giovedi` 28 marzo 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


Clicca qui






Storia
GRANDI BUGIE:Demolire i Miti della Propaganda di Guerra Contro Israele
conclusione

GLI INSEDIAMENTI

 

 

Ci sono cinque tipi di insediamenti: A. insediamenti agricoli per scopi militari gestiti soprattutto da soldati; B. insediamenti di ebrei che ritornano a luoghi occupati da ebrei prima del 1948 (Hebron, Gush Etzion, Quartiere ebraico di Gerusalemme Est); C. Espansioni di sobborghi di città israeliane sopra o vicino alla Linea Verde; D. insediamenti non correlati ai tre tipi precedenti; E. insediamenti illegali.  

 

 

 

 

 

A. Insediamenti per scopi militari 

 

 

Gli insediamenti agricoli gestiti dai militari dell’IDF furono stabiliti subito dopo la guerra lungo quello che l’IDF riteneva fossero i corridoi cruciali per la difesa, specialmente lungo il fiume Giordano, vicino alla Linea Verde, sulle Alture del Golan e vicino a Gaza. Poiché Egitto, Siria e Giordania rimasero stati belligeranti per decenni dopo la guerra, e poiché l’OLP tentava attivamente di sviluppare basi per il terrorismo nei territori di recente conquistati, e poiché Israele era stato invaso proprio attraverso questi territori, questi insediamenti furono intesi primariamente a scopo di difesa militare e strategica.  

 

 

Il piano Alon, sviluppato dal generale Yigal Alon subito dopo la guerra, previde una serie di questi insediamenti agricoli militari (definiti “nahal” in ebraico) per proteggere aree strategiche lungo il fiume Giordano (è importante ricordare che il regno Hashemita di Giordania fu de iure in guerra con Israele fino al 1994) e in alcune parti della West Bank, dove la sorveglianza ed un potenziale rapido dispiegamento militare furono ritenuti essenziali per la sicurezza. 

 

 

In molti casi i coltivatori palestinesi si rivolsero alla legge israeliana per presentare reclami, e quando l’esercito stava inutilmente prendendo terra senza un preciso e giusto scopo militare, l’Alta Corte israeliana di Giustizia decise in favore dei querelanti. Il sito militare di Beth El (nei pressi di Ramallah) è il caso più famoso, e probabilmente uno dei pochi casi in tutta la storia del mondo in cui il sistema giuridico del paese vittorioso decide in favore del vinto, e per di più in senso contrario alle opinioni in materia di sicurezza espresse dall’esercito. L’IDF fu costretto a spostare la sua base di circa dieci chilometri più ad ovest, per assecondare le richieste dei residenti palestinesi. 

 

 

 

 

 

B. Insediamenti di ebrei che ritornano alle loro case pre-1948 

 

 

La sistemazione di israeliani civili nella West Bank cominciò subito dopo la guerra del 1967, con un piccolo gruppo di ebrei ortodossi, composto da poche famiglie che risiedevano nella zona ebraica di Hebron, seguito da un più grande re-insediamento di ebrei nel quartiere ebraico di Gerusalemme Est, rapidamente ricostruito dopo le distruzioni del conflitto. Gli ebrei hanno vissuto in Hebron fin dai tempi di Giosuè, 3100 anni fa, quasi ininterrottamente, ed erano stati espulsi durante gli orribili pogrom arabi del 1929, nei quali furono massacrati a centinaia.  

 

 

La millenaria storia ebraica legata a Gerusalemme fu messa duramente alla prova con la guerra del 1948 ed il massacro della metà della popolazione del quartiere ebraico, mirato a porre fine a tale presenza. Più tardi, gli ebrei ricostruirono i villaggi dell’area di Kfar Etzion (conosciuto anche come Gush Etzion) a sud-ovest di Betlemme. Questa area fu ampiamente abitata e sviluppata nella prima parte del XX° secolo dai pionieri sionisti, ma durante la guerra del 1948 folle di rivoltosi arabi massacrarono la maggior parte della popolazione ebraica di questi villaggi. Il ritorno di israeliani a questi luoghi creò gli insediamenti di tipo B. 

 

 

 

 

 

C. Insediamenti creati dall’espansione di quartieri di città israeliane sopra o vicino alla Linea Verde 

 

 

Aree non occupate vicino a Gerusalemme, ad est di Kfar Saba e Netania (vicino Tel Aviv) e a nord-est di Petah Tiqvah, furono usate come siti di progetti di maggiore sviluppo urbanistico che hanno creato abitazioni a basso costo per le crescenti popolazioni delle aree di Gerusalemme e Tel Aviv. In molti casi, la terra utilizzata per questi progetti apparteneva alla corona Giordana, sulla quale nessun individuo poteva accampare alcuna pretesa proprietà privata.

 

 

In assenza della buona volontà della Giordania di intavolare negoziati di pace dopo la guerra, Israele espropriò legalmente queste aree non occupate in quanto la sua sovranità era stata determinata da azioni difensive contro uno stato aggressore (la Giordania). Nei casi in cui alcuni arabi godevano di diritti legali sulle terre della West Bank che Israele usò per questi progetti di espansione, Israele comprò la terra a prezzi di mercato. La vendita di terra ad Israele fu molto diffusa nei decenni seguenti la Guerra dei Sei Giorni. Così tanto che quando l’Autorità palestinese fu stabilita nel 1994, Arafat dichiarò che quella vendita di terra agli ebrei era un’offesa capitale; e di conseguenza, le famiglie palestinesi che avevano tratto profitto da queste vendite furono improvvisamente in pericolo di vita ed alcuni furono costretti ad abbandonare la West Bank. 

 

 

La rapida crescita della popolazione ebraica di Gerusalemme dopo la guerra si presentò al governo israeliano sia come un problema sia come una soluzione di considerevole valenza politica. Aree ad alta densità di insediamenti ebraici furono sviluppate per assecondare tale crescita, e gli insediamenti furono usati per circondare Gerusalemme, in modo che il problema del “Corridoio di Gerusalemme” del 1948 e del 1967 (Gerusalemme era circondata su tre lati e mezzo da città e villaggi arabi ostili, con accesso alle altre aree israeliane ristrette ad una sola strada angusta) non dovesse più verificarsi nel contesto di un futuro accordo di pace con gli arabi. 

 

 

Le aree esterne (Collina francese, Gilo, Ma’aleh Adumim, Har Homah inter alia) furono trasformate in sobborghi ad alta densità che hanno allargato il perimetro della città ed accolto la popolazione in aumento. Di questi, solamente Gilo fu costruito su terra posseduta da privati. Una famiglia cristiana in Beit Jalla vendette il sito in cima al colle al municipio di Gerusalemme nel 1974. 

 

 

 

 

 

D. Insediamenti non correlati ai tre tipi precedenti 

 

 

Col tempo, l’ala religiosa di destra esercitò una pressione politica che sostenne la creazione di ulteriori insediamenti nella West Bank e a Gaza. Sotto i primi ministri Begin e Rabin, questi insediamenti proliferarono. Spesso tali insediamenti furono fondati vicino ad antichi luoghi santi ebraici, come la Tomba di Giuseppe vicino a Nablus (la Shechem biblica).

 

 

I portavoce arabi sostengono che questi insediamenti, alcuni dei quali furono costruiti all’interno della West Bank o delle aree di Gaza, sottraggono terra ai coltivatori arabi. Israele sostiene che la maggior parte della terra utilizzata per questi sviluppi era o non occupata o non posseduta, ovvero  “terra della Corona” sulle quali Israele aveva il pieno diritto legale di costruire e sviluppare. Laddove fu necessario servirsi di terra posseduta da privati arabi per l’espansione degli insediamenti, Israele ribadisce il fatto di avere acquistato quella terra dai suoi legittimi proprietari a prezzi di mercato. 

 

 

Vi fu un dibattito considerevole nel governo e nella società israeliana sulla possibilità e sull’opportunità di sviluppare questo tipo di insediamenti, nel contesto dell’obiettivo a lungo termine di Israele di realizzare la pace. Ultimamente, il governo ha sostenuto che lo sviluppo degli “uvdot bashetah” (insediamenti complessi formati  da costruzioni, edifici, popolazione, attività agrarie ed industriali connesse da infrastrutture efficienti in aree israeliane prima del 1967) tornerà utile nei negoziati futuri.  

 

 

 

 

 

E. Insediamenti illegali 

 

 

Alcuni insediamenti illegali furono creati da alcuni coloni, spesso contrariamente alle istruzioni del governo e dell’IDF, qualche volta su terra palestinese posseduta da privati. Le lagnanze palestinesi su queste sottrazioni di terra illegali sono state risolte frequentemente dalla legge israeliana con decisioni in favore dei palestinesi. Questi insediamenti, che la terra sia stata presa illegalmente o non, sono considerati illegali da molti in Israele. Alcuni sono stati smantellati con la forza. Questo è un problema che suscita molta emotività in Israele, che vede ebrei quasi sempre ortodossi richiedere che a tutti gli ebrei sia permesso di stabilirsi ovunque nella Terra Promessa (specialmente nella regione dove Abramo visse, ad esempio, la West Bank da Shechem/Nablus a Hebron). L’avversità agli insediamenti fra gli israeliani (specialmente laici) è causata in gran parte proprio da questi siti; ed è quasi esclusivamente questo tipo di insediamenti nella West Bank che il primo ministro Sharon ha deciso di smantellare anche prima che si avviassero i negoziati di pace con l’Autorità palestinese.

 

 

 

 

La legalità degli insediamenti 

 

 

I portavoce dei gruppi contrari agli insediamenti (arabi, israeliani ed altri) hanno ripetutamente marchiato gli insediamenti come illegali secondo la Quarta Convenzione di Ginevra e la legge internazionale. Comunque, appare evidente anche ad un’analisi superficiale degli elementi attinenti tale legge internazionale che questa interpretazione della Convenzione di Ginevra è un esempio tipico del “doublespeak” di Orwell. È infatti precisamente secondo la legge internazionale, la Convenzione di Ginevra e le risoluzioni dell’ONU che questi insediamenti possono definirsi legali.  

 

 

Secondo la Quarta Convenzione di Ginevra, la proibizione di esiliare popolazioni conquistate e spostare popolazioni dal territorio del conquistatore verso i territori conquistati, concerne il territorio conquistato in una guerra offensiva. Queste sezioni della Convenzione furono scritte per evitare in futuro possibili azioni simili a quelle dei nazisti in Europa orientale durante la Seconda guerra mondiale. Siccome Israele si ritrovò ad acquisire la sovranità sui territori in una guerra difensiva, l’applicazione di queste proibizioni al caso in oggetto è estremamente discutibile. Il fatto che l’oppositore belligerante, la Giordania, rimase in lotta fino al 1994, significa che la popolazione conquistata era potenzialmente ostile. Israele non esiliò mai alcun arabo da nessun territorio (eccetto nel 1992, quando deportò approssimativamente 400 terroristi nel Libano meridionale nel tentativo di fermare le attività terroristiche).  

 

 

Al contrario, a causa della politica di Israele mirata a tenere i “ponti aperti” con la Giordania (anche se la Giordania era ancora in uno stato di guerra dichiarata con Israele), un numero enorme di arabi emigrò in Israele portando la popolazione araba della West Bank a triplicare, da approssimativamente 650.000 nel 1967 a più di 2.000.000 nel 1994, con un aumento proporzionale degli insediamenti arabi (delle stime rilevano che sono stati fondati oltre 260 tra nuovi villaggi arabi ed espansioni di siti esistenti). 

 

 

È perciò ovvio che l’attività di insediamento israeliana non solo non faceva niente per influire negativamente sul benessere della popolazione indigena, ma piuttosto quella attività creò in realtà l’ambiente economico benefico nel quale centinaia di migliaia di arabi poterono integrarsi. Riguardo al territorio conquistato in un’azione difensiva, la Carta della Lega delle Nazioni (la stessa che diede alla Gran Bretagna il diritto di stabilire un Governo Mandatario sulla Palestina, il quale dichiarò che la Palestina Mandataria britannica doveva essere la terra natia degli ebrei) indica che la disposizione di tale territorio sarà parte del trattato di pace tra le nazioni in guerra. In assenza di tale trattato, la disposizione di queste porzioni di territorio resta oggetto di disputa. Tali territori dovrebbero essere definiti come territori “contesi”, e non territori “occupati”. La loro occupazione continuata da parte di chi si è difeso, è legale.

 

 

Poiché le guerre del 1948 e del 1967 furono difensive, l’occupazione israeliana di territori al di là dei confini del l947 e di quelli stabiliti all’atto dell’armistizio del 1949, è completamente legale. La Carta delle Nazioni Unite accettò, peraltro senza autorità per cambiarla, La Carta della Lega delle Nazioni. Quindi la Carta della Lega delle Nazioni è ancora legge internazionale, e si propone in un equilibrio congruente e razionale alla Quarta Convenzione di Ginevra (ad esempio, la Carta descrive i diritti di una nazione che occupa territori in un’azione difensiva, e la Convenzione descrive le limitazioni in capo ad una nazione che occupa territorio in un’azione offensiva). Sono entrambe valide per la legge internazionale.

 

 

È anche legale, per la parte che si difende, mantenere l’occupazione in assenza di un trattato di pace, al fine di prendere le misure necessarie per mantenere la propria sicurezza. Così gli insediamenti di Nahal (per ragioni militari) sono legali secondo la legge internazionale. 

 

 

La legge internazionale è anche chiara sul fatto che le popolazioni che erano state spossessate delle loro case ancestrali mediante un’azione offensiva, hanno diritto a ristabilirsi nelle loro case quando un’azione difensiva riesce a riprendere la terra dalla quale furono deportati. Così il ritorno degli ebrei a Hebron, Gush Etzion ed al Quartiere ebraico è legale anche per la legge internazionale. 

 

 

La risoluzione ONU n. 242 (del 22 novembre 1967) chiarisce che lo scopo della decisione è creare una pace giusta e durevole, con garanzie per l’inviolabilità territoriale, confini mutuamente riconosciuti e l’indipendenza politica di ogni stato nell’area. Secondo Eugene Rostow, uno degli estensori della 242, il semplice significato della risoluzione è che l’amministrazione di Israele della West Bank e di Gaza è completamente legale finché una pace giusta e durevole non sia realizzata. Tale amministrazione, in assenza di un trattato di pace (e di fronte all’ostilità continuata da parte di nazioni arabe e gruppi di terroristi), può includere lo sviluppo di porzioni non occupate per ospitare una popolazione crescente. Tale attività non corrisponde a trasportare popolazione verso il territorio per re-insediarla. Quindi il terzo tipo di sistemazione (C) è anch’esso legale.  

