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Riportiamo da PANORAMA del 22/03/2012, a pag. 54, l'articolo di Sergio Romano dal titolo " Nella crisi siriana non c'è solo un problema di diritti umani ".
L'analisi di Sergio Romano sulla situazione in Siria è del tutto condivisibile. Peccato che non si possa scrivere altrettato degli articoli che pubblica di solito... Un giornale australiano, qualche tempo fa, ha dato notizia di un incontro a Istanbul fra i rappresentanti della resistenza siriana e alcuni esponenti del governo libico. I siriani avrebbero chiesto armi, i libici avrebbero assicurato la loro collaborazione. Che un paese non ancora governabile cerchi di promuovere il cambiamento del regime in uno stato con cui non è neppure confinante dimostra quale importanza la Siria abbia assunto per gli equilibri dell'intera regione Proviamo a comprenderne le ragioni. In Iran si è votato, in Siria si combatte. I due eventi possono sembrare distinti e autonomi, ma sono collegati dai rapporti di amicizia e complicità che uniscono Damasco a Teheran. Sei ribelli siriani riuscissero a rovesciare il regime di Bashar al-Assad, l'Iran degli ayatollah perderebbe il suo pnndpale alleato mediorientale. Se le elezioni iraniane accentuassero le divisioni del regime e le sanzioni occidentali aggravassero la crisi economica del paese, Assad perderebbe il suo maggiore amico. Le due crisi avrebbero un effetto a cascata in altri paesi della regione Colpirebbero anzitutto gli hezbollah libanesi, che dispongono di una importante organizzazione militare grazie agli aiuti di Teheran e Damasco. E colpirebbero l'Iraq, dove il regime prevalentemente sciita del premier Nouri al-Maliki ha stretto con Teheran, in questi ultimi anni, un rapporto basato sulla prossimità religiosa e sulle convenienze reciproche. Qualche anno fa il re di Giordania denunciò il pericolo di una mezzaluna sciita, da Teheran a Baghdad, passando per Damasco, che avrebbe sfidato il predominio dei sunniti nell'intera regione. In questa mezzaluna la Siria laica della famiglia Assad può sembrare a prima vista un corpo estraneo. Ma la minoranza alauita, a cui gli Assad appartengono, è una costola della famiglia sciita. Oggi, quindi, quella mezzaluna sembra a sua volta minacciata dalla crisi a Teheran e a Damasco. Se la partita è almeno in parte religiosa, e se il regime laico-alauita di Assad ne uscisse sconfitto, i vincitori sarebbero i regimi sunniti della regione. Abbiamo già avuto qualche conferma. Al-Jazeera è un brillante canale televisivo nel grigiore del panorama mediatico mediorientale Ma è anche la creatura di Hamad bin Khalifa al-Thani, emiro del Qatar, l'uomo che ha maggiormente sostenuto, nel campo arabo, la causa dei libici sunniti di Benghasi contro il «laico» Muammar Gheddafi. Le armi con cui i ribelli siriani combattono contro l'esercito del regime provengono in buona parte dai regimi sunniti del Golfo, e, sembra, persino dalla Libia. I volontari arabi che attraversano la frontiera irachena per combattere sono sunniti. Le voci musulmane che si alzano alle manifestazioni arabe contro Assad sono sunnite. Questa non è una guerra di religione fra sciiti e sunniti. Per inviare la propria opinione a Panorama, cliccare sull'e-mail sottostante panorama@mondadori.it |
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