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|        Ripetizioni e novità – un'analisi strategica delle implicazioni del conflitto a Gaza 
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli A destra, l'evacuazione di Gush Katif nel 2005 Cari amici, vale comunque  la pena di fermarsi a riflettere con una certa  prospettiva sulla guerra  di Gaza, anche se non si fosse coinvolti  profondamente come lo siamo  noi. Gaza è infatti la prova e in un certo  senso il simbolo più evidente  di una trasformazione strategica che  coinvolge tutti; ed è anche il  tentativo di non arrendersi ai rischi  che essa implica. Proprio il fatto  che dal ritiro unilaterale  israeliano del 2005,  lo stesso scenario  (razzi di Hamas sulle città  israeliane, reazione aerea israeliana,  minaccia e qualche volta messa  in opera di combattimenti terrestri) si  sia ripetuto in molte  occasioni, fra cui almeno tre episodi principali  nel 2009, 2012 e oggi,  mostra che non si tratta di vicende individuali,  di malintesi, di  errori tattici, ma che vi è un meccanismo politico  fondamentale che  porta al conflitto e insieme ne impedisce la soluzione  definitiva.   
L'analisi fattuale è molto semplice.  Nel 2005 Sharon ha creduto di  doversi liberare di Gaza perché riteneva  che Israele non potesse  governare un milione e mezzo di arabi ostili.  Vincendo un  conflitto  molto grave dentro Israele ha scelto di  staccarsene completamente,  lasciando agli arabi e le strutture agricole e  industriali costruite  dagli israeliani in quarant'anni di lavoro.  Inizialmente non vi era  nessun blocco, nessun intervento sulla striscia,  il progetto era la  fine di ogni legame, la sperimentazione di  un'indipendenza completa dei  palestinesi e dunque di una convivenza  magari fredda,  ma pacifica.  Israele se ne andava sperando che Gaza  funzionasse per conto suo come  un luogo produttivo, fornito di un porto  sul Mediterraneo, di  potenzialità produttive agricole, di aiuti  internazionali. Hamas però  non la pensava così. Vedeva quel territorio  come la base per  conquistare tutto lo stato di Israele, la roccaforte da  cui “liberare  la Palestina” dagli ebrei. Nessuna convivenza pacifica,  nessuno  sviluppo economico e civile. L'esperimento dell'indipendenza   palestinese ha portato solo alla guerra. Di conseguenza dopo aver   cacciato l'Autorità Palestinese, Hamas ha fatto di Gaza un'immensa   caserma, un luogo la cui sola vocazione è militare. Tutti quelli che si   lamentano delle vittime del conflitto, della condizione infelice dei   gazawi devono capire che tutti i problemi derivano da questa scelta.   L'esperimento di Sharon è tristemente fallito. Bisogna fare i conti con   la prospettiva ovvia che uno stato palestinese in Giudea e Samaria   probabilmente seguirebbe lo stesso destino di una militarizzazione   integrale, dell'uso come base per danneggiare il più possibile “gli   ebrei”, della rappresaglia o autodifesa e dei danni e dei lutti che ne   seguirebbero. 
![]() Soldati israeliani in uno dei tunnel costruiti da Hamas Vediamo concretamente che cosa Hamas ha fatto a Gaza. In questi giorni stanno emergendo le migliaia di tunnel che conducono non solo fuori dai confini (per il contrabbando in Egitto e per gli attentati in territorio israeliano) ma servono da centri di comando, depositi e fabbriche di armi, luoghi di sparo dei missili, strutture di comunicazione: una città sotterranea grande come la Striscia, ha detto qualcuno. Per costruirla Hamas ha impiegato centinaia di migliaia di tonnellate di cemento e di acciaio, milioni di ore di lavoro, una quantità di denaro strabiliante. Ogni tunnel costa da due a quattro milioni di euro, e ce n'è migliaia. Aggiungeteci le armi, non solo le armi personali (che sono certamente centinaia di migliaia se non milioni, al prezzo di centinaia o migliaia di euro l'una), ma i 10 mila razzi di cui si parla, i mortai, i droni. Se valutate il prezzo medio di un missile intorno ai 10mila euro, più i costi esorbitanti del trasporto di contrabbando Hamas ha investito qualche centinaio di milioni solo in questo. Un'economia di guerra degna della Germania hitleriana, senza però altra base industriale o economica. Naturalmente questo significa fornitori (l'Iran, più lontano Corea del Nord, Cina e Russia) e soldi: finanziamenti diretti (dall'Iran, dal Qatar e dalla Turchia, soprattutto) e indiretti (ci sono molti soldi europei e americani che sotto vari pretesti finiscono a Gaza). Questi materiali vengono distrutti in parte dalle guerre, ma subito ricostruiti; il che significa che le fonti non si inaridiscono. Il blocco nasce dal tentativo di rendere difficile questo passaggio; se si allentasse, le guerre sarebbero più frequenti e sanguinose. Israele vince ogni conflitto, ma non  riesce a liberarsi dalla  sfida e concretamente dalla minaccia alla  sicurezza dei suoi cittadini  che viene da Gaza. Sono sempre vittorie  militari incomplete, spesso  controbilanciate da sconfitte  propagandistiche, ottenute da Hamas  sfruttando i danni provocati dalla  difesa israeliana nella popolazione  di Gaza. La ragione  dell'incompletezza sta nell'esistenza delle  fonti  esterne di armi e  denaro, che ricostituiscono l'arsenale di Hamas dopo  ogni sconfitta,  facilitate fino a tempi recenti dalla complicità  egiziana rispetto al  contrabbando.  
