Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 05/05/2010, a pag. 12, l'articolo di Egle Santolini dal titolo " Mi velo per l'islam, ma l'ho scelto io ".
Amel, ma alla mamma, su Skype, gliel’ha spiegato che cosa è successo? «No che non gliel’ho detto», dice.
E aggiunge: «Non voglio che si preoccupi. E poi che cosa ne capisce, lei a Tunisi, delle multe che si prendono qui a Novara? Io, nel mio Paese, vado vestita come voglio. Qui, invece, non capisco bene come mai se la sono presa proprio con me. Non ho mai dato fastidio a nessuno, io. Esco una volta sola la settimana per andare in moschea.
Neanche al supermercato vado, ci pensa mio marito. Mi velo perché lo vuole l’Islam, ma è una scelta tutta mia. Però per strada, il venerdì, ci devo passare per forza. Mi dica, a pregare dovevo andarci in volo?». Eccola qui la ragazza Amel, 26 anni, «l’araba col burqa» (sbagliato: il suo tecnicamente è un niqab, di quelli neri che avvolgono dalla testa ai piedi, i guanti a coprire le mani e soltanto una feritoia per gli occhi), prima destinataria dell’ordinanza voluta dal sindaco Massimo Giordano che vieta di girare coperte nei luoghi pubblici. A casa sua, nel piccolo appartamento che divide nel quartiere industriale di Sant’Agabio col marito Ben Salah, 36 anni, muratore, attualmente disoccupato, e di fronte a un’altra donna, non ha problemi a mostrarsi in volto. Ed è proprio carina Amel: occhi grandi, belle labbra spesso sorridenti, lineamenti infantili e delicati. I capelli celati da un piccolo foulard nero, un pullover rosso vivo piuttosto civettuolo, gambe coperte, calzini vezzosi. È seduta al computer e si ha la sensazione che sia lì che impieghi quasi tutta la sua giornata: «Parlo con la mamma e con il resto della famiglia, c’è la webcam e ci possiamo vedere negli occhi».
Tutt’intorno, una cucina modesta. Vivande in preparazione, ninnoli, due materassi rivestiti di tessuto distesi sul pavimento, qualche quadretto alle pareti. Il caseggiato dove abita la coppia è punteggiato di padelle satellitari, ma qui di televisione non vi è traccia. L’alloggio si apre, a pianterreno, su un cortile. Dove un anziano vicino, novaresissimo, ci ha indicato di malavoglia dove vivono «quelli là. A multarli han fatto bene. Provi, ma non parlano con nessuno». Aveva torto, per fortuna.
Da quando è arrivata in Italia, due anni fa, Amel si è giocata tutta la vita qui dentro. È lunga la settimana, senza un’amica con cui parlare? «No, la solitudine non mi pesa. Ho la casa a cui pensare. Mio marito». Bambini ancora niente? «No, ma arriveranno quando sarà l’ora». Su Internet, racconta, va a cercarsi i programmi televisivi arabi, ma soprattutto i siti di ricette. «Il mio preferito è italiano, si chiama “giallo zafferano”: soprattutto le torte mi vengono bene». Letture, giornali? «Il Corano, la preghiera alle ore stabilite. Ho anche questo libro di scuola, però», ed è una grammatica italiana con la Torre di Pisa in copertina, dentro tanti segni a matita e molte orecchie. «Ho cominciato a imparare l’italiano in Tunisia, nei due anni di liceo che ho frequentato». Ora lo parla, anche se un po’ stentatamente. Insomma, non le succede di fare molta pratica. Ma ricorre al francese quando deve ricostruire la storia di venerdì, i carabinieri che la fermano, lei che rifiuta di scoprirsi di fronte a uomini che non siano il marito, la vigilessa che l’identifica, l’annuncio dei 500 euro da pagare: «Ma non eravamo vicino alla posta come hanno scritto i giornali, quello non era un luogo pubblico. Camminavo con mio marito lungo la rivière...». Che sarebbe poi il canalone che attraversa Novara.
La guardi e pensi che, globalizzazione o no, rivoluzione digitale o meno, qui si deve sentire un po’ come su Marte. Che cosa pensa, Amel, del Paese che la ospita? Ci sono aspetti che le piacciono, altri che non capisce, multa a parte? Berlusconi? Il Festival di Sanremo? La Lega? Il Grande Fratello? «Non lo so, non so che dirle. Mi pare che tutto vada bene, io non faccio nulla di male, voglio la mia libertà. Mi capisce?» Ben Salah, che fino a questo punto ci aveva lasciate sole, decide che è venuto il momento di dire la sua. Sembra molto giovane anche lui, la barba curatissima, lo sguardo preoccupato. «È un casino, un casino», ripete. «Ho sentito l’avvocato, vedremo che cosa succederà. Non so come li pagherò questi 500 euro. Ma la devono smettere di dire che eravamo in un luogo pubblico». La strada è un luogo pubblico, signor Ben Salah... «Non capisco, non so. Oggi mi è arrivata anche la bolletta del gas. Guardi, sono quasi 300 euro. Ci voleva pure questa».
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