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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Silvana De Mari, Io mi chiamo Yorsh 13/02/2012

Io mi chiamo Yorsh                          Silvana De Mari
Fanucci                                                    Euro 9,90

Può un libro per ragazzi parlare di alcuni degli eventi più drammatici degli ultimi secoli senza essere crudo e brutale? E, soprattutto, lo può fare in maniera allegorica senza offendere né sminuire le tragedie? Probabilmente sì, visto che “Io mi chiamo Yorsh” di Silvana De Mari ci è riuscito molto bene.
Yorsh è un ragazzo che nasce e cresce in un luogo molto particolare e fin dagli inizi riveste anche un ruolo particolare: è il più fortunato tra gli sfortunati, è il primo tra gli ultimi perché voleva “a tutti i costi essere il più di qualche cosa, se non puoi essere il più bello perché sei il più brutto, tanto vale esserlo fino in fondo. Se non puoi essere il più amato da una donna, tanto vale essere colui che maggiormente odierà...”.
È un libro che parla di fame, di lebbra, di esclusione, di educazione all'odio, di persecuzione e sterminio di un intero popolo che non ha nessuna colpa se non quella di essere se stesso, di violenza sulle donne, dell'umiliazione e della facilità con cui si può perdere la propria dignità perché: “L'importante non è cosa la vita ci mette davanti, ma come l'affrontiamo... non possiamo scegliere cosa vivere, ma possiamo scegliere se viverla con onore o disonore. Io sono vissuto nel disonore ma la mia morte è stata degna”.
È un libro che parla anche di argomenti esistenziali comuni a tutti i ragazzini: della concezione di sé, dello spirito di gruppo, della lotta contro i pregiudizi altrui e della scoperta dell'inconsistenza dei propri, degli insegnamenti di un padre saggio: “nessuno è poco fino a quando non commette bestialità” e di quelli comuni ai ragazzi di strada: dell'indottrinamento da parte dei più forti e dell'illusione di un futuro fatto di prepotenza e di violenza, ma anche di come quella violenza possa essere trasformata nel più grande dei gesti di compassione: la nascita di un bambino che la madre accetta di amare.
Nel libro c’è un minuscolo pezzo di nastro giallo. Arriva da Gerusalemme, dalla tenda dove i  genitori di Gilad Shalit, ragazzo rapito diciottenne e rimasto in cattività per cinque anni, lo hanno aspettato non invano. Gilad, come racconta la stessa De Mari, è coetaneo di suo figlio: “Negli anni in cui Gilad è stato rinchiuso mio figlio ha dato la maturità, è andato negli Stati Uniti, ha cominciato l’università e ne ha fatto i due terzi, ha avuto e ha dato amicizia e amore, è stato vivo e libero: sono quegli anni in cui un uomo e una donna formano sé stessi.
In quegli stessi anni Gilad è stato rinchiuso senza la luce del sole né la possibilità di sentire la voce di sua madre. I nastri sono stati presi per testimoniare la nostra presenza a fianco della famiglia Shalit. I diritti del libro sarebbero dovuti servire a pagarli, così da sovvenzionare la famiglia Shalit e la sua tenda, ma ora che Gilad con nostra infinita gioia è tornato a casa, la sua famiglia non ha più bisogno di nulla, e non desidera più nulla salvo che tutti possano vivere in pace.
Quei nastri sono un loro dono quindi, e serviranno per testimoniare la nostra presenza a fianco di tutti gli ostaggi in mano alla barbarie, e i proventi del libro serviranno per dare aiuto a coloro che sono nella tempesta.
C’è, più corretto dire c’era, una terza persona coetanea di mio figlio e di Gilad, la cui vita è stata stroncata. E’ Maryam, fanciulla egiziana copta uccisa la notte di capodanno durante la messa nella sua chiesa.
La cristianità perseguitata è quindi l’urgenza.
I diritti di questo libro andranno a sostenere la comunità copta di Torino, perché sostengano qualcuno dei centomila profughi cristiani copti che negli ultimi mesi hanno lasciato l’Egitto. In ricordo di Maryam. Perché il suo sorriso non sia perso per sempre”.

Elena Lattes
Agenzia Radicale


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