|
| ||
|
||
Da L'OPINIONE del 22 aprile 2008, un articolo di David Harris direttore dell’American Jewish Committee: Non passa giorno senza che io non debba imbattermi in una lezione rivolta ad Israele sull’imperativo della pace. Qualche volta viene da diplomatici. O da editorialisti. O da articolisti. O da studiosi. O da gruppi per i diritti umani. Francamente, la cosa mi fa ribollire il sangue. In primo luogo, presume che Israele desideri la pace per se stesso meno di quanto la vogliano gli altri. In secondo luogo, mostra l’arrogante pretesa che ciò che non appare subito palese ad Israele è abbondantemente ovvio a coloro che ne stanno fuori, seduti nei loro ministeri, uffici, torri d’avorio o luoghi di villeggiatura. E in terzo luogo, rivela una mancanza di umiltà in quanto Israele, e solo Israele, sopporterà le conseguenze di qualunque malintesa azione. Colpisce che molti di questi commentatori non siano mai stati in Israele, oppure l’abbiano visitato raramente, oppure lo visitino, ma soltanto in compagnia di quelli che condividono la loro stessa predisposizione ideologica. Per esempio, una persona chiamata a guidare un gruppo pacifista arabo-israeliano operante negli Stati Uniti, non aveva mai messo piede in Israele prima di assumere tale incarico. Non conosco nessun popolo sulla terra che abbia pregato per la pace più a lungo del popolo ebraico. Il desiderio di fondere le “spade in vomeri” e le “lance in falci”, e la visione del giorno in cui il leone e l’agnello giaceranno - e si sveglieranno – insieme, non furono concepiti come motti pubblicitari da affiggere su Madison Avenue: sono piuttosto il millenario contributo del popolo ebraico alla civiltà. Non conosco nessuna nazione sulla terra che aspiri alla pace più di Israele. Pensare altrimenti è presumere che Israele preferirebbe uno stato di conflitto permanente, il che, per dirla francamente, sarebbe davvero assurdo. E una qualunque persona ben intenzionata può veramente credere che il popolo ebraico, ristabilitosi nella terra dei suoi antenati dopo secoli di violenze, persecuzioni e stigmatizzazioni cercherebbe altro che non sia la tranquillità a lungo negatagli e la coesistenza pacifica coi suoi vicini di casa? O che i superstiti della Shoah che furono in grado di raggiungere le spiagge di Israele, nonostante gli innumerevoli ostacoli, sarebbero lieti delle decadi dopo decadi di pericoli e conflitti perenni? O che gli abitanti di Israele, che si tratti dei residenti nel paese da generazioni o dei nuovi venuti in fuga dall’intolleranza del mondo arabo o dall’oppressione dei regimi comunisti, cercherebbero uno stato di guerra senza fine? O che gli israeliani diano il benvenuto al quotidiano fuoco di fila dei razzi e degli attacchi a colpi di mortaio che piovono giù su Sderot creando devastazione nelle vite quotidiane di quelli che tentano di non fare nient’altro che vivere le difficoltà della propria vita e del lavoro di ogni giorno? O che gli israeliani siano contenti di sapere che corrono il rischio di un attacco terroristico persino nel semplice atto di prendere un autobus pubblico, ballare in una discoteca, mangiare in un pizzeria, o frequentare un’università? O che gli israeliani siano orgogliosi di essere relegati negli angoli più lontani degli aeroporti internazionali, dove sono sempre circondati da guardie pesantemente armate, per il semplice piacere di prendere degli aerei destinati a Tel Aviv? O che gli israeliani si ispirino ai leader di Hamas ed Hezbollah, i quali propagano una cultura di morte e devastazioni, quando, in realtà, Israele e il popolo ebraico hanno reso una forma d’arte la celebrazione della vita e la ricerca costante del suo miglioramento? No, l’Israele che io conosco cerca invece la pace disperatamente. La Dichiarazione di Indipendenza di Israele lo esprime chiaramente. Lo dimostrano le concessioni israeliane per gli accordi di pace con l’Egitto e la Giordania. Lo provano i ritiri da Gaza e dal Libano meridionale. Gli sforzi dei successivi governi israeliani di giungere ad una praticabile sistemazione bi-nazionale con i palestinesi continuano a sottolinearlo. E i sondaggi lo dimostrano costantemente. Ma quello che i commentatori da salotto troppo spesso non riescono a capire sono le difficoltà oggettive di Israele nel trovare dei partner fidati. Invece, essi hanno reso un lavoro a domicilio l’ignorare, il negare, il minimizzare, il razionalizzare, il contestualizzare o il rendere insignificanti gli ostacoli che Israele ha dovuto affrontare. È quasi come se gli orripilanti appelli di Hezbollah alla distruzione di Israele e degli ebrei, l’aspirazione di Hamas di sostituire l’intero Israele con un stato islamico, l’obiettivo dell’Iran di un mondo senza Israele, l’ospitalità concessa dalla Siria a tutti i principali gruppi terroristici della regione, e l’insegnamento del disprezzo e l’incitamento all’odio nei libri scolastici palestinesi non contasse per nulla. Tutto ciò viene invece visto semplicemente come una serie di scocciature, dei punti di discussione fuori questione da parte dei sostenitori di Israele. Noi viviamo in un mondo mezzo matto. Per molti, è normale condurre affari con l’Iran come al solito, mentre i suoi leader lanciano continui e imperturbabili incitamenti al genocidio degli ebrei. È routine, per il Consiglio dei Diritti Umani dell’Onu, controllato da una maggioranza numerica anti-Israele, rimaneggiare la storia identificando Israele come lo stato aggressore e al contempo ignorando allegramente le minacce e gli attacchi che esso sopporta per nessun’altra ragione al mondo che la sua stessa esistenza. I mezzi di informazione non riescono a definire gli assassini di civili innocenti di Hamas e Hezbollah quali “terroristi”, ma invece si riferiscono a loro più gentilmente come a dei “militanti”. Troppo spesso ci si riferisce al conflitto tra Israele e Hamas in maniera antisettica come alla “spirale della violenza”, quando invece è tutto tranne questo. Non c’è, dopo tutto, una chiara differenza morale tra quelli che puntano ad assassinare e quelli il cui obiettivo è fermare gli assassini? E la BBC ha compiuto il raro passo di scusarsi dopo che uno dei suoi reporter, riflettendo lo stesso atteggiamento mentale, ammassò insieme in una stessa frase l’assassinio del primo ministro libanese Rafiq Hariri (che cercò di ricostruire il suo paese) e quello di Imad Mugniyeh, il capo terrorista di Hezbollah assassinato recentemente a Damasco. La pace è stata al cuore del cammino ebraico da più di 3000 anni. Così come è stata al cuore del cammino di Israele da sei decadi. Noi possiamo avere bisogno di lezioni in molte cose, ma l’imperativo di cercare la pace non è una di queste. (traduzione italiana a cura di Carmine Monaco) Per inviare una e-mail alla redazione de L'Opinione cliccare sul link sottostante diaconale@opinione.it |
Condividi sui social network: |
|
Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui |