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1948 Yoram Kaniuk
Perché è riuscito a scrivere questa storia solo a 80 anni? «Avevo iniziato nel ' 49, in realtà, mentre lavoravo sulle navi che dai porti d' Europa portavano i sopravvissuti in Israele. Ma in realtà ero pieno di odio, non mi riusciva, avevo visto troppo sangue. Ero sotto choc. Nei primi mesi della guerra eravamo pochi e male armati, combattevamo come fossimo su un precipizio, come se stessimo per essere giustiziati, se morivi nessuno ti sostituiva, ma... era così. E io ero quasi un bambino: del mio reggimento di 1100 uomini, ne furono uccisi 400. Fu tutto troppo crudele. Non trovavo il tono giusto per scriverne. Poi recentemente, quando ho ripensato alla battaglia di Ramle, dove arrivai due giorni dopo lo scontro, mentre gli arabi tentavano di rientrare nelle loro case e gli scampati ai lager cercavano di insediarsi nel villaggio, ho capito che era quella la chiave del libro. La tragedia». Ha detto che con 1948 voleva distruggere dei miti. Quali? «Da un lato quello del Palmach come un esercito di supereroi, dall' altro quello che volesse distruggere e cacciare gli arabi. Desideravo mostrare come erano andate le cose, quanto noi non fossimo affatto dei giganti e combattessimo invece per la nostra sopravvivenza, quanto abbia contato anche l' arrivo dei sopravvissuti sull' unica terra che li accoglieva: alcuni di loro presero subito in mano il fucile, e morirono. Il fatto è che gli arabi non avevano accettato la risoluzione Onu sulla spartizione della Palestina, ci sparavano, assaltavano i bus e i villaggi, e non esisteva la Cnn allora. Eravamo su un precipizio e combattevamo per non finirci dentro». I nuovi storici israeliani lei, che è un uomo di sinistra, li etichetta come "gente cattiva". «Penso che mentano, che odino gli ebrei, se stessi. Non voglio ora entrare nei singoli episodi. I fatti sono semplici, gli arabi non ci volevano, ci attaccarono, e noi abbiamo combattuto». Un anno fa ha fatto togliere "religione: ebraica" dalla sua carta d' identità, perché? «Perché mi sento profondamente ebreo, ma vorrei che Stato e religione restassero del tutto separate». Lei dice che non si arruolò per fondare uno Stato. «Non ci pensavamo allo Stato, volevamo difenderci. Piuttosto ero inorridito per quello che venivo via via a sapere della Shoah. Seppi anche che 66 famigliari di mio padre erano stati uccisi. Lui non me l' aveva detto». Afferma che per la pace l' unica soluzione giusta sarebbe lo Stato binazionale, un posto però dove lei non potrebbe vivere. Che vuol dire? «È mia figlia, che è di supersinistra, che lo vorrebbe. In realtà io credo che gli ebrei abbiano diritto a uno Stato loro, anche perché l' antisemitismo è ancora molto forte. No, non vedo una soluzione al conflitto: vorrei due stati per due popoli, ma, oggi come oggi, Hamas governerebbe la Cisgiordania e sarebbe con i suoi missili a 3 km da Tel Aviv. E intorno c' è il niente, la Siria in fiamme (per cui nessun palestinese manifesta), l' Egitto nel caos. Per non parlare dell' Iran. Non vedo soluzioni: vorremmo essere Atene, non Sparta, ma abbiamo ancora bisogno di essere forti e mandare i nostri figli nell' esercito, altrimenti non sopravviveremmo».
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