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Generazione Zeta, come sconfiggere il pregiudizio su Israele e ebrei 08/12/2025

Riprendiamo dal BET Magazine, numero di dicembre 2025, a pag. 12 il commento di Davide Cucciati dal titolo "Generazione Zeta, come sconfiggere il pregiudizio su Israele e ebrei"


Davide Cucciati

Asher Colombo, professore ordinario di Sociologia all'Università di Bologna

C’è una frase che più di ogni altra riassume lo stato del discorso pubblico, tra i giovani italiani, sugli ebrei e Israele: “Il governo israeliano si comporta con i palestinesi come i nazisti con gli ebrei”. A ritenerla vera è la metà degli universitari di tre grandi atenei del Nord, secondo un’importante ricerca congiunta delle università di Bologna, Milano Bicocca e Padova, in collaborazione con il Centro di Ateneo per lo studio della Resistenza e dell’età contemporanea dell’Università di Padova. L’indagine, sviluppata nell’ambito dell’Istituto Cattaneo sotto la supervisione di Asher Colombo, professore ordinario di Sociologia generale all’Università di Bologna e presidente dello stesso Istituto, insieme a Gianpiero Dalla Zuanna, ha coinvolto 2.579 studenti del primo e secondo anno tra il 29 settembre e il 31 ottobre 2023. Il questionario includeva quindici affermazioni suddivise in quattro blocchi: stereotipi cospirazionisti “classici” (sul potere finanziario e mediatico degli ebrei), accuse di “doppia lealtà”, espressioni del cosiddetto nuovo antisemitismo legato a Israele e alla Shoah, e, infine, due valutazioni positive sul contributo ebraico alla scienza e alla cultura occidentale. Il quadro che emerge è inquietante: l’antisemitismo “classico” resiste a destra e tra chi non si colloca politicamente (con punte del 35% sull’idea che “gli ebrei muovano la finanza mondiale”), mentre a sinistra prende piede un antisemitismo che trasforma Israele in capro espiatorio. L’adesione all’affermazione secondo cui gli ebrei non sono veri italiani è considerata vera da un numero di persone di destra sei volte superiore rispetto a quanto si registra a sinistra. L’idea che “degli ebrei non ci si possa mai fidare” è considerata vera da un numero di studenti di destra quasi dieci volte superiore rispetto a quelli di sinistra.

La situazione generale appare assai differente per le domande relative a Israele e alle accuse di comportarsi da nazista. Tra i giovani di sinistra la quota di chi considera vero questo concetto si impenna dopo il 7 ottobre 2023. Da minoritaria, anche se di poco, diventa maggioritaria, e supera il 60% di coloro che si definiscono di sinistra. La crescita non si arresta e, nel periodo successivo al 17 ottobre, a equiparare Israele alla Germania nazista è poco meno del 70%.

E tutto questo, come sottolinea Colombo, è avvenuto prima ancora della risposta militare israeliana su Gaza. C’è però un fattore determinante: l’istruzione. Più è alto il voto di maturità, più calano gli stereotipi. Persino un solo libro non scolastico letto in un anno può fare la differenza. Pertanto, abbiamo posto alcune domande ad Asher Colombo per capire meglio la situazione attuale.

Quasi uno studente su due equipara Israele alla Germania nazista. Dai vostri dati, questa equiparazione era già molto presente prima del 7 ottobre, soprattutto a sinistra, dove era già maggioritaria. Dopo il 7 ottobre cresce ancora e sfiora il 70%. Cosa l’aveva resa già “radicata” nelle menti? Quanto pesa in questo processo la potenza delle immagini virali?

Le domande che abbiamo posto sono in linea con quelle usate anche in altre ricerche internazionali: servono per avere paragoni e solidità. Non siamo rimasti sorpresi dalle dimensioni: già prima del 7 ottobre la quota di chi aderiva a quell’equiparazione era molto alta e non solo tra gli studenti. Esistono almeno due o tre indagini del FRA (Fundamental Rights Agency dell’UE) che rilevavano come più della metà degli italiani si riconoscesse in quella affermazione. È un’idea che circola da molto tempo. Già durante la guerra del Libano si trovano tracce di questa narrativa che ha iniziato a diffondersi a partire dal 1967 e si è radicata soprattutto nei circuiti della sinistra. Deriva in parte da vecchie campagne antisemite dell’Europa dell’Est. Naturalmente, gli studenti universitari tendono a essere più orientati a sinistra rispetto ai coetanei non studenti, quindi questa influenza si accentua. Dopo il 7 ottobre, l’idea cresce ulteriormente.

Ma il punto più importante è che il salto lo vediamo subito, già all’indomani dell’attacco terroristico di Hamas, quindi prima ancora dell’intervento militare israeliano. I dati ci dicono che quell’aumento non è una reazione alla politica del governo di Israele: è precedente. L’impennata si registra già l’8 ottobre. È una dinamica confermata anche da ricerche condotte in Francia e negli Stati Uniti. Non è quindi un problema legato alla “durezza” della risposta israeliana. Si sono create le condizioni per esprimere apertamente un’idea che era già presente. Mi ha colpito, per esempio, rileggere uno dei primi documenti firmati da professori dell’Università di Bologna subito dopo il 7 ottobre: condannavano Hamas ma allo stesso tempo definivano Gaza come “la prigione a cielo aperto più grande del mondo”. È la classica narrazione del “se la sono cercata”.

Le forme di antisemitismo “classico” (sul potere finanziario, mediatico, ecc.) resistono soprattutto a destra: “gli ebrei controllano la finanza mondiale” è accettato da oltre un terzo degli studenti di quell’area. Che dialogo c’è oggi tra il vecchio antisemitismo e quello di nuova matrice?

Non sono separabili. C’è una correlazione diretta: chi aderisce a un tipo di stereotipo spesso aderisce anche all’altro. Le due dimensioni hanno molte sovrapposizioni.

Colpisce anche il dato positivo: la maggioranza degli studenti riconosce il contributo ebraico alla scienza e alla cultura occidentale. Ma questa ammirazione convive con stereotipi forti. È ambivalenza? O un’opportunità per intervenire?

È ambivalenza. Spesso queste valutazioni positive convivono con quelle negative.

Gli ebrei vengono percepiti come “diversi” sia nel bene che nel male: un gruppo a parte, “intelligente”, potente. Pensiamo per esempio al legame che alcuni fanno tra intelligenza e controllo della finanza o dei media. Anche nel positivo, c’è separazione.

Nei giorni immediatamente successivi al 7 ottobre 2023, l’adesione a certe tesi cospirazioniste (come il “controllo ebraico della finanza”) cala temporaneamente. L’effetto, però, non perdura. Cosa ci dice questo “effetto shock” di breve durata?

È stato un mero effetto simpatia. Un riflesso temporaneo. Ma poi tutto è tornato com’era, molto rapidamente.

Il vostro studio mostra una chiara asimmetria: antisemitismo classico più a destra, antisemitismo connesso a Israele più a sinistra. Che ruolo ha l’identità politica? Parlando dei movimenti giovanili dei primi due partiti in Italia (Gioventù Nazionale e Giovani Democratici) e ciò che in questi anni hanno espresso, lei vede delle scintille di speranza o, al contrario, la conferma che nulla potrà migliorare?

Non ho dati diretti sui movimenti giovanili dei partiti, come Gioventù Nazionale o i Giovani Democratici. Quel che vediamo sono le posizioni più estreme, più esposte. Ma non è detto che siano rappresentative dell’intero gruppo.

Bisogna essere prudenti.

Un dato interessante riguarda gli studenti che non si collocano né a destra né a sinistra: sembrano assorbire pregiudizi classici in modo “diffuso”.

Anche persone molto preparate possono aderire a idee distorte, se mancano strumenti critici. Quella zona “grigia” è delicata, proprio perché meno ideologizzata ma più permeabile ai pregiudizi dominanti.

Lo studio segnala che l’antisemitismo diminuisce al crescere del voto di maturità. Quali interventi educativi, che non siano già stati fatti, suggerirebbe concretamente a scuole e università?

Anche la sola lettura di un libro non scolastico, in un anno, fa la differenza. Abbiamo visto che più sono solide le conoscenze storiche, meno attecchiscono le ideologie preconfezionate. È una questione di capacità critica: saper collocare gli eventi, interpretare le analogie. Qualcosa si può e si deve fare, a partire dall’insegnamento della Storia. Con più strumenti, si sviluppano più anticorpi.

Un dato chiave della vostra indagine che ogni rettore universitario dovrebbe conoscere?

Secondo me, la diffusione di alcuni pregiudizi molto concreti. Per esempio: circa il 15% degli studenti pensa che gli ebrei non siano “italiani fino in fondo”. È un dato preoccupante. Sottovalutare e non fare i conti con la diffusione di queste idee, e con i pericoli del loro rafforzamento, è un grave errore. Non dimentichiamo che le università italiane, a differenza della popolazione generale, aderirono con entusiasmo alle Leggi razziali del 1938. L’appoggio degli intellettuali e degli studenti fu ben superiore alla media nazionale. È impressionante che, a tre o quattro generazioni di distanza, non si tenga conto di questo passato. Le università dovrebbero essere luoghi di confronto e analisi dei fatti storici, non di conformismo rispetto alle frange più rumorose. E invece, in molti casi, sembrano aver abdicato a questa funzione.

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