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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Storia
E il mondo mente
un articolo di Ben Dror Yemini sui profughi palestinesi

Ben Dror Yemini, giornalista e giurista israeliano

 

 

 

Maariv, 1/10/2006

 

 

 

Traduzione di Sharon Nizza

 

 

 

E il mondo mente

 

 

 

Com'è possibile che il mondo si occupi dei profughi Palestinesi molto più di tanti altri profughi? Secondo articolo della serie.

 

 

 

 

 

Il primo articolo della serie, pubblicato a Rosh Hashanà, trattava del silenzio mondiale riguardo alle uccisioni di massa perpetrate da Arabi e Musulmani, specie contro Arabi e Musulmani stessi. Il silenzio del mondo assume una rilevanza particolare, nel momento in cui i mezzi di comunicazione e gli ambienti accademici occidentali diffondono milioni di pubblicazioni che accusano Israele di commettere un genocidio - un genocidio che non c'è mai stato. La verità è, com'è stato dimostrato, che il conflitto tra Israele e i Palestinesi ha provocato (e è un bene che sia così) un numero limitato di vittime rispetto a qualsiasi altro conflitto di simile portata nel mondo. Il presente articolo concerne il problema dei profughi, facendo riferimento a dati, proporzioni e alle modalità di relazionarsi delle Nazioni Unite e della comunità internazionale al problema dei profughi in generale e di quelli Palestinesi in particolare.

 

 

 

 

 

Iniziamo con una storia. Una storia conosciuta. In un ben noto paese, che un tempo era sottoposto all'Impero Ottomano, risiede una grande minoranza musulmana. Tra la maggioranza e la minoranza non vigono rapporti amichevoli. Entrambe hanno alle spalle una storia tragica, che comprende anche atti di ostilità reciproci. A un certo punto la maggioranza impone a una gran parte della minoranza musulmana di lasciare il paese, emigrare in un paese vicino, nel quale la minoranza è maggioranza, da un punto di vista religioso, etnico e nazionale.

 

No, non stiamo parlando di Israele e dei Palestinesi. Questa è la storia della minoranza musulmana-turca in Bulgaria. Eh no, non è successo 200 anni fa. E' successo meno di 20 anni fa, alla fine degli anni '80. Trecentomila musulmani sono stati costretti a lasciare la Bulgaria. Non proprio un trasferimento forzato, ma di certo un trasferimento sotto pressione.

 

E se non avete mai sentito parlare di "diritto al ritorno" e di un imprecisato numero di organizzazioni che si occupano dei "profughi" della Bulgaria, e nemmeno di campi profughi e di migliaia di pubblicazioni e relazioni, è per un unico motivo: loro non sono Palestinesi. Perché, come i Turchi, esistono altri gruppi che contano milioni, svariati milioni, di persone costrette a abbandonare l'antica patria a seguito di cambiamenti politici e variazioni di confini.

 

 

 

 

 

"Il diritto al ritorno è la carta vincente, cioè la distruzione di Israele"

 

 

 

Per nostra fortuna, il mondo oggigiorno agisce generalmente secondo il buon senso: non vuole imporre un mattatoio che porterebbe al disfacimento e al crollo di Stati. Il mondo è sensato, almeno fino a che non si giunge ai Palestinesi. A quel punto il mondo impazzisce. Il nero diventa bianco e il bianco nero. Tutto ciò che è valido per ogni altro conflitto nel mondo viene stravolto, quando si arriva al piccolo, molto piccolo, fazzoletto di terra degli ebrei.

 

Improvvisamente ciò che è vero per la Bulgaria, la Turchia, la Grecia, la Cechia, l'India e il Pakistan e altre decine di stati non vale per Israele. Israele deve rispondere a altri criteri. Opposti. E, anche in questo caso, un coro di organizzazioni internazionali si occupa di un'unica cosa: della propaganda mondiale volta a ingigantire e a perpetuare il problema dei profughi palestinesi.

 

In molti altri organi la tendenza è ancora più evidente e si riflette nell'imposizione a Israele, e solo a Israele, di un certo tipo di soluzione, denominata "diritto al ritorno", che è del tutto chiaro porterà a appiccare un incendio imponente. C'è chi supporta questa soluzione per ignoranza e ingenuità. Tuttavia i più la sostengono, perché il loro scopo non è il raggiungimento di un accordo o di una soluzione, bensì il loro scopo in pratica è l'incendio. O, nelle parole di Saker Habash, uno dei consiglieri di Arafat: "Il diritto al ritorno è la carta vincente, cioè la distruzione di Israele".

