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L'Espresso Rassegna Stampa
14.01.2008 Non c'è la pace ? Il terrorista palestinese dà la colpa a Israele
dov'è la novità di questa ennesima intervista a Marwan Barghouti ?

Testata: L'Espresso
Data: 14 gennaio 2008
Pagina: 54
Autore: Gigi Riva
Titolo: «La pace vista dal carcere»
Gigi Riva, per L'ESPRESSO dell'11 gennaio 2008, intervista Marwan Barghouti, capo terrorista palestinese in carcere per cinque omicidi, chiedendogli lumi sulla "pace".
Ovviamente riceve risposte propagandistiche, che si ingegna di riportare con enfasi.
Esordisce così:
"Niente. Israele non fa niente per incoraggiare il processo di pace. E un simile atteggiamento può annullare gli effetti del "passettino" che si è compiuto con la Conferenza di Annapolis. Marwan Barghouti, il leader palestinese di gran lunga più popolare tra la sua gente, lancia l'allarme sul possibile, ennesimo fallimento dell'ennesimo piano di pace. Le parole escono dal carcere israeliano dove è detenuto e vogliono arrivare, idealmente, alle orecchie di George Bush, l'uomo che ha speso il proprio prestigio per riavviare le trattative e che in questi giorni è impegnato nel suo viaggio in Medio Oriente, il primo in Israele e in Palestina".
Seguono le abituali falsificazioni storiche ( si parla dei profughi palestinesi del 48, ma non della guerra scatenata per distruggere Israele, né dei profughi ebrei) a giustificazione dell'intransigenza politica di chi in modo palese continua a ribadire il suo rifiuto dell'esistenza di Israele come Stato ebraico.

E, nonostante questo, continua ad essere presentato dai media come interlocutore certamente affidabile per Israele e come uomo di pace.
Ecco il testo:



Niente. Israele non fa niente per incoraggiare il processo di pace. E un simile atteggiamento può annullare gli effetti del "passettino" che si è compiuto con la Conferenza di Annapolis. Marwan Barghouti, il leader palestinese di gran lunga più popolare tra la sua gente, lancia l'allarme sul possibile, ennesimo fallimento dell'ennesimo piano di pace. Le parole escono dal carcere israeliano dove è detenuto e vogliono arrivare, idealmente, alle orecchie di George Bush, l'uomo che ha speso il proprio prestigio per riavviare le trattative e che in questi giorni è impegnato nel suo viaggio in Medio Oriente, il primo in Israele e in Palestina. In questa intervista a 'L'espresso', Barghouti disegna, punto per punto, quelle che per lui sono le condizioni minime per arrivare a un accordo. Invita Hamas a riconsegnare il potere a Gaza nelle mani di Abu Mazen. Racconta, nei dettagli, anche la sua giornata in galera. E confida la speranza che la sua detenzione finisca presto.

Marwan Barghouti, crede davvero possibile la pace entro il 2008 come ha auspicato alla Conferenza di Annapolis il presidente Bush?

"Mi dispiace constatare che Israele non abbia avviato alcuna procedura che dia sostegno e fiducia ai palestinesi, che li incoraggi ad appoggiare la conferenza di Annapolis. Non è stato rimosso alcuno dei 623 sbarramenti che interessano oltre seimila chilometri quadrati di territorio. Una cosa simile non esiste in nessun altra parte della Terra. Tutto questo porta a sofferenza, tortura ed umiliazione. Israele non ha rilasciato un numero consistente di prigionieri, ma soltanto 400 persone che avevano terminato di scontare la pena o a cui mancavano pochi mesi. Nelle carceri israeliane vi sono undicimila prigionieri. Inoltre Israele ogni giorno cattura 300-400 palestinesi. Comunque ad Annapolis un passo, anche se piccolissimo, è stato fatto e questo dà rilevanza internazionale alla causa palestinese. Ma questa strada è lunga, difficile e piena di ostacoli. L'accordo entro il 2008 sarebbe possibile se il governo israeliano riuscisse a prendere delle decisioni coraggiose, come porre fine all'occupazione. Sembra però che l'atteggiamento del governo israeliano non vada verso questa direzione. Ad ogni modo i palestinesi faranno tutto il possibile affinché le trattative abbiano successo, anche se deboli sono le loro speranze".

Svisceriamo i nodi del contendere. Qual è la soluzione accettabile per Gerusalemme?

"C'è solo un'unica soluzione: il ritiro da Gerusalemme orientale, occupata da Israele nel 1967, perché diventi la capitale di uno Stato palestinese indipendente e democratico. Dopo il ritiro di Israele, Gerusalemme diverrà la capitale dello Stato palestinese, sarà simbolo di pace. Lo Stato sarà garante dei diritti delle tre religioni monoteiste".

Ritorno dei profughi. Secondo le stime sono 4 milioni. È pensabile possano tornare tutti, alterando in modo irrevocabile la composizione etnica dello Stato ebraico?