Ma vi è anche in qualcosa di più  fondamentale, un cambiamento  degli equilibri militari. Fino a una  dozzina d'anni fa la differenza  d'armamento fra le bande irregolari e  gli eserciti statali era enorme,  rendendo i guerriglieri sostanzialmente  impotenti salvo che in  situazioni estremamente periferiche e difficili,  come l'Afghanistan o  la selva cubana. Il destino di Guevara in Bolivia è  un esempio  chiarissimo; lo stesso vale in Medio Oriente per la  sconfitta di Fatah  nel “settembre nero” in Giordania. Soprattutto era  molto difficile agli  irregolari difendere un territorio. Potevano solo  attaccare i punti  deboli delle società avanzate Di qui forme di  terrorismo come gli  attentati suicidi nei centri commerciali e negli  autobus, i  dirottamenti aerei, gli omicidi casuali di passanti: crimini   particolarmente odiosi, che non sono affatto finiti, come mostra il caso   dei tre studenti rapiti e uccisi, o tutti gli atti di terrorismo che   vanno sotto il nome di “resistenza popolare”. Ma anche delitti non   decisivi sul piano militare, che servivano soprattutto a danneggiare il   morale dell'avversario. 
 Ma da qualche tempo accade che i  movimenti terroristi possono  avvalersi di armi sofisticate e però non  difficilissime da usare. E  quel che è accaduto in Ucraina, dove i  separatisti probabilmente  aiutati e istruiti dai russi, hanno abbattuto  un aereo civile “per  sbaglio” o forse per segnalare al mondo la loro  forza. Fra l'altro, va  detto che l'arma antiaerea che hanno usato è la  stessa fornita dai  russi ad Assad e che Israele ha dovuto bombardare per  impedirne il  trasferimento a Hezbollah, non si sa se riuscendovi del  tutto. Il caso  di Hezbollah e quello dell'Isis mostrano altri due casi  in cui milizie  irregolari diventano rapidamente abbastanza potenti per  poter reggere  il confronto con eserciti veri e magari batterli. Anche  perché  l'Occidente e in primo luogo l'America ha subito una sconfitta   strategica del morale, è stanco di pagare dei prezzi per difendere il   proprio predominio ed è preso dall'illusione (la stessa di Sharon) che i   barbari alle porte possano essere pacificati lasciandoli a se stessi –   col risultato di renderli invece più aggressivi e pericolosi.  