 

Non ci occuperemo in queste pagine delle grandi emigrazioni di popoli nel corso della storia. Né tanto meno siamo intenzionati a chiedere agli Arabi, che hanno invaso l'Asia, l'Africa e l'Europa, di ritornare nella loro culla originaria. E non pretenderemo dai conquistatori bianchi del continente americano di tornare in Europa, nonostante non solo abbiano conquistato, si siano impossessati e abbiano violato una terra che non apparteneva loro, ma abbiano anche perpetrato crimini contro l'umanità.

 

Ci concentreremo solamente su quegli scambi di popolazione che sono stati effettuati dall'inizio del ventesimo secolo. E nemmeno su tutti, perché lo spazio è limitato, bensì solo su quelli che presentano una certa somiglianza con gli scambi di popolazione avvenuti tra Israele e gli Stati Arabi confinanti. Scambi che includono, da ambo le parti, l'espulsione, la fuga e la migrazione volontaria.

 

 

 

 

 

Lo scopo dell'UNRWA: perpetuare la condizione dei profughi Palestinesi

 

 

 

Tra i 600 e gli 800 mila Arabi hanno lasciato Israele in direzione degli Stati confinanti. Un numero simile[1] di Ebrei ha lasciato i Paesi Arabi e è giunto[2] in Israele. Questo scambio fa parte di un processo globale: decine di casi di scambi di popolazione avvenuti in seguito alla creazione di stati nazionali o stati aventi caratteristiche etniche o religiose. Decine di milioni di persone hanno preso parte a questi spostamenti. Nessuno, tra queste decine di milioni, è rimasto profugo. Nemmeno quelli che sono giunti in Israele. Questo titolo è riservato unicamente ai profughi Palestinesi.

 

Questa "doppia morale" inizia, ma non finisce, con il fatto che esistono due organizzazioni che si occupano di profughi. La prima, per tutti i profughi del mondo, è l'UNHCR[1] (l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati). La seconda è nota come UNRWA[2] (Agenzia delle Nazioni Unite per il Sostegno e il Lavoro dei Rifugiati Palestinesi nel Vicino Oriente) e si occupa unicamente di Palestinesi, secondo quanto stabilito dall'ONU.

 

Mentre lo scopo dell'organizzazione generale è aiutare i profughi a dare inizio a una nuova vita, cessando di essere dei rifugiati, lo scopo dell'UNRWA è opposto, in quanto essa mira a perpetuare la condizione del profugo. Decine di milioni di rifugiati hanno smesso di essere tali grazie ai programmi di sussidio dell'ONU. Eppure, nemmeno un profugo Palestinese si è separato da questa definizione. Al contrario. Essi continuano a moltiplicarsi ogni anno.

 

 

 

 

 

Secondo la definizione dell'ONU, il numero dei profughi cresce solamente

 

 

 

Perfino nella definizione del termine di "profugo" esiste una differenza. Ci si riferisce ai Palestinesi come "persone il cui domicilio abituale era la Palestina tra il Giugno 1946 e il Maggio 1948". Il trucco sta nel fatto che anche chi è arrivato in Palestina come lavoratore immigrato agli inizi del 1946, viene automaticamente definito profugo Palestinese, anche se si tratta di un Egiziano, Siriano, Giordano o Libanese. Una permanenza di due anni soltanto in Palestina accorda a una persona il diritto di venir compreso nella lista di quanti ricevono i servizi perenni dell'UNRWA.

 

Le cose non sono così per un profugo normale, il quale deve provare una serie di condizioni per poter ottenere il sussidio dell'UNHCR. E non è tutto. Secondo la definizione dell'ONU valida per tutti, chi si è già ambientato in un altro stato e ne è diventato cittadino attivo, non viene considerato profugo. In Giordania si trovano centinaia di migliaia di Palestinesi. Hanno ricevuto la cittadinanza. In Libano alcuni hanno assunto la carica di ministri. Ma, secondo la strana definizione dell'ONU, sono da considerarsi ancora profughi.

 

C'è un'altra differenza importante e fondamentale. Tra i profughi normali, solo la singola persona viene considerata profugo. Non i suoi famigliari e di certo non i suoi discendenti. Tra i Palestinesi la situazione è ancora una volta opposta. La condizione di profugo è genetica. Di generazione in generazione. Anche se i figli e i figli dei figli non hanno mai nemmeno visto la Palestina, e anche se alcuni sono diventati ricchi, ancora e sempre sono da considerarsi profughi.