 

 

La questione degli insediamenti di tipo D è più complessa. Nulla nella Convenzione di Ginevra proibisce lo sviluppo volontario dei territori disputati. Quello che è proibito è la deportazione forzata e il dislocamento organizzato del popolo indigeno a causa di una forzata sistemazione della popolazione che conquista. Quindi, nel momento in cui gli insediamenti di tipo D sono funzione di sistemazione volontaria di israeliani in aree della West Bank e della Striscia di Gaza senza il sequestro di terra palestinese e la rimozione di popolazione palestinese, questi insediamenti di tipo D sono legali. Inoltre, poiché la West Bank e Gaza non sono mai state giuridicamente parte di alcuna nazione sovrana (furono parte della Palestina Mandataria britannica fino al 29 novembre 1947; furono poi indicate dall’ONU come parte di uno stato palestinese, e furono infine invase ed occupate illegalmente da Giordania ed Egitto nella guerra del 1948, in violazione palese e provocatoria del piano di ripartizione ONU, deciso dalle risoluzioni n. 181 e n. 194, e della legge internazionale), l’occupazione israeliana di questi territori dopo la guerra del 1967 non viola alcuna pretesa legale di alcuna nazione. 

 

 

Comunque, poiché alcune terre appartenenti a privati palestinesi furono confiscate dal governo, si potrebbe argomentare che, o per complicità o per un preciso piano, il governo israeliano patrocinò questi insediamenti (come parte, così, più di un piano statale che di una sistemazione volontaria), sembrerebbe corretto dire che gli insediamenti di Tipo D, anche se legali secondo la Quarta Convenzione di Ginevra e le decisioni ONU attinenti, possono essere moralmente collocati in un’area grigia. 

 

 

Gli insediamenti di tipo E sono infine palpabilmente illegali. Ufficiali statali israeliani hanno definito questi insediamenti “canaglia”; le forze dell’IDF li hanno smantellati, e il primo ministro Sharon ne ha indicati alcuni come prossimi a seguirli. 

 

 

 

 

L’impatto degli insediamenti sulla popolazione araba 

 

 

L’impatto degli insediamenti israeliani (ad esclusione di quelli del tipo E) è stato quasi esattamente l’opposto di quello sostenuto dalla propaganda araba. È importante notare che dal 1967 al 1992, la popolazione e l’economia della West Bank sono cresciute concretamente. Lo standard di vita dei palestinesi, così come il reddito medio pro capite, aumentò nel periodo quasi esponenzialmente. Questo era in parte dovuto al “Piano Marshall israeliano” che espanse le infrastrutture, ammodernò le strade e gli approvvigionamenti idrici, la rete elettrica e le fognature, e rese disponibili le cure mediche del XX secolo. Anche la telefonia e le comunicazioni furono promosse a livelli moderni. Il progresso economico era in parte dovuto anche all’integrazione della forza lavoro palestinese nell’economia israeliana mediante l’assunzione di centinaia di migliaia di palestinesi in una enorme varietà di imprese e aziende agricole israeliane.  

 

 

La crescita del turismo in tutta la West Bank era un’ulteriore spinta all’economia dell’area. La popolazione della West Bank e della Striscia di Gaza triplicò dal 1967 al 1994: una popolazione araba di approssimativamente 950.000 anime nel 1967 giunse a più di 3.000.000 nel 1994. Sette università, alcune patrocinate in parte da donatori ebrei e dal governo israeliano, furono create laddove prima esistevano solo tre istituzioni preposte all’insegnamento. 

 

 

Piuttosto che “deportare i palestinesi”, la sovranità israeliana sulla West Bank incentivò la crescita sostanziale e un netto miglioramento. È stato notato che quando veniva eretto un insediamento israeliano di uno qualsiasi dei primi 4 tipi, l’area circostante fin qui inabitata vedeva l’apertura di negozi palestinesi che vendevano beni agricoli ed attrezzature agli israeliani. Più tardi, le case palestinesi seguivano ai negozi. 

 

 

Nei decenni seguenti il 1967, non vi erano inoltre blocchi stradali o chiusure o coprifuochi (tranne in rare occasioni quando le agenzie di intelligence militari o centrali sapevano della presenza di terroristi in uno specifico villaggio o città). Gli arabi della West Bank e della Striscia di Gaza facevano compere a Tel Aviv, così come gli ebrei facevano acquisti in Gerusalemme est e a Ramallah. 