"Israele, al momento della proclamazione del suo Stato, ha espulso centinaia di migliaia di abitanti dal proprio paese, ha distrutto centinaia di villaggi e città, ha costretto i palestinesi a vivere in uno dei più grandi accampamenti di profughi e per un tempo così lungo che non vi è pari nella storia moderna. Noi tutti continuiamo a chiedere l'applicazione della Risoluzione 194 dell'Onu, relativa ai profughi palestinesi, ai loro diritti di tornare nelle loro case ed al risarcimento dei danni".

Accettereste l'ipotesi di scambi territoriali per garantire l'omogeneità etnica nei due Stati, Israele e Palestina?

"I territori occupati nel 1967 rappresentano solo il 22 per cento della Palestina storica. Nonostante questo, abbiamo accettato di fondare lo Stato in quell'esiguo territorio, vicino allo Stato di Israele. Quando Israele deciderà il ritiro completo e riconoscerà i diritti del popolo palestinese allora si potrà trattare su qualsivoglia idea e progetto".

Come si può dividere un bene come l'acqua?

"Dall'inizio dell'occupazione Israele ha avuto il controllo completo di tutte le risorse idriche in Cisgiordania e a Gaza. Ha destinato ai palestinesi una quantità di acqua pari ad un decimo di quella che ricevono gli insediamenti israeliani nei territori palestinesi. La carenza di acqua, comporta naturalmente un forte danno sia per l'uso comune sia per l'uso industriale. Per poter scavare un pozzo è necessario richiedere un permesso alle autorità israeliane. In città come Betlemme, l'acqua arriva ogni dieci giorni. Israele deve lasciare le fonti, le sorgenti principali ed i bacini presenti in Cisgiordania ai legittimi proprietari, i palestinesi, i quali potranno cooperare riguardo le risorse idriche sulla base delle norme internazionali".

Pensa che Abu Mazen e Olmert siano in grado di trovare quel compromesso che non riuscì a personaggi come Sharon e Arafat?

"Olmert è sostenuto da una grande maggioranza, cosa che nessuno tra i leader che lo hanno preceduto ha avuto mai; se prendesse una decisione storica, riguardo la pace e la fine dell'occupazione, senza dubbio riceverebbe il consenso di una vasta parte del popolo israeliano. Ha davanti una grande occasione, ma se si lasciasse prendere dalla paura e dal dubbio non arriverebbe ad alcun risultato. Riguardo ad Abu Mazen, egli è il Presidente eletto dal popolo palestinese. Inoltre, sulla base di un atto firmato da tutte le fazioni, ha il diritto di trattare sui prigionieri in Israele. Dovrà trovare una soluzione definitiva a questo problema. Qualunque accordo raggiunto verrà poi sottoposto ad un referendum popolare. Ad ogni modo, Abu Mazen, ha la fiducia dei palestinesi su questo punto".

Qual è il ruolo della Siria nei negoziati?

"La Siria, le cui alture del Golan sono state occupate nel 1967, ha un ruolo fondamentale nella lotta arabo-israeliana. È ritenuta importante per la regione la sua partecipazione alla conferenza di Annapolis, ed ancora prima alla conferenza di Madrid. Il suo impegno è sincero. Non si può ignorare il suo appello per la pace in Medio Oriente. Il suo è un forte appoggio alla causa palestinese".

Se i negoziati falliranno cosa succederà? La fine della speranza produrrà lo scoppio di una Terza Intifada? In quel caso, che Intifada sarà?

"Nel caso le trattative dovessero fallire, si prolungherebbero la conflittualità, il dolore e la sofferenza dei due popoli. In particolare il popolo palestinese, non rinuncerà mai ai suoi diritti inalienabili, malgrado la forte sofferenza. Ripartiranno i movimenti e le lotte popolari su larga scala contro l'occupante".

Stando ai sondaggi, il Likud di Netanyahu vincerà le prossime elezioni in Israele. Sarà possibile fare la pace anche con lui?

"Abu Mazen ha annunciato che dialogherà con il governo israeliano eletto dal popolo. Ogni governo israeliano, indipendentemente da chi lo guidi, non avrà sicurezza e pace mantenendo l'occupazione e gli insediamenti. Netanyahu si è ritirato dalla Galilea firmando l'accordo di Way River. Prima o poi, qualunque governo israeliano sentirà l'obbligo di riconoscere i diritti dei palestinesi. Lo stesso Sharon, che con le sue azioni di odio è stato molto ostile nei confronti dei palestinesi, è stato obbligato a ritirarsi da Gaza e diminuire gli insediamenti, grazie alla lotta dura dei palestinesi".

Passiamo alla parte palestinese. Qual è la sua soluzione per il problema di Gaza?

"Hamas, col controllo militare su Gaza, ha commesso un errore strategico, si è messo in trappola e ha trascinato il movimento palestinese in una crisi senza precedenti. Tutto questo va a favore di Israele e indebolisce i palestinesi. Hamas deve lasciare il controllo di Gaza e consegnare il potere ad Abu Mazen, restituire tutti i beni ai legittimi proprietari e avviare le procedure per le elezioni politiche e presidenziali affinché si possano eleggere i membri del Consiglio Nazionale Palestinese nel 2008. L'augurio è che Hamas si impegni assieme a tutti i partiti e le fazioni a rispettare la costituzione provvisoria, rinunci alla violenza per risolvere i problemi interni e rispetti il principio democratico. Solo se rispetterà queste condzioni, si potrà poi avviare un dialogo strategico a largo raggio".

Quali sono i rapporti, in carcere, tra detenuti di Fatah e di Hamas?

"La maggior parte dei prigionieri, circa 5.000, appartengono a Fatah. Dei restanti circa 2.500 appartengono ad Hamas, 1.300 ai movimenti della Jihad Islamica, 700 alla Sinistra palestinese e oltre 1.000 sono funzionari pubblici. Questi prigionieri si trovano in diversi campi, e tra di loro hanno stabilito buoni rapporti sotto tutti gli aspetti. Si discute, si dialoga e si esprimono pensieri sulla via da seguire per conseguire l'unità del nostro popolo".

Perché Fatah non è in grado di organizzare il congresso molte volte annunciato e mai alla fine celebrato?

"Dispiace che i vertici di Fatah non abbiano fatto molto per convocare la conferenza generale del movimento, che non viene convocata da venti anni. I vertici fanno finta di non sentire, dal momento che il movimento ha subito due scosse forti, la perdita delle elezioni ed il crollo del potere a Gaza. È iniziata solo ora la preparazione in varie regioni per la convocazione di una conferenza di Fatah. Ieri è stata la volta di Jenin, poi si proseguirà in altre regioni per arrivare, ci si augura, alla convocazione della conferenza nel 2008. Ci sarà senza dubbio l'elezione di un nuovo leader. Tutto questo deve avvenire prima delle elezioni del Consiglio nazionale all'Olp".

Come sono le sue condizioni in prigione? Come trascorre le giornate?

"Dopo la mia cattura, avvenuta in modo duro e violento, sono stato sottoposto per mesi ad interrogatori in condizioni molto pesanti e per me umilianti. Ho trascorso tre anni da solo in una piccola cella di isolamento dove mancavano i requisiti minimi per condurre una degna vita umana. Attualmente vivo in una piccola cella assieme a due prigionieri. I colloqui con i parenti sono proibiti. Non voglio poi parlare della situazione igienico-sanitaria. Nel 2007, sono morti 5 prigionieri. Ogni giorno la sveglia è alle ore 6,15, l'orario scandito dai carcerieri; alle ore 7,30 usciamo su un piccolo corridoio sovrastato da tubi di ferro e con muri di cemento molto alti. Sembra di camminare all'interno di un pozzo profondo. In questo modo facciamo un po' di ginnastica. Si rientra in cella alle ore 10.00. Alle ore 10,30 si ricomincia la conta. Ogni giorno acquisto e leggo tre giornali in lingua ebraica. Nel pomeriggio si esce nel cortile dove incontro altri prigionieri. Nel complesso leggo sei ore al giorno. Storie arabe e internazionali, libri di cultura, di politica ed altro, anche libri di affari israeliani. Seguo le notizie del telegiornale e i programmi tv".

Di tanto in tanto si parla della sua liberazione? Ci crede?

"Da quando sono stato arrestato sento parlare, attraverso gli organi di informazione, del mio rilascio ma, fino ad ora, sono ancora dentro. Sono certo che tutti i prigionieri usciranno dalle carceri di Israele e che il tentativo di Israele di piegare la nostra volontà è fallito. Mi auguro di essere liberato presto".

Come vede il suo futuro personale e quello del suo popolo? È ottimista o pessimista?

"Il mio futuro è legato al futuro del mio popolo. Ho combattuto per questo. Sono orgoglioso di appartenere a questo popolo, che ha dimostrato di avere grande pazienza e che, malgrado le umiliazioni e le sofferenze, continuerà il sacrificio per arrivare ad ottenere i suoi diritti. A me interessa la libertà del mio popolo che è la stessa mia libertà. Io sono ottimista. Credo che la fine dell'occupazione, oggi in fase di tramonto, avverrà presto, in quanto non ha più la forza per continuare dopo quaranta anni. La nostra fermezza viene appoggiata dalla solidarietà internazionale e dai popoli liberi. Alla fine avremo il nostro Stato con libertà di opinione, vari partiti e una società con pari diritti fra uomini e donne. Io credo che l'ultimo giorno dell'occupazione sarà il primo giorno della pace tra i due popoli, israeliano e palestinese. Gli israeliani, non avranno mai pace e sicurezza se c'è l'occupazione".

traduzione di S. L. Gawhary

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