Da La STAMPA del 12 maggio 2008, una cronaca di Giovanna Favro:
La Fiera del Libro insiste. Il confronto mancato quest’anno, il dialogo tra gli scrittori israeliani e gli autori arabi e palestinesi, si farà l’anno prossimo. L’ha promesso il direttore Ernesto Ferrero, nell’ultimo giorno di Fiera. Ieri alle 22 è andata in archivio la 21ª edizione, mai come quest’anno sotto i riflettori del mondo tra polemiche, minacce di disordini e inviti al boicottaggio per la presenza di Israele come ospite d’onore. Da quella terra verranno nel 2009, quando saranno ospiti la cultura e la letteratura dell’Egitto, anche i «tre tenori»: oltre a Avraham Yehoshua, che s’è già impegnato a tornare, saranno al Lingotto Amos Oz e David Grossman, che quest’anno hanno partecipato al Salon du livre di Parigi e la cui assenza ha invece pesato negativamente a Torino, per quanto fossero presenti molti interessanti autori israeliani, dall’anziano Aaron Appelfeld al giovanissimo Ron Leshem.
Superati i timori di proteste e cortei, ieri gli organizzatori sprizzavano orgoglio per un’edizione da record quanto a presenze di autori (2000 relatori) e editori (1400), ma anche per i dati di pubblico: i visitatori sono calati, ma solo del 2-3%, rispetto ai 302 mila dell’anno scorso. La voglia di incontrare maestri come Gore Vidal, Dario Fo e Giovanni Reale, o autori come Clive Cussler, Javier Marías, Boris Pahor e Aarto Paasilinna, è stata più forte di ogni polemica. Così, il presidente Rolando Picchioni ha potuto dire forte che «doveva essere una Fiera blindata: la Fiera delle sale vuote, dei paglioni deserti, della paura. Invece è stata la Fiera della bellezza. L’unico assedio è stato dei lettori».
Superato ogni pericolo, ieri è andato in scena pure il processo ai media, accusati d’aver lanciato allarmi vani ed eccessivi. Ma alla fine la Fiera ha dovuto ringraziarli: non s’erano mai accreditate 900 testate, con 2400 giornalisti e 1500 fotografi e cineoperatori venuti anche da Usa e Giappone. È accaduto anche in virtù dei polveroni su Israele, ed è grazie ai media se «abbiamo acquisito enorme notorietà internazionale - ha ammesso Ferrero -. D’ora in poi, invitando editori e scrittori stranieri, non dovremo più spiegare chi siamo».
Non è un caso, del resto, se per la prima volta ha inaugurato la Fiera del Libro il Capo dello Stato, e ai raggianti amministratori locali - dalla presidente della Regione Mercedes Bresso a quello della Provincia Antonio Saitta, all’assessore Fiorenzo Alfieri per il Comune - ieri è arrivato il ringraziamento di Gideon Meir, l’ambasciatore di Israele, che ha parlato di «grande successo» e ha elogiato «il coraggio della manifestazione e delle istituzioni piemontesi, che non si sono ritratte di fronte alle pressioni di chi avrebbe voluto che rinunciassero a invitarci». Gli editori hanno venduto più del 2007: sono ripartiti quasi tutti soddisfatti, per quanto Beppe Laterza abbia stigmatizzato il «clima manicheo, da stadio, dei troppi che riducono il dibattito culturale a opposte bandiere», e Antonio Sellerio abbia puntato il dito «contro le polemiche inutili, che hanno in parte oscurato il palinsesto culturale».
La Fiera tornerà dal 14 al 18 maggio 2009. L’Egitto sarà celebrato anche con un sontuoso côté espositivo garantito dalla Compagnia di San Paolo, con i capolavori dell’archeologia sottomarina di Alessandria alla reggia di Venaria e i segreti di Akhenaton a Palazzo Bricherasio.
Un editoriale di Giovanni De Luna, che voleva trasformare la Fiera in un processo a Israele e non si smentisce. Sostiene che i palestinesi "lottano per la sopravvivenza come popolo", il che implicherebbe che Israele li voglia annientare come popolo. Un'accusa falsa e ingiuriosa.
Ecco il testo:
Una sorta di organismo animale, carico di una prorompente vitalità, con suoi umori, le sue passioni, una propria fisicità corporea. Questo è sembrata la Fiera del Libro. Certo che l'efficienza e la capacità degli organizzatori sono state cruciali per farla nascere e tenerla in vita. E certamente sono emerse anche nella lucidità con cui hanno gestito l'invito a Israele. Ma ormai è come se la loro creatura esista per conto proprio. Sarà difficile ammazzarla. Ed era difficile anche solo pensare di fiaccarla e indebolirla con le polemiche.