 

 

È solamente dal 1994, quando il 96% dei palestinesi che vivevano in Israele passarono sotto il controllo autonomo e indipendente dell’Autorità Nazionale Palestinese, che le economie della West Bank e della Striscia di Gaza furono avvilite e le vite dei palestinesi distrutte dal dominio dispotico e terrorista dell’Autorità. Il PNL della West Bank nel 2003, sotto l’ANP, era approssimativamente un decimo di quello che era nel 1992 con il governo israeliano. E fu solo a causa della guerra terroristica di Arafat che Israele fu costretto ad adottare misure molte aspre e talvolta esagerate per fermare gli attacchi terroristici e proteggere le vite dei civili. 

 

 

È anche importante notare che le cosiddette “apartheid roads” non sono mai esistite prima dell’ascesa al potere di Arafat del 1994, né si può parlare di segregazione razziale. Nei decenni seguenti il 1967, israeliani ed arabi usavano le stesse strade, alcune delle quali svolgevano funzione di collegamento principale attraverso le città e villaggi della West Bank, sulle quali circolavano anche i milioni di dollari che i turisti portavano anche alle più piccole città e ai commercianti arabi. Dopo che Arafat cominciò la sua guerra terroristica, gli israeliani che guidavano attraverso le città arabe si trovarono in mortale pericolo, Israele costruì le strade “solo per israeliani” (e non “solo per ebrei”). Piuttosto che adottare misure punitive contro gli aggressori arabi che assassinarono o ferirono automobilisti israeliani (ebrei, cristiani e musulmani), il governo decise invece di creare questo sistema di tangenziali così che gli israeliani potessero giungere alle destinazioni nella West Bank e nella Striscia di Gaza senza esporsi ad attacchi terroristici.  

 

 

Insomma, fino allo scatenarsi della guerra terroristica di Arafat, la crescita della popolazione israeliana nella West Bank e a Gaza e l’espansione di villaggi e città israeliane in quei territori, apportò notevoli benefici economici per le popolazioni arabe della West Bank e di Gaza; non comportò perdite significativa di terra da parte dei privati arabi; i ricorsi legali nei casi rari di espropriazione ingiusta comportarono adeguati risarcimenti, e a ciò si accompagnò una ben più grande crescita di popolazione e insediamenti arabi nella West Bank e a Gaza.  

 

 

 

 

 

Il ruolo degli insediamenti nel processo di pace 

 

 

Il ruolo degli insediamenti nel contesto dell’attuale conflitto e nel difficile percorso della “Road Map” verso i futuri negoziati di pace, forse è il problema più complesso e difficile da trattare. Ciò a causa del ruolo della propaganda araba, che è stata capace di stabilire come assiomatico che gli insediamenti sono:  

 

 

a) illegali; 

 

 

b) un segnale dell’intenzione di Israele di conquistare terra palestinese, e di conseguenza un ostacolo alla pace;

 

 

c) un simbolo dell’occupazione permanente di Israele della West Bank e della Striscia di Gaza tale da rendere ogni compromesso territoriale impossibile;

 

 

d) un segnale della mancanza di volontà di Israele di negoziare una pace equa. 

 

 

Perciò, sarà molto utile ascoltare queste contestazioni arabe e vedere la loro corrispondenza alla realtà storica. Gli insediamenti sono illegali? Abbiamo già visto che non lo sono. 

 

 

Gli insediamenti sono un ostacolo alla pace? Dal 1949 fino al 1967 non vi erano insediamenti nella West Bank o nella Striscia di Gaza. Non vi fu neppure la pace. La belligeranza araba non era correlata agli insediamenti nella West Bank o a Gaza. Gli insediamenti ai quali gli arabi obiettarono erano, a quella data, Tel Aviv, Haifa, Hadera, Afula, ecc.  

 

 

Nel giugno 1967, immediatamente dopo la Guerra dei Sei Giorni e prima di qualsiasi insediamento israeliano nella West Bank e nella Striscia di Gaza, Israele avanzò la sua accorata proposta di pace all’ONU ed in subordine alla Giordania. Questa iniziativa fu rifiutata da tutti gli stati arabi e dall’OLP alla Conferenza di Khartoum dell’agosto/settembre 1967. L’ostacolo alla pace era la pura e semplice esistenza di Israele, non gli insediamenti nella West Bank. 

 

 

Nel 1979, come parte dell’accordo con l’Egitto, gli insediamenti israeliani nel Sinai furono evacuati. Nel contesto di un trattato di pace, gli insediamenti sono negoziabili, e possono essere, come furono, smantellati. 