A questo si aggiungono i requisiti di  correttezza nel  comportamento bellico, che sono applicati solo agli  eserciti regolari e  non ai gruppi guerriglieri o terroristi che dir si  voglia. L'ideologia  legalista/progressista/terzomondista che prevale  nelle organizzazioni  internazionali e anche nei giornali e nell'opinione  pubblica non bada  agli abusi commessi dai ribelli ma si concentra su  quelli degli  eserciti regolari, cercando di paralizzarne l'azione, col  risultato che  larghe zone del mondo sono in condizione di anarchia: nel  Medio  Oriente innanzitutto, ma anche in nel Sinai, in Somalia, in Libia, in   Afghanistan e Pakistan. Gli eserciti europei e americani quando possono   si ritirano, illudendosi di sottrarsi così ai colpi del nemico (che   prima o poi arriveranno anche sul loro territorio metropolitano, come è   già accaduto soprattutto in Europa e l'11 settembre in America).  Restano  coloro che si trovano queste forze irregolari accanto a casa,  come  Israele e che devono comunque resistere, con la mani legate da   un'assurda pretesa di “proporzionalità”. La proporzionalità nella difesa   è esattamente il contrario della regola fondamentale della guerra, che   impone per vincere il dispiegamento di una potenza almeno localmente  del  tutto sovrastante la violenza del nemico. La giuridificazione della   politica e della guerra è un potente alleato di quelli che non la   rispettano e non sono per questo incriminati, col pretesto che non sono   Stati, ma in realtà a causa di un'ideologia razista all'incontrario,   della favola del buon selvaggio rivisitata 250 anni dopo Rouseau dagli   ideologi del politically correct.  
Hamas infatti sopravvive per questa  doppia circostanza, di essere  protetto da una simpatia internazionale  che gli permette di commettere  indisturbato i suoi crimini, ma protesta  per ogni intervento che cerchi  di contenerlo; e inoltre di riuscire a  difendere il controllo del suo  territorio con mezzi moderni, attaccando coi  missili, nascondendosi in  estese costruzioni sotterranee, usando senza  dubbio un sistema avanzato  di comando comunicazione e controllo.  Chiunque sostenga che Hamas è  stato tirato nella guerra senza volere,  magari perché Israele ha  rifiutato di appoggiare il governo di  coalizione con l'Autità  Palestinese, dovrebbe chiedersi come mai Gaza  era in un livello di  preparazione bellica, aveva una quantità di  rifornimenti di armi e di  ridondanza nei sistemi di comunicazione e di  comando che gli sta  permettendo di non cedere nonostante dieci giorni di  attacco di un  esercito evoluto ed efficiente come quello israeliano. 
Nella situazione di Gaza bisogna però  leggere anche degli altri  elementi di segno contrario e sempre di  interesse generale: il successo  di “Iron Dome” (che sarà, ricordiamolo,  solo un elemento di un sistema  di difesa antimissile costruito da uno  strato intermedio la “Fionda di  Davide” contro i missili a lungo raggio e  dagli Arrows già in servizio  ma in via di perfezionamento, contro  quelli intercontinentali )  depotenzia le possibilità aggressive delle  forze medie e piccole, per  esempio toglie credibilità alle minacce  siriane, di Hezbollah e anche  in prospettiva dell'Iran, che prima o poi  avrà l'armamento atomico data  la remissività se non la complicità di  Obama, ma non è detto riesca  mai a farlo arrivare a destinazione, almeno  non coi missili – ma qui si  riaprirà uno spazio pericolosissimo per il  terrorismo. Bisogna notare  infatti che da Gaza e dall'Ucraina si vede  l'assoluta mancanza di  scrupoli e perfino di buon senso dei terroristi  attuali, capaci di  cercare di bombardare una centrale nucleare a  quaranta chilometri da  casa o di abbattere una aereo passeggeri di una  nazionalità estranea al  conflitto – cose che non si erano mai viste  prima. 
L'ultimo elemento da considerare, in  questa rassegna di novità, è  il re-allineamento delle alleanze in atto.  E' chiaro che per l'Egitto –  e dietro di lui per l'Arabia Saudita – in  questo momento Israele è un  avversario meno pericoloso di Hamas (e  dietro di lui il Qatar e la  Turchia). In questa situazione l'Europa è  completamente impotente,  parolaia, ideologica, incapace di assumersi le  sue responsabilità e gli  Stati Uniti sotto la guida di Obama sembrano  avviati sulla stessa  strada. Il fallimento dei tentativi di cessate il  fuoco indica questa  situazione molto complessa e nuova. Che non è  necessariamente negativa,  in questo caso, perché rende Israele meno  vulnerabile di un tempo alla  pressione internazionale e nella  condizione, se riuscirà a cogliere  l'occasione, di infliggere seri danni  a Hamas e magari anche di  chiudere una partita che, come dicevo  all'inizio, sembra incantata e  ripetitiva all'infinito proprio perché  non gli è stato permesso in  passato di andare aventi nella sua azione  fino alla vittoria. 
Ugo Volli  | 
  
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