 

In tal modo sotto l'egida dell'ONU il "problema dei profughi" viene protratto all'infinito. Non solo la definizione del loro status di profughi è diversa, ma gode persino di perpetuazione. Sicché il numero di profughi cresce di anno in anno. Così si dà vita a un mostro, il cui scopo è creare una situazione che di per sé impedisca la soluzione del conflitto.

 

 

 

 

 

Parallelamente a questo conflitto regionale, 10 milioni di persone sono state esiliate nei Balcani

 

 

 

Stando a ogni criterio internazionale valido negli stessi anni, "il problema dei profughi Palestinesi" si è esaurito al suo sorgere: il numero di Palestinesi che hanno abbandonato Israele è simile al numero di Ebrei che sono giunti in Israele[3] dai paesi Arabi. Israele non è stato l'unico luogo nel quale sono avvenuti scambi di popolazione in seguito a un conflitto di carattere religioso o nazionale. In ogni altro luogo del mondo il problema si sarebbe risolto in questo modo. Ma qui no. Qui vige la "doppia morale". Per capire quanto si tratti di una manipolazione politica, storica e internazionale, proponiamo di seguito una rassegna dei principali trasferimenti e scambi di popolazione.

 

 

 

I Balcani sono stati il principale focolaio di scambi di popolazione, di espulsioni, di trasferimenti forzati e di fughe di massa a seguito di guerre nel corso degli ultimi cento anni, a partire dalla prima guerra dei Balcani del 1912 e fino alla guerra in Kosovo del 1999, la quale non ha messo fine a questi movimenti di popolazione. Si stima che dai 7 ai 10 milioni di persone siano state coinvolte nei maggiori spostamenti. Non ci occuperemo in questo contesto di tutti gli spostamenti in questione, ma ne esamineremo solo alcuni.

 

Durante il periodo in questione la prima ondata è partita nel 1915, dopo la prima guerra dei Balcani. In quell'occasione furono trasferiti dai propri luoghi d'origine: circa 200 mila Ottomani, che sono passati alla Turchia; 150 mila Greci, che sono ritornati in Grecia; e circa 250 mila Bulgari, che sono tornati in Bulgaria.

 

La Prima Guerra Mondiale ha provocato spostamenti demografici ancora più significativi. Il numero di Serbi che furono costretti a abbandonare le proprie case è stimato a perlomeno 750 mila persone. Altri 250 mila furono costretti ai lavori forzati in Bulgaria e in Ungheria. Molti altri incontrarono la morte nel corso della marcia forzata verso il Mare Adriatico.

 

 

 

 

 

I Balcani hanno ottenuto il Premio Nobel per l'idea dei trasferimenti demografici

 

 

 

Dopo la Prima Guerra Mondiale circa 300 mila Bulgari sono stati costretti a abbandonare i territori, che erano stati sotto il dominio bulgaro fino alla guerra, tornando entro i nuovi confini della Bulgaria. Così fu anche per 200 mila Ungheresi, costretti a lasciare la Transilvania e a trasferirsi in Ungheria e per altri Ungheresi che, in numero simile, furono costretti ad evacuare territori iugoslavi e cecoslovacchi.

 

Gli anni '20 portarono a una nuova ondata, ancora più significativa nel nostro caso. Il grande trasferimento demografico di quegli anni avvenne tra Turchia, Grecia e Bulgaria, a seguito del Patto di Losanna del 1923. Il flusso migratorio principale fu di un milione e mezzo di cristiani dalla Turchia alla Grecia e di oltre 500 mila Musulmani dalla Grecia alla Turchia. Inoltre ci furono altri spostamenti di circa 80 mila Bulgari verso la Grecia.

 

Va ricordato che non venne effettuato il passaggio di tutta la popolazione cristiana verso la Grecia o di tutti i Musulmani verso la Turchia, ma lo scopo di questa operazione era per l'appunto creare un'omogeneità su basi religiose. Nel 1938, col cessare di questi scambi di popolazione, venne attribuito al Nansen International Office for Refugees il Premio Nobel per la Pace. L'organizzazione prende il nome da Fridtjof Nansen, l'ideatore e realizzatore di tali scambi.

 

Gli avvenimenti che precedettero lo scoppio della seconda Guerra Mondiale e la guerra stessa hanno anch'essi provocato grandi spostamenti di popolazioni. Tra i più significativi ricordiamo la fuga di migliaia di Serbi dalla Croazia, il cui governo era diventato filo-nazista, e anche i cambiamenti di rotta in Transilvania, che passava al controllo ungherese, la qual cosa costrinse circa 200 mila Rumeni, residenti allora in quei territori, a rifugiarsi in Romania.

 

 

 

 

 

La stampa occidentale era favorevole a trasformare i Serbi in rifugiati

 

 

 

Gli anni '90, con il disfacimento della Iugoslavia dopo la morte di Tito, sono stati testimoni di un'altra grande ondata di spostamenti. Nel 1995 un quarto di milione di Serbi sono stati deportati dalle zone che sono rimaste sotto l'autorità croata dopo la guerra con la Serbia. Esiste un consenso generale riguardo al loro ritorno e, secondo diversi rapporti ONU, procedimenti in questo senso stanno avendo luogo, solo che sono ostacolati dalla Croazia. Quelli di loro che riescono a rimpatriare sono vittime di discriminazioni, le loro case sono occupate, non trovano un lavoro e spesso sono vittime di macchinazioni ai loro danni.

 

Sebbene siano stati approvati provvedimenti giudiziari che permettono ai Serbi di riappropriarsi delle proprie case, in realtà sono rari i casi in cui effettivamente questo diritto è stato rispettato. Generalmente i verdetti dei tribunali croati che si pronunciano a favore dei diritti dei Serbi non sono applicati. Molti dei Serbi rimpatriati in Croazia generalmente rinunciano a questa prospettiva alquanto incerta e se ne tornano in altre zone della ex-Iugoslavia.

 

E' superfluo precisare che il livello di ostilità tra Serbi e Croati è molto lontano da quello sussistente tra Israeliani e Palestinesi. Il sogno dei Serbi non è quello di distruggere la Croazia, e non ci sono in gioco anni di lavaggio del cervello, in senso nazionalistico e religioso, che incitano alla distruzione dell'entità croata. Ma nonostante ciò, volenti o nolenti, a oggi vivono in Croazia solamente 200 mila Serbi circa, in un paese di 4,4 milioni di abitanti.

 

Ciò significa che anche un ritorno completo (peraltro impensabile) non minaccerebbe la demografia croata. Il principio di omogeneità nazionale o religiosa si conserverebbe ugualmente. Un esame della stampa occidentale di quegli anni rivela la totale rassegnazione al trasferimento forzato dei Serbi da parte dei Croati, se non addirittura il supporto di tale progetto. Per esempio, questa era la linea del "New York Times".

 

 

 

 

 

Nei Balcani non hanno sentito parlare di "diritto al ritorno"

 

 

 

Kosovo: circa 800 mila Albanesi sono stati espulsi dalla zona durante la crisi del 1999. La maggior parte di loro è ritornata a seguito dell'intervento militare della NATO. Solo che, prima ancora, 150 mila Serbi avevano già abbandonato la zona albanese. Un numero simile di Serbi ha abbandonato il Kosovo dopo la guerra, per paura della vendetta da parte degli Albanesi.

 

Altre centinaia di migliaia di persone in tutte le zone di combattimento hanno perso le proprie case e sono state costrette a trasferirsi altrove o, se all'interno dello stesso Stato (perlopiù Bosnia Herzegovina), comunque in un distretto diverso. Non si conoscono le cifre esatte. Così, per esempio, il numero di Croati che nel corso della guerra è stato espulso dalle forze serbe al di fuori dei confini serbi è stimato intorno ai 170 mila. E' evidente che la comunità internazionale considerava inevitabili gli spostamenti di popolazione, nel tentativo di prevenire ulteriori conflitti.

 

 

 

Quanto detto fin qui non esaurisce l'argomento trasferimenti di popolazioni nei Balcani, trasferimenti che, come abbiamo già ricordato, comprendono dai 7 ai 10 milioni di persone. A volte si parla di pulizia etnica, a volte di genocidio (in maniera analoga trasferimento-sterminio degli Armeni effettuato dai Turchi), a volte, come nel caso eclatante di Nansen, di passaggi o trasferimenti stabiliti da specifici accordi. Il principio che accomuna tutti i vari scambi o trasferimenti di popolazioni in questione è il tentativo di creare un'omogeneità etnica o religiosa. In un modo o nell'altro non viene riconosciuto il "diritto al ritorno", a eccezione del caso atipico dei Serbi, ai quali viene formalmente accordato il permesso di ritornare in Croazia; ma in pratica si tratta di un diritto fittizio.

 

 

 

 

 

12 milioni di profughi Tedeschi sono stati assorbiti nel giro di pochi anni

 

 

 

Dopo la Seconda Guerra Mondiale i confini della Polonia si fissarono lungo la Linea Curzon, proposta già nel 1919. La delineazione del confine determinò scambi di popolazione forzati di 1,4 milioni di Polacchi e Ucraini. I Polacchi della parte orientale rispetto alla Linea Curzon furono costretti a trasferirsi in Polonia. Gli Ucraini, che si trovavano invece nella parte occidentale delineata dalla Linea, furono trasferiti in Ucraina. Come nel caso dei Balcani, il principio era la conservazione dell'omogeneità nazionale o religiosa.

 

Gli scambi di popolazione successivi furono stabiliti nella Conferenza di Potsdam, subito dopo la Seconda Guerra Mondiale. Da secoli comunità tedesche si erano stanziate in zone diverse dell'Europa Orientale e nel Sud della Russia. Le stesse comunità furono accusate di collaborare con i Tedeschi e di aizzare conflitti di matrice nazionalistica. Infatti, nei Sudeti della Cekia, per esempio, la maggior parte dei Tedeschi appoggiarono Hitler e i suoi piani. Tuttavia milioni di Tedeschi tra i Sudeti, la Romania, l'Ungheria e la Polonia non sono da annoverarsi tra i sostenitori di Hitler. Ciononostante nella Conferenza di Potsdam venne disposto ugualmente il "trasferimento sistematico della popolazione tedesca".

 

A seguito di questa decisione tra i 12 e i 16 milioni di Tedeschi furono obbligati a spostarsi contro la loro volontà. Molti altri ancora furono uccisi durante le operazioni di trasferimento. Traghetti tedeschi, che effettuavano parte dei trasferimenti, furono affondati da missili Torpedo. Fonti tedesche sostengono che circa 2,5 milioni di persone furono assassinate o rimasero uccise nel corso di questi trasferimenti di popolazione; anche se questa cifra può sembrare spropositata, il numero delle vittime rimane comunque molto elevato.

 

Pochi anni dopo la grande espulsione non rimaneva un solo profugo tedesco nei campi profughi e oggi la questione della deportazione, dei profughi e della grande sofferenza arrecata ai Tedeschi, molti dei quali del tutto privi di qualsiasi colpa, non è più all'ordine del giorno in Germania da molti anni. Sussiste un solo organismo, la "Federazione per gli Espulsi" (BvD: Bund der Vertriebenen), ma si tratta di un'organizzazione marginale, sostenuta perlopiù dall'estrema destra. Una parlamentare, Erika Steinbach, si occupa dei diritti degli espulsi tedeschi. Tuttavia il sentire comune dell'opinione pubblica tedesca non prende in considerazione né diritti, né indennizzi, né certamente di un ritorno.

 

 

 

 

 

India: 14 milioni di profughi. Tutti si sono risistemati velocemente

 

 

 

Per molti anni gli Indiani hanno collaborato tra loro, al fine di riscattarsi dal lungo dominio britannico. Solo che, quanto più si rafforzava l'attivismo indipendentista, tanto più emergevano e si intensificavano gli attriti tra induisti e musulmani, fino a giungere a una lacerazione sempre più profonda e manifesta. L'ideatore dello Stato musulmano indipendente è stato il filosofo e scrittore Allama Muhammad Iqbal.

 

Negli anni '30 si unì a tale richiesta anche Muhammad Ali Jinnah, che, sino a quel momento, era stato membro del Partito del Congresso e sostenitore dell'idea di uno Stato unico. Ciò che è interessante è che, sin dal principio, non si trattava di una popolazione omogenea: le divergenze sono molte e il disaccordo in materia di religione è solo uno dei tanti e non il più importante fra loro.

 

Il leader indiscusso della lotta per l'indipendenza indiana dagli Inglesi, il Mahatma Gandhi, concentrò tutti i propri sforzi affinché venisse fondata un'unica India, che comprendesse le comunità induiste, sikkim e musulmane. Non ci riuscì (Gandhi fu assassinato da un induista radicale, che lo accusava di aver desistito a favore dei musulmani). Le tensioni interreligiose continuarono a intensificarsi.

 

Nell'Agosto 1947, terminata l'occupazione britannica, vennero fondati due stati: l'India e il Pakistan[4]. A seguito della proclamazione, più di 7 milioni di induisti e sikkim passarono dalla parte musulmana a quella indiana e un numero simile di musulmani fece il percorso inverso. Nel corso degli scambi di popolazione sono stati perpetrati numerosi crimini e il numero delle vittime varia da 200 mila al milione.

 

Il Pakistan rimase principalmente musulmano. Nell'India di oggi, con quasi un miliardo di abitanti, esiste una minoranza musulmana di circa il 16%. Il focolaio delle tensioni tra i due Stati, che già ha provocato vari scontri e conflitti, si trova nella frazione indiana della regione del Kashmir, dove la maggior parte degli abitanti sono musulmani. L'assorbimento dei profughi, da ambo le fazioni, non è stato semplice. Tuttavia oggigiorno non si trovano più Indiani o Pakistani che vengono definiti "profughi". Essi si sono integrati nei nuovi distretti.

 

 

 


 

 

L'UNHCR, che ha reinsediato i profughi Armeni, non si occupa dei Palestinesi

 

 

 

Il crollo dell'Unione Sovietica determinò la creazione di nuovi Stati su base etnica e religiosa. Così, per esempio, durante il periodo staliniano, dalla Cecenia furono espulsi molti musulmani verso altre regioni dell'ex URSS, la maggior parte dei quali tornò poi in Cecenia, diventando parte integrante del conflitto che la dilania. Un altro focolaio di conflitto, più inerente al nostro argomento, è quello della regione del Nagorno-Karabakh.

 

Si tratta di una provincia a maggioranza armena dell'Azerbaijan, la cui popolazione è invece principalmente musulmana. E' un conflitto regionale con una lunga storia alle spalle, ma si è riacceso dopo la fondazione delle Repubbliche Indipendenti con il crollo dell'URSS, quando la provincia parzialmente autonoma armena reclamò nel 1988 di essere annessa all'Armenia.

 

Le stragi compiute contro i musulmani in Armenia e contro gli Armeni in Azerbaijan hanno generato un movimento di rifugiati in ambo le direzioni. In seguito le tensioni si sono trasformate in una vera e propria guerra. L'Armenia assunse il controllo della maggior parte dei territori contesi.

 

Nel 1994 venne raggiunto il cessate il fuoco; nel frattempo il conflitto aveva provocato circa un milione di profughi: 360 mila armeni cristiani passati ai territori controllati dall'Armenia e 740 mila musulmani passati ai territori controllati dall'Azerbaijan.

 

 

 

 

 

Un'industria di profughi: il Sudan

 

 

 

Il Sudan è un paese segnato dalle tensioni tra la popolazione nera non musulmana e quella araba musulmana. Nel corso degli scontri tra musulmani e neri alla fine degli anni '80 - inizio anni '90, 75 mila neri vennero espulsi in direzione del Senegal e del Mali e un numero simile di arabi venne accolto dalla Mauritania, dopo che era stato espulso dai due paesi. La lotta per l'arabizzazione nel paese continua.

 

Il Sudan costituisce un'eccezione, in quanto non si tratta in questo caso di scambi di popolazione, bensì di uno Stato che mette in atto operazioni di pulizia etnica e uccisione di massa di cittadini per mano dei miliziani Janjaweed. Da quando è salito al potere un governo islamista, gli episodi di pulizia etnica e religiosa sono aumentati e non solo nella regione del Darfur (della quale, anche se minimamente, viene riferito nei mezzi di comunicazione).

 

Gli orrori perpetrati sotto l'egida del regime hanno generato un numero colossale di profughi. Parte dei rifugiati sono definiti IDP (Internal Displaced Persons). Altri, sono rifugiati nei paesi vicini, come il Chad. In aggiunta ai milioni di vittime riportati nell'articolo precedente, si parla di altri tre, quattro milioni di persone costrette a abbandonare le proprie case.

 

A tutt'oggi non si è venuti a conoscenza di una sola manifestazione svoltasi nel mondo arabo a condanna del genocidio, o della pulizia etnica, o dell'imposizione religiosa. Il Sudan continua a agire a proprio piacimento già da molti anni. Blocca gli aiuti internazionali. Cospira contro i giornalisti e le organizzazioni umanitarie. Impedisce l'arrivo dei caschi blu inviati dall'ONU. E la pulizia etnica continua senza tregua. Negli ultimi anni il Sudan è lo stato che contribuisce maggiormente all'incremento del numero di profughi nel mondo.

 

 

 

 

 

I profughi di Cipro hanno preferito non aizzare all'odio nei campi profughi

 

 

 

Il caso di Cipro è particolarmente interessante. A Cipro l'80% della popolazione è greca, mentre il 20% turco risale alla conquista da parte dell'Impero Ottomano. Nel 1974, la Turchia invase Cipro a seguito del golpe che stava avendo luogo ivi e minacciò di annettere a sé l'isola. L'invasione portò alla spartizione dell'isola in due entità statali, l'una greca e l'altra turca. Circa 200 mila profughi greci furono costretti a trasferirsi nella parte greca, mentre circa 50 mila musulmani furono costretti a passare alla parte turca.

 

Non c'è dubbio che i diritti dei profughi Greci espulsi siano maggiori di quelli dei Palestinesi. I Greci non hanno iniziato una guerra, né tanto meno hanno minacciato di espellere o eliminare i Turchi. Essi sono stati vittime della violenza turca. Per di più, l'invasione turca ha determinato la creazione di un'entità statale turca che non è assolutamente riconosciuta dal resto del mondo.

 

I Turchi hanno persino trasferito nella zona da loro conquistata circa 100 mila coloni, oltre ad una forza militare di decine di migliaia di soldati che impone nell'area un regime militare. Da quando è stata eseguita la divisione de facto dell'isola, la parte greca fiorisce e prospera: non ci sono campi profughi, non c'è terrorismo e non vige la politica dell'incitamento all'odio né della giustificazione del terrorismo contro i Turchi. Invece la parte turca soffre a causa dello stallo economico che comporta tassi elevati di disoccupazione e un'economia scadente.

 

Nonostante ciò il Segretario Generale dell'ONU Kofi Annan nel 2004 presentò una proposta ingegnosa per la risoluzione del conflitto. La proposta fu respinta dl referendum indetto nella parte greca, ma la soluzione che essa proponeva riguardo al problema dei profughi (che furono riconosciuti come tali dall'Unione Europea e dalla comunità internazionale) fornisce degli spunti importanti, che possono interessare anche il nostro caso.

 

Nella proposta in questione, non esiste il riconoscimento del diritto al ritorno. Il diritto al ritorno dei Greci è limitato solamente a coloro in età superiore ai 65 anni e a condizione che i rimpatriati non superino il 10% della popolazione turca nella sua totalità e il 20% della popolazione di un singolo centro abitato. Se Israele avesse adottato una risoluzione di questo genere, avrebbe dovuto trasferire Palestinesi nei Paesi Arabi vicini e non ricevere nuovi rifugiati. Ciò dal momento che, in Israele, già più del 10% della popolazione non fa parte del gruppo a maggioranza demografica, cioè gli ebrei.

 

 

 

 

 

Il mondo è indifferente al problema dei profughi (fintanto che non sono Palestinesi)

 

 

 

I casi che sono stati analizzati sin qui sono ben lungi dall'esaurire le migrazioni degli ultimi cent'anni. Le organizzazioni internazionali hanno stimato gli spostamenti demografici all'interno dell'Unione Sovietica durante il periodo comunista intorno ai 65 milioni di persone. Focolai di conflitti in Africa, come le interminabili guerre civili in Congo e Somalia, causano sempre più profughi, alla maggior parte dei quali non viene offerto alcun rimedio. Di certo non esiste un'agenzia di sostegno che si occupa unicamente di loro.

 

Questi profughi avrebbero voluto ottenere gli stessi diritti dei Palestinesi, ma il mondo è indifferente alla loro sorte e nel loro caso vengono stabiliti criteri diversi. A eccezione di alcune organizzazioni umanitarie, che dispongono di mezzi limitati, essi sono abbandonati al loro destino. Anche il numero di pubblicazioni e l'interessamento internazionale riguardo alla loro situazione sfiorano lo zero rispetto a quanto ne viene riservato ai profughi Palestinesi, verso i quali viene invece rivolta un'attenzione internazionale con uno scopo opposto, cioè ingigantire e perpetuare il loro problema, attraverso una manipolazione che fa aumentare di anno in anno il numero dei profughi.

 

Infatti, solamente i grandi spostamenti e scambi di popolazione che sono stati riportati precedentemente (e per giunta escludendo il Sudan!) ammontano a circa 38 milioni di persone, che sono state reinsediate nei luoghi in cui rappresentavano una maggioranza. E 700 mila Palestinesi sono all'origine del "problema" reso eterno dall'ONU, dalla comunità internazionale e dal mondo arabo, grazie al supporto di esponenti del mondo accademico, dei mezzi di comunicazione, di migliaia di libri, articoli e pubblicazioni, che non forniscono ai lettori i fatti veri né la prospettiva internazionale, necessaria ai fini della comparazione.

 

La soluzione al problema palestinese non è riposta oggi nel trasferimento. Ci troviamo in altri tempi. Ciò che uno stato sanguinario come il Sudan mette in atto non può oggigiorno servire da nulla osta al trasferimento forzato di una popolazione. I trasferimenti forzati e autorizzati, che sono stati menzionati in queste pagine, ci indicano una sola cosa: riportare profughi e sradicati di ogni genere nelle loro regioni natali porta alla guerra di tutti contro tutti. L'applicazione del diritto al ritorno in Europa riconsegnerebbe il vecchio continente a un infinito periodo di guerre.

 

 

 

 

 

Approva il trasferimento nei Balcani, ma condanna i sostenitori del trasferimento in Israele

 

 

 

I musulmani non torneranno in Grecia e i Tedeschi non torneranno in Polonia. Ciò non significa che non può esistere una minoranza musulmana in Grecia o una minoranza tedesca in Polonia. Analogamente c'è posto per una minoranza musulmana in Israele, come c'è posto per una minoranza ebraica in Marocco e anche, in futuro, in Palestina.

 

Un aneddoto interessante. Il professor John Mearsheimer ha pubblicato insieme al professor Stephen Walt un articolo vergognoso, ai limiti dell'antisemitismo, contro la lobby israeliana negli Stati Uniti. L'ostilità nei confronti di Israele e l'influenza dei fattori anti-israeliani, come l'affermazione del diritto al ritorno dei profughi Palestinesi, è palese nelle pagine di quell'articolo, come nelle fonti citate.

 

Solo che Mearsheimer è lo stesso che pubblicò un articolo illuminante sul "New York Times" nel 1993, nel quale tra l'altro scriveva, riguardo alla risoluzione del conflitto dei Balcani: "E' necessario creare stati omogenei da un punto di vista etnico. [...] Croati, Musulmani e Serbi saranno costretti a rinunciare a dei territori e a fare trasferimenti di popolazioni". ("Ethnically homogeneous states must be created. [...] Croatians, Muslims and Serbians would have to concede territory and move people").

 

Si tratta dello stesso Mearsheimer che è considerato un eroe sia dalla sinistra radicale, nel mondo e in Israele, sia dal più prominente antisemita degli Stati Uniti, David Duke. Nell'articolo contro Israele Mearsheimer accusa gli Israeliani di sostenere e incoraggiare il trasferimento della popolazione araba da Israele. Egli si basa su sondaggi e manipolazioni di tali sondaggi, ma non spreca nemmeno una parola sul fatto che i partiti che supportano l'idea del trasferimento non hanno mai ottenuto un seguito consistente.

 

Tutto ciò è abbastanza strano, se si considera che il rispettabile professore ha dichiarato di condividere l'idea del trasferimento con le seguenti parole: "Creare Stati omogenei potrebbe richiedere disegnare nuovi confini e trasferire popolazioni" ("Creating homogeneous states would require drawing new borders and transferring populations"). Si può presupporre che i sostenitori dei trasferimenti di popolazione farebbero tesoro di una tale affermazione. Ma il trasferimento non è nostro interesse. Nostro interesse è invece l'applicazione giusta e equa delle regole internazionali. Mearsheimer rappresenta il tipico esempio di "doppia morale", la stessa responsabile della creazione di una vera e propria industria del "diritto al ritorno".

 

 

 

 

 

 

 

I neri sono dei profughi di livello infimo, mentre i Palestinesi sono profughi nobili

 

 

 

Tutti gli scambi di popolazione che sono stati presi in esame hanno in comune un principio base, che gode del consenso internazionale: la creazione di omogeneità religiosa o etnica previene la maturazione di conflitti. Ciò non significa che bisogna aspirare a una omogeneità totale. Il consenso internazionale riguardo al criterio dell'omogeneità, come è stato esposto nel caso del conflitto cipriota, rappresenta il modello giusto al quale fare riferimento anche per una risoluzione del problema dei profughi Palestinesi.

 

Se il mondo avesse adottato nei loro confronti la stessa politica che è stata intrapresa nei confronti di altri gruppi negli stessi anni (Tedeschi, Indiani, Pakistani) ora non esisterebbe il problema dei profughi Palestinesi. E invece l'ONU ha deciso, commettendo uno di quegli errori che vanno annoverati tra le vergogne del mondo, di comportarsi con i Palestinesi in modo diverso. Questa politica comporta di per sé una dichiarazione di ineguaglianza: i Palestinesi sono profughi nobili, mentre i neri sono profughi di infimo livello.

 

La comunità internazionale ha adottato la politica dell'ONU. Nonostante non supporti ufficialmente il "diritto al ritorno", essa sovvenziona l'industria che è stata messa in moto intorno a tale diritto. L'Unione Europea aiuta decine di organizzazioni che includono il diritto al ritorno nella propria agenda. Secondo il criterio internazionale ai Palestinesi viene riconosciuto il diritto di essere reinstallati anche nello Stato Palestinese, che verrà fondato se i Palestinesi acconsentiranno a vivere in un'entità nazionale a fianco di Israele, e non al suo posto.

 

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