Nel boicottaggio è precipitato un groviglio di motivazioni: c'era l'istintiva solidarietà per Davide contro Golia, per i palestinesi che lottano per la sopravvivenza come popolo; ma c'erano anche gli echi di un livido antisemitismo, il tentativo di strappare ai media una certificazione di esistenza. Queste componenti non sono mai riuscite a fissarsi in un composto omogeneo, in una linea di intervento nitida e condivisa. E questo perché in partenza era sbagliato il giudizio sulla Fiera. Si è pensato al Lingotto come all'ennesima passerella politica, si è voluto inchiodare la manifestazione a una dimensione «ufficiale» e celebrativa, riducendola alla presenza di Israele o alla visita inaugurale di Napolitano. Ma guardare alla Fiera come a una sorta di G8 non aveva senso; non c'erano i potenti della Terra, ma solo migliaia di persone che si recavano al loro annuale appuntamento con i libri.
Agli organizzatori del boicottaggio è sfuggita proprio la natura «animale» della Fiera; bastava immergersi nella corporeità delle code e delle calche agli stand per capire che il Lingotto si sottraeva alla sua tristezza abituale di «non luogo» per trasformarsi in una calda comunità di libri e di lettori. Così, in sede di bilancio conclusivo, ognuno può fare adesso le sue riflessioni. Agli organizzatori del boicottaggio va consegnato un curioso paradosso: grazie alla Fiera, la questione palestinese è stata per mesi al centro dell'attenzione dell'opinione pubblica. Agli organizzatori della Fiera, la consapevolezza che anche le sfide più azzardate possono essere vinte fidandosi della vitalità animalesca della loro creatura. A Torino la certezza di poter contare su eventi culturali che non sono le brioche di Maria Antonietta, ma parte integrante dell'identità cittadina.
Ugo Tramballi sul SOLE 24 ORE sostiene la tesi dell'occasione perduta per comprendere il dramma israelo-palestinese.
Non si capisce perchè: gli scrittori israeliani si sono espressi liberamente sul loro paese e sul conflitto, chi voleva ascoltare, replicare, proporre anche le tesi più discutibili (alla Fiera è intervenuto anche Dario Fo, con un "numero" di propaganda antisraeliana" ha potuto farlo.
Non c'è stato, per fortuna, il processo auspicato da alcuni. Altri si sono autoesclusi, e la loro intolleranza la dice lunga su quale genere di "contributo" avrebbero potuto dare al dibatitto.
In ogni caso la Fiera del libro ha presentato la letteratura di Israele, non la sua politica. Non era una conferenza internazionale di pace e non andrebbe giudicata come tale.
Da NUOVA AGENZIA RADICALE, una proposta di Elena Lattes:
La Fiera del libro sta volgendo al termine. Tante polemiche che fortunatamente non hanno ottenuto l'effetto che i boicottatori desideravano, cioè quello di impedire l'incontro tra i libri, gli scrittori e i loro lettori. Di impedire, in sostanza la diffusione della cultura, non solo quella del Paese ospite d'onore, ossia Israele, ma in generale, il libero scambio di idee e il tentativo di sensibilizzare i comuni cittadini sui problemi del mondo, che affliggono gli individui e i popoli, come è stato dimostrato, negli incontri in cui si è parlato del Darfur o della Birmania...
L'anno prossimo, è stato già annunciato, ospite d'onore sarà l'Egitto. Allora perché non invitare insieme anche l'Autorità o, se Hamas e Fatah si decidessero a costituirlo, lo Stato Palestinese? Avraham Bet Yeoshua lo ha già proposto proprio in questi giorni, promettendo la sua presenza per sostenere questa iniziativa.
È vero che l'ospite d'onore è, secondo tradizione, un solo Paese, ma quale progetto migliore per celebrare la nascita dello Stato che l'Onu proclamò 60 anni fa e che gli arabi rifiutarono?
In fondo i palestinesi hanno molto in comune con gli egiziani, forse più di quanto hanno in comune con gli israeliani. Vediamo alcune caratteristiche.
Entrambi i popoli sono arabi per lingua e cultura. Entrambi hanno una maggioranza musulmana e una purtroppo sempre più esigua minoranza cristiana. L'Egitto fu tra i fautori della nakba; insieme ad altri Paesi arabi, infatti, invitò i "fratelli di Palestina"a fuggire e ad abbandonare le case che si sarebbero trovate dentro lo Stato di Israele; creò, così come fecero Giordania, Siria e Libano, i famigerati campi profughi che tuttora vengono mantenuti dall'Onu e occupò Gaza dal 1948 al 1967.
Arafat stesso, sembra secondo i certificati ufficiali, sia nato in Egitto. E tra questo Paese e la Striscia c'è un proficuo scambio di beni e di armi.
Se i vari comitati che quest'anno hanno boicottato la Fiera "per sostenere la Palestina" aderissero a questa proposta sarebbe una buona occasione per loro di dimostrare di essere per la costruzione di uno Stato nuovo e non per la distruzione di uno già esistente.
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