 

 

Nel 1979, come parte dell’accordo con l’Egitto, Israele congelò l’espansione degli insediamenti per tre mesi per incoraggiare l’ingresso della Giordania nel processo di pace tra Egitto e Israele. La Giordania rifiutò. Il congelamento degli insediamenti non incentivò una interazione pacifica. Arafat (allora occupato nel creare uno stato terrorista nel Libano meridionale) fu invitato ad unirsi ai colloqui di pace egiziani, e questo blocco degli insediamenti fu inteso a incoraggiare la sua partecipazione. Lui rifiutò. L’esistenza di insediamenti nel Sinai non interferì con gli accordi di pace tra Israele ed Egitto; ed il blocco delle attività di insediamento non incoraggiò la Giordania o l’OLP ad avviare un accordo di pace. 

 

 

Nel 1994 la Giordania firmò un trattato di pace con Israele, mentre gli insediamenti nella West Bank e nella Striscia di Gaza stavano crescendo in dimensione e numero. L’esistenza e l’espansione degli insediamenti in nessun modo danneggiarono il processo di pace con la Giordania. 

 

 

Gli insediamenti rendono il compromesso territoriale impossibile? Gli accordi discussi a Madrid, Wye, Oslo e Taba includono tutti il riconoscimento che gli insediamenti (pochi, alcuni, molti, probabilmente non tutti) saranno smantellati nel contesto di un accordo di pace. Quegli accordi si discussero mentre gli insediamenti stavano espandendosi. Gli insediamenti non impedirono la negoziazione. 

 

 

Attualmente, approssimativamente 250.000 ebrei vivono in un totale di 144 comunità sparse attraverso la West Bank e la Striscia di Gaza. L’80% di loro potrebbero essere portati all’interno dei confini pre-1967 con limitati aggiustamenti al tracciato della Linea Verde.

 

 

Parte dell’offerta di Barak ad Arafat nel 2000 era lo scambio di terra: i palestinesi sarebbero stati compensati per il limitato numero di insediamenti che non sarebbero stati smantellati, mediante la cessione all’ANP di terra israeliana all’interno dei confini pre-1967. Questa offerta era pari ad oltre il 95% di tutta la terra disputata nella West Bank e il 100% del territorio in Gaza, che doveva passare sotto il controllo dell’Autorità palestinese. Arafat rifiutò anche questa offerta, con grande sorpresa e dispiacere del Presidente Clinton. 

 

 

La costruzione di insediamenti in violazione degli accordi internazionali mostra la poca volontà di Israele di negoziare una pace equa? In riguardo alla Convenzione di Ginevra ed alla risoluzione ONU n. 242, abbiamo visto che gli insediamenti non costituiscono violazione delle leggi internazionali. Perciò, questo argomento è pretestuoso.  

 

 

Gli Accordi di Camp David chiedevano una moratoria degli insediamenti di 3 mesi. Il primo ministro Menahem Begin rispettò questo accordo. Gli Accordi di Oslo invece non dicono niente sugli insediamenti. Era stato tacitamente ed informalmente stabilito che una moratoria degli insediamenti sarebbe stata una delle 16 misure “costruisci-fiducia” che Israele e l’ANP avrebbero adottato. Riguardo allo status dei territori, il provvedimento stabilisce che nessuna parte può annettere unilateralmente le aree, né dichiararle uno stato indipendente. In presenza di chiare, palesi e provocatorie violazioni di ciascun elemento degli Accordi di Oslo da parte dell’ANP quasi immediatamente dopo la loro firma, il governo del primo ministro Netanyahu si ritenne sciolto dall’obbligo di mantenere l’accordo informale e tacito. Poiché l’Autorità Nazionale Palestinese non stava costruendo la fiducia ponendo fine agli attacchi terroristi (anzi, in realtà era dietro questi attentati), perché Israele avrebbe dovuto compromettere la sua sicurezza e le sua posizione per futuri negoziati? 

 

 

Mentre Israele ha costruito un totale di 144 insediamenti nella West Bank e a Gaza, sono stati costruiti più di 260 nuovi insediamenti palestinesi. Questi sono la testimonianza della fiorente economia della West Bank e della crescita di popolazione palestinese sotto il controllo israeliano (1967-1994), che contraddice le dichiarazioni arabe che accusano Israele di aver perpetrato un genocidio e distrutto l’economia della West Bank. Secondo quale logica si può sostenere che questi insediamenti palestinesi costituiscono una minaccia minore ai negoziati o ad un cambio di status dei territori rispetto a quelli israeliani?

 

 

Riassumendo: tutti gli insediamenti, escluso quelli di tipo E, sono legali. La loro crescita e la loro espansione hanno contribuito in concreto al miglioramento economico della West Bank e della Striscia di Gaza. Quando non c’erano insediamenti nella West Bank e nella Striscia di Gaza, non fu raggiunto alcun compromesso territoriale o trattato di pace. I successivi compromessi territoriali ed accordi di pace sono stati raggiunti nonostante l’esistenza di insediamenti nella West Bank e nella Striscia di Gaza. Gli insediamenti di Israele non violano accordi internazionali. Perciò, è irrazionale sostenere che gli insediamenti israeliani nella West Bank e a Gaza impediscono la pace. Piuttosto, è la mancanza di volontà dell’ANP di controllare i gruppi terroristici arabi, fermare l’incitamento all’odio e negoziare onestamente, che rende il compromesso impossibile.  

