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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Dieter Schlesak, L'uomo senza radici 26/06/2011

L’uomo senza radici                         Dieter Schlesak
Traduzione di Tomaso cavallo
Garzanti                                               Euro 18,60

Le ombre tornano insidiose nella scrittura di Dieter Schlesak, autore di un grande e terribile libro come Il farmacista di Auschwitz. Incalzano di nuovo frammenti autobiografici e tormentosi scorci storici, immagini che escono con irruenza dal passato e spalancano abissi nel suo ultimo romanzo, L’uomo senza radici, tradotto da Tomaso Cavallo. Gli interrogativi restano quelli di sempre anche per il nuovo protagonista, Terplan, uno scrittore tedesco nato in Transilvania e fuggito dalla Romania del dittatore Ceausescu, che ha cercato invano riparo a Berlino per poi finire ad Agliano, non lontano da Camaiore. Autore e personaggio si sovrappongono in un gioco di specchi: anche Schlesak, che aveva appena sei anni allo scoppio della guerra, pressato dai ricordi e dall’immagine sfocata del bambino felicemente immerso nel mondo multietnico della Mitteleuropa, ha trovato da tempo rifugio nel piccolo borgo toscano.
Oggi è il protagonista del romanzo che ridisegna quella realtà svanita fra violenti conflitti in una trama narrativa intessuta di confessioni, flash-back, eventi e sogni. Dal suo esilio italiano lo richiama infatti la morte della madre e quel ritorno a casa riapre ferite, scorci sulle atrocità del nazismo e della dittatura postbellica, e riporta la riflessione al tema di fondo delle pagine di Schlesak : come sia stato possibile che padri e mariti affettuosi si siano trasformati in brutali assassini. Come si può conciliare normalità e follia, un’infanzia felice nella cittadina transilvana di Schässburg con le atrocità dei lager dove gli stessi parenti di origine sassone, rievocati dal protagonista, divennero aguzzini di amici e conoscenti ebrei. La tensione si fa insopportabile e la quotidianità di allora continua a generare mostri sull’onda della memoria.
L’anabasi dello scrittore è un viaggio nel mondo delle ombre che il suo morbido linguaggio decanta in una melodia di infinite tristezze, in un richiamo di sapori antichi, in un costante attrito fra ieri e oggi, tra affetti domestici e tragedie storiche. Lui stesso confessa: “Non esiste nulla di più forte nel mondo che il vortice degli assenti”. La morte qui tutto avvolge e sembra mettere un punto finale al senso del tempo e all’idea stessa di storia. Non si è dissolta la Transilvania, la regione del cuore, ma la speranza di un ubi consistam, di un’identità, di una patria che non sia eterno esilio. La figura centrale della madre riflette in modo perfetto l’insanabile dicotomia del personaggio che in lei ricorda la sorgente di ogni amore, ma anche le sue simpatie per la dottrina nazionalsocialista. “Ero dilacerato e ancora oggi sono inguaribilmente scisso”, dichiara il protagonista, che ha trovato rifugio altrove e soccorso nella moglie Hannah, tedesca di ben altro sentire.
In questo libro corale che riesuma voci e destini cancellati dall’oblio e dall’orrore Schlesak proietta con commozione e lucidità esistenze individuali e vicende collettive sullo schermo di un secolo che ha avvelenato ogni pur minima illusione di umana pietà. Anche a lui si possono rivolgere i versi del grande poeta Celan che da quelle lande veniva: “ Tu colmi qui le urne e  nutri il tuo cuore”. La cenere del tempo si deposita in queste pagine, non senza che qualche volto, come quello di Adam Salmen, l’ultimo ebreo di Schässburg, testimone dell’inferno, si affacci a esorcizzare l’oblio, gettando un fragile ponte verso quel passato dove lo scrittore riconosce tracce ma nessun possibile ritorno

Luigi Forte
Tuttolibri – La Stampa


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