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La Repubblica Rassegna Stampa
07.05.2015 Elezioni inglesi: quanto peseranno crisi e ripresa economica nella scelta dei cittadini?
Analisi di Robert Harris

Testata: La Repubblica
Data: 07 maggio 2015
Pagina: 19
Autore: Robert Harris
Titolo: «Cool Britannia addio: così la crisi economica ha cambiato il volto del paese ottimista»

La Gran Bretagna al voto influenzerà la politica europea. Per questo riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 07/05/2015, a pag. 19, con il titolo "Cool Britannia addio: così la crisi economica ha cambiato il volto del paese ottimista", l'analisi di Robert Harris, non propriamente un politologo, ma ottimo scrittore di thriller a sfondo politico, tra cui "Enigma".
Di Harris Mondadori ha appena pubblicato "L'ufficiale e la spia", sull'affare Dreyfus, che consigliamo ai nostri lettori.

Ecco l'articolo:

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Robert Harris

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Le copertine

La Gran Bretagna, dirà chi ci osserva da lontano assistendo a questa campagna elettorale e ai risultati che stanno per arrivare, non è più quella di una volta. Il tempo in cui i due maggiori partiti, conservatori e laburisti, si spartivano fra loro il 90 per cento dell’elettorato e poi uno dei due governava stabilmente per i successivi cinque anni sembra finito per sempre. In realtà non mancano, se guardiamo indietro agli ultimi 150 anni, altre elezioni in cui non ci fu un netto vincitore e furono necessarie coalizioni, accordi, alleanze, anche non semplici o addirittura controverse e talvolta fragili. Ma il cambiamento rispetto al passato è reale.

E’ il risultato del collasso delle barriere di classe. Classe operaia, classe media e aristocrazia esistono ancora, ma non sono più le stesse. C’è una grande confusione sociale, resa ancora più caotica dal nazionalismo in Scozia, Galles, Irlanda del Nord, e dalla reazione xenofoba, populista di partiti come l’Ukip a immigrazione e globalizzazione. Il Regno Unito è oggi diverso rispetto al passato anche recente, a meno di vent’anni fa. Dove è finita la Cool Britannia di Tony Blair, la nazione trendy, alla moda, benestante e ottimista di fine anni ‘90?

E’ stata travolta, come gran parte dell’Occidente, dalla grande recessione del 2008. Blair a Londra, come Bill Clinton a Washington, erano leader progressisti per un’epoca di pace e di economia in crescita, quando sembrava che la storia fosse finita e il mondo destinato a un progresso continuo. Ora il mondo ci appare assai differente, e di conseguenza anche la Gran Bretagna è differente. Veniamo da cinque anni di austerità, siamo meno ottimisti, le cifre indicano che la crisi è terminata, eppure molti di noi non si sentono più come prima. Il grande mistero di queste elezioni, in effetti, è proprio questo: come mai David Cameron non sembra in procinto di stravincerle, considerato che ha ridotto il deficit, fatto ripartire la crescita, tagliato la disoccupazione e portato la Borsa ai livelli di prima del 2008? Il governo conservatore dovrebbe avere fatto campagna elettorale vantando i propri successi. Invece l’ha fatta diffondendo timori su cosa potrebbe accadere se tornano al potere i laburisti. Il motivo di fondo è che la gente, l’uomo medio, non ha sentito i benefici della ripresa: la maggioranza forse non sta peggio di cinque anni fa, ma nemmeno meglio. E poi c’è una ragione legata alla personalità di Cameron e all’immagine del suo partito. I conservatori sono tornati a essere un marchio tossico.

Per decenni sono stati attenti a scegliere leader che appartenevano alla classe media: Margaret Thatcher è l’esempio migliore, veniva da una famiglia modesta, era possibile riconoscersi in lei, nelle sue aspirazioni, nei suoi modelli. Con Cameron, i Tories hanno scelto di nuovo un leader educato a Eton e Oxford, un figlio dell’alta borghesia. Non è mai riuscito a connettersi veramente con l’elettorato, con la pancia della nazione. Non che Ed Miliband ci riesca molto meglio, altrimenti sarebbe anche lui in procinto di stravincere le elezioni, attaccando il bilancio negativo o insufficiente del partito al governo. Miliband è cresciuto in campagna elettorale, è un candidato migliore di Gordon Brown, l’ultimo premier laburista (che volle succedere a tutti i costi a Blair, con effetti disastrosi), ma non convince tutti.

La vera e unica stella della campagna elettorale è stata Nicola Sturgeon, la leader del partito nazionalista scozzese. Bravissima nei comizi e nei dibattiti tivù, chiara, efficace e di sinistra senza paura di dichiararlo. Il suo partito sarà probabilmente l’ago della bilancia del prossimo parlamento. Ma rischiamo di avere un parlamento ingovernabile e un paese diviso. L’Inghilterra, il sud della nostra nazione, è più ricca e fondamentalmente più conservatrice della Scozia, del Galles e dell’Irlanda del Nord. Il nostro sistema maggioritario premia un piccolo partito come quello della Sturgeon, che con il 4 per cento dei voti, tutti circoscritti in Scozia, potrebbe conquistare 50 o 60 deputati, più del doppio dei liberaldemocratici, anche se questi prenderanno l’8 per cento dei voti. Il regno di Elisabetta II, insomma, rischia sempre più di disunirsi, tra ricchi e poveri, inglesi e indipendentisti, nord e sud. Se le elezioni produrranno un governo, questo potrebbe cadere dopo pochi giorni o pochi mesi e dovremo tornare a votare. Il prossimo futuro vedrà una Gran Bretagna incerta e instabile.

La consolazione è che sarà pur sempre un paese democratico. Proprio quest’anno, fra pochi giorni, si celebra l’ottocentenario della Magna Carta, il documento con cui un re inglese pose le basi dello stato di diritto e dunque della democrazia moderna. Ebbene, se c’è una lezione che ho imparato facendo ricerche per il mio ultimo libro sull’affare Dreyfus, è il bisogno che abbiamo di democrazia e trasparenza. Ogni sistema democratico ha le sue pecche, e perciò ogni tanto occorre cambiare le regole, fare le riforme. Ma è ancora il miglior sistema che sia stato inventato. O come diceva Churchill, è il sistema peggiore, a eccezione di tutti gli altri.
(testo raccolto da Enrico Franceschini)

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