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It.danielpipes.org - Il Foglio Rassegna Stampa
18.05.2011 Una svolta decisiva nel conflitto arabo-israeliano?
analisi di Daniel Pipes, redazione del Foglio

Testata:It.danielpipes.org - Il Foglio
Autore: Daniel Pipes - Redazione del Foglio
Titolo: «Una svolta decisiva nel conflitto arabo-israeliano? - E’ un medio oriente che cambia»

Riportiamo da IT.DANIELPIPES.ORG l'articolo di di Daniel Pipes dal titolo " Una svolta decisiva nel conflitto arabo-israeliano? ". Dal FOGLIO, a pag. 3, l'editoriale dal titolo " E’ un medio oriente che cambia ".
Ecco i pezzi:

IT.DANIELPIPES.ORG - Daniel Pipes : " Una svolta decisiva nel conflitto arabo-israeliano? "


Daniel Pipes

Pezzo in lingua originale inglese: A Turning Point in the Arab-Israeli Conflict?

Qualche settimana fa avevo previsto che gli sconvolgimenti arabi potevano spingere i palestinesi a "prendere le distanze dalla guerra e dal terrorismo a favore di un'azione politica non-violenta che includerebbe delle pacifiche manifestazioni di massa come le marce sulle città, lungo i confini e i posti di blocco israeliani".

Proprio al momento giusto, in occasione di ciò che i palestinesi chiamano il "Nakba Day" [N.d.T. "Il Giorno della Catastrofe"], un rifiuto della proclamazione dell'indipendenza di Israele avvenuta il 15 maggio 1948, oggi ha avuto luogo una protesta di massa in modo coordinato e senza precedenti. Un titolo del New York Times ben sintetizza gli eventi: "Israele si scontra con i manifestanti lungo i quattro confini" che sono quelli del Libano, della Siria, della Cisgiordania e di Gaza.

Delle quattro [frontiere] la manifestazione che si distingue è quella che ha avuto luogo sui confini delle alture del Golan, in genere tranquilli. Secondo Joel Greenberg del Washington Post:

Gli incidenti più gravi sono avvenuti al confine tra la Siria e le alture del Golan, dove migliaia di manifestanti si sono radunati sul lato siriano e centinaia sono affluiti nel territorio in mano a Israele dopo aver abbattuto la recinzione di confine. Decine e decine [di manifestanti] sono entrati nel villaggio druso [sotto il controllo israeliano] di Majdal Shams, radunandosi nella piazza centrale, dove hanno sventolato le bandiere palestinesi.

Ma essendo palestinesi, non hanno potuto resistere alla tentazione di ricorrere alla violenza, e così facendo hanno forse minato l'intero sforzo. Secondo quanto riportato da Yedi'ot Aharonot, i siriani hanno calpestato la recinzione di confine, hanno lanciato pietre contro i soldati israeliani, ferendone dieci, e hanno lasciato Israele nel tardo pomeriggio gridando "Torneremo" tra gli applausi degli abitanti del villaggio.

Che dei siriani attraversassero in massa le alture del Golan, senza l'autorizzazione israeliana, non è mai (per quel che ricordo) successo prima. E, naturalmente, nella Siria totalitaria, quanto accaduto richiede l'approvazione del governo. Se si può attribuire questa protesta all'esigenza di Damasco di distogliere l'attenzione dai propri problemi interni, essa s'inserisce altresì in un'ottica più generale.

Danny Danon, un politico di spicco del Likud, ha descritto la sfida sui quattro confini come una prova generale in attesa di settembre, quando l'Autorità palestinese si aspetta che l'Assemblea generale delle Nazioni Unite proclami uno stato sovrano della "Palestina". Io vado oltre e prevedo che questo ibrido di disobbedienza civile e di violenza di bassa lega sarà la tattica preferita dai palestinesi per qualche tempo a venire. Prevedo inoltre che questa tattica fallirà se, come accaduto oggi, ci saranno delle vittime. Ma questo può causare dei veri danni a Israele se la leadership riuscirà a mantenere le masse non-violente.

 

Siriani che sventolano bandiere palestinesi e siriