Il libro dell’ignoto Jonathon Keats
Traduzione di Silvia Pareschi
Giuntina Euro 16
Dodici racconti dell'americano Jonathon Keats che si svolgono in una realtà dove vivono anonimamente i trentasei Giusti, che secondo la tradizione ebraica ogni giorno salvano il mondo, non sapendo di essere dei Giusti. In questo spazio profondamente idoneo a una narrazione di tipo fantastico, che a tratti sfiora atmosfere della Peste di Camus, si svolgono i dodici racconti sui trentasei Giusti, strumenti di una misericordia che dispone di loro come di pedine di una scacchiera. Non solo Giusti santi: c'è un Giusto idiota del villaggio, un Giusto che è una donna Messia, uno ladro innocente, uno fannullone, uno che è una prostituta. Keats fa precedere i racconti da una divertentissima introduzione che oltre ad essere in sé un racconto, magari potrebbe essere il romanzo di un anacronistico cabalista contemporaneo. Uno scrittore racconta dunque come abbia potuto procurarsi i nomi dei Giusti, figure di un tempo trascorso, forse da centinaia di Normalmente, i nomi dei Giusti devono rimanere segreti per non compromettere la salvezza del mondo, qui il disvelamento è possibile perché sono Giusti del passato. Il narratore si "traveste" da archeologo di successo, un accademico della mistica ebraica, ed è grazie a una scoperta tra le rovine di un'antica sinagoga che si profila la possibilità di scoprire i nomi di un antico gruppo di Giusti. Spunta la storia di chi potè un tempo entrare in possesso dei trentasei nomi e lasciarli incisi con scrittura di fuoco su un cartiglio segretissimo che nessuno avrebbe mai e poi mai dovuto vedere: un cabalista leggendario del tempo remoto, noto come Yaakov ben Eleazer. Costui scoprì che tra le consonanti ebraiche erano nascoste prorpio le vocali che noi invece pronunciamo, ma "che nei tempi antichi non venivano scritte, smorzavano la musica che trasportava la parola di Dio". Cantando quelle vocali, il cabalista Yaakov ben Eleazer entrò in possesso dei trentasei nomi segreti dei Giusti. Con alle spalle tale inizio, eccoci proiettati in dodici storie ognuna delle quali ha come protagonista un Giusto il cui nome corrisponde a una lettera dell'alfabeto ebraico. Si inizia con il racconto di Alef l'idiota, andato in sposa all'astutissima figlia di un vecchio rabbino. Alef vive in un mondo assimilabile allo shtetl di memoria europea. Non sa di essere un idiota, e capiamo che potrebbe non esserlo. E' un povero pescatore, così poco intelligente che sbaglia anche a pescare. Per sapere se è idiota, va a vendere l'anima a un dibbuk nero e fuligginoso che vive in una nera e fuligginosa capanna. Facendo così, rompe un equilibrio che si ricomporrà assieme alla moglie. Lettera D, Daled il ladro. Un giusto che fa il ladro e viene da una lunga tradizione familiare di ladri, ma Daled è un ladro innocente: ruba cucchiai e i derubati neanche si accorgono del furto. E quando comincia con i furti seri, una preziosa caraffa che illumina le stanze come se fosse una lampada, il villaggio trova il giusto equilibrio: perché il villaggio ha bisogno dei ladri. Lettera Hei. Hei è una bambina clown che inizia la sua carriera venendo raccolta per strada dal circo. Hai cresce senza doti, non sa eseguire i numeri acrobatici. Il pubblico ride della sua asinaggine, diventa clown, ed è la fortuna del circo. Lettera Tet, Tet il fannullone. Probabilmente il racconto più bello, ambientato in una città dove le campane non cessano di suonare e nessuno cessa di lavorare. Tet è un fannullone cha fa dannare il padre, a lui basta di chiudere gli occhi per trovarsi in un mondo perfettamente parallelo dove c'è una vita equilibrata, e quel passato di lavoro ossessivo non esiste più se non sotto forma della vecchia città in rovina.
Il Foglio