 

 

 

 

Cosa dire del ritiro unilaterale?

 

 

Nel creare “uvdot bashetakh” si intendeva anche creare “margini di trattativa” per i negoziati futuri. Anche questi sono tra i problemi che Israele negozierà. È chiaramente ciò che Netanyahu e Barak avevano in mente di fare quando incoraggiarono l’espansione di insediamenti in seguito alle violazioni di Arafat degli Accordi di Oslo. Non c’è giustificazione razionale alla riduzione unilaterale della crescita di popolazione quando l’altro lato mantiene uno stato di guerra nonostante l’esistenza di un accordo per cessare la violenza. 

 

 

Le necessità di sicurezza che hanno determinato il piano Alon e gli insediamenti tutelati militarmente, ancora esistono; specialmente alla luce del fiume di attività terroristiche patrocinate apertamente da Hamas e da almeno altri 9 gruppi terroristici operanti in Israele. Insomma, queste necessità sussistono alla luce delle molte fazioni terroristiche e degli stati arabi che rifiutano di considerare alcuna ipotesi di pace con Israele, che continuano a perpetrare l’odio antiebraico nei media e nelle scuole, e che promulgano l’obiettivo di Hamas e degli altri gruppi terroristici della distruzione totale di Israele. Gli insediamenti e la presenza dell’IDF tra le principali enclavi arabe della West Bank, riduce sostanzialmente l’abilità dei gruppi terroristici di lanciare con successo i loro attacchi. Il ritiro unilaterale favorisce l’abilità dei terroristi di condurre la loro guerra.  

 

 

Lo smantellamento unilaterale degli insediamenti sarà probabilmente interpretato dall’ANP e dai capi terroristi come una vittoria del terrorismo. Questo, infatti, è quanto è successo dopo la decisione del primo ministro Ariel Sharon di smantellare unilateralmente gli insediamenti ebraici nella Striscia di Gaza e nella parte settentrionale della West Bank. I portavoce dei terroristi si compiacciono dell’apparente successo della loro attività che essi sostengono essere il vero motivo della decisione di Sharon, mentre i portavoce ufficiali palestinesi suggeriscono che il ritiro unilaterale dalla Striscia di Gaza è solo un’altra falsità israeliana. Secondo la loro logica, invece di essere una vera concessione alla richiesta palestinese per l’autodeterminazione nazionale, il ritiro unilaterale è in realtà mirato a distrarre il mondo e la leadership palestinese, così che Sharon possa fortificare la sua presa sulla West Bank e continuare ad espandere gli insediamenti ebraici. 

 

 

Dopo Oslo, Netanyahu abbandonò ogni idea di congelamento degli insediamenti perché l’ANP mostrò chiaramente la sua intenzione di violare gli accordi di Oslo per intraprendere una politica di terrore inesorabile. Alcuni ritengono che parte del suo scopo nel creare più insediamenti era spedire ad Arafat un chiaro segnale: «Se continuate a violare gli accordi di Oslo, l’area che è probabile diventi lo stato palestinese diventerà sempre più piccola». È logico che una risposta militare al terrorismo sarebbe stata giustificata, ma questa avrebbe provocato l’indignazione del mondo.

 

 

Non funzionò, anche se un numero di intellettuali e leader politici palestinesi (tra i più importanti, Elyas Freij, sindaco di Betlemme, citato dal Washington Post nel l991) difese pubblicamente i negoziati perché la crescita degli insediamenti israeliani nella West Bank mostrava chiaramente che “Il tempo era dalla parte di Israele”. Non funzionò, probabilmente, perché Arafat non pensò mai di negoziare. Lui mirò a perpetrare sempre il suo lungo sogno della soluzione finale: la distruzione totale di Israele. Nel suo discorso telefonico del 14 aprile 2002 ad una stazione radio dell’OLP libanese (durato 90 minuti e tenuto dalla camera da letto della sua sede centrale in Ramallah che Israele aveva circondato e parzialmente distrutto nel corso dell’operazione Scudo Difensivo), Arafat delineò la sua strategia. Con l’aiuto di altri stati arabi e grazie al successo della propaganda araba mirata a indebolire gradualmente la legittimità di Israele agli occhi del mondo, Arafat avrebbe richiesto alle truppe ONU di schierarsi per assistere i palestinesi ed impedire i movimenti agli israeliani in una eventuale battaglia futura; con gli Stati Uniti, i soli amici in tempi difficili, in grave difficoltà morale e politica nell’offrire assistenza a quello che veniva definito uno stato-canaglia, gli eserciti terroristi ed i loro alleati avrebbero potuto usare la West Bank come un base di lancio per il grande Jihad finale contro Israele. L’intenzione di Arafat così espressa in quel discorso è stata provata dalla distruzione da parte israeliana di una grande rete di contrabbando che si occupava di smerciare centinaia di tonnellate di armamenti illegali e munizioni fin dal 2001, e più recentemente le 50 tonnellate di armi sulla nave Karine A, e la scoperta di decine di tunnel usati per contrabbandare armi dal Sinai alla Striscia di Gaza. Se a questa rete terroristica sarà permesso di continuare, riuscirà a compromettere infine l’equilibrio dell’intero mondo libero come noi lo conosciamo. 

 

 

Non c’è giustificazione razionale per un ritiro unilaterale dagli insediamenti quando l’altro lato mantiene uno stato di guerra. Il ritiro unilaterale aumenta le possibilità dei terroristi di intraprendere la loro guerra. Alla luce dell’impegno inesorabile di gruppi terroristici e delle frequenti dichiarazioni pubbliche di Mahmoud Abbas che lodano tali gruppi, definendo i loro caduti come martiri, e assicurando di non usare mai la forza contro di loro, è irrazionale pensare che le ulteriori concessioni israeliane genereranno la buona volontà palestinese a collaborare. Infatti, è accaduto l’opposto. Il fallimento di Camp David II era dovuto in gran parte alla strategia di Arafat di intascare le concessioni di Barak, non facendo concessioni effettive in cambio, ed esigere poi ancora di più da Barak (si veda Dennis Ross, The Missing Peace, 2005).  

 

 

Nell’agosto 2005, Israele si ritirò unilateralmente dalla Striscia di Gaza e ritirò tutti gli insediamenti israeliani dall’area, insieme a tutti gli 8.500 coloni ebrei. Insomma, Israele smantellò gli insediamenti dalla parte settentrionale della West Bank. Israele aveva fatto una concessione senza precedenti storici in un tentativo di riavviare il processo di pace, e dimostrare ai palestinesi che era disposto a cedere terra in cambio di pace. Eppure non vi è stato alcun cenno di apertura da parte di alcun leader palestinese di volersi muovere su tale piano. Vi furono invece leader terroristi in tivù, radio, e giornali arabi, che dichiaravano che il ritiro era una grande vittoria per il terrorismo arabo, e che gli attacchi terroristi dovevano aumentare così che Israele fosse annichilito e tutta la Palestina “liberata”. In altre parole, il problema non è costituito dagli insediamenti. Sono stati smantellati. Il problema è l’esistenza di ebrei nella terra tra il Giordano ed il mare, e l’impegno del comando terrorista arabo alla distruzione di Israele ed al genocidio della sua gente.  

 

 

 

 

CONCLUSIONE

 

 

Il più famoso recente episodio della proposta di creazione di uno stato palestinese contiguo e pacifico e la soluzione del problema dei rifugiati risale al 2000, quando il presidente dell’ANP Arafat rifiutò seccamente l’offerta generosa del presidente Clinton ed iniziò una crudele intifada contro Israele. A quella data, il primo ministro israeliano Barak, sperando di porre fine al conflitto prolungato con gli arabi, accettò l’offerta nonostante il fatto che avrebbe costretto Israele a fare concessioni estremamente dolorose.  

 

 

La maggior parte degli insediamenti israeliani nella West Bank e nella Striscia di Gaza sono legali e non violano nessuna attinente legge internazionale o decisione ONU. La maggior parte di essi non comporta il “furto” di alcuna terra palestinese. La creazione degli insediamenti ha apportato benefici enormi agli arabi di quelle aree, contribuendo a triplicare la popolazione araba e a spingere l’economia della West Bank alle stelle... fino all’avvento del dominio di Arafat. Gli insediamenti non creano ostacoli alla pace o a negoziati di pace. Possono essere, come sono stati, smantellati nel contesto di negoziati con un partner di pace onesto. Le concessioni sugli insediamenti dovrebbero essere fatte solamente nel contesto di negoziati che possono cominciare solo dopo che il comando palestinese avrà fermato la violenza, terminato la guerra terroristica, e cessati i discorsi, l’insegnamento, le prediche e l’incitamento all’odio che permeano la società palestinese dal 1994. 

 

 

Ora che, dolorosamente ed unilateralmente, Israele ha abbandonato tutti gli insediamenti nella Striscia di Gaza e nella parte settentrionale della West Bank, sarà anche più facile per i palestinesi dimostrare se intendono procedere verso la pace. Le loro azioni non sono finora molto promettenti. 

 

 

Non c’è alcun problema relativo agli insediamenti israeliani nella West Bank che non possa essere risolto onorevolmente con soddisfazione reciproca al tavolo dei negoziati tra partner di pace onesti che trattano in buona fede. La questione degli insediamenti rimanenti è da trattarsi nella fase finale dei negoziati. 

 

 

Il fatto, puro e semplice, è che non ci si aspetterebbe niente di diverso da nessuno stato sovrano. 


Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT