matrice araba o di israeliani anti-Israele, film e riferimenti alle solite risoluzioni onusiane. Insomma, sicuramente un libro, la cui lettura non è da consigliare.
Giuliana Iurlano è Professore aggregato di Storia delle Relazioni Internazionali presso l'Università del Salento. Collabora a Informazione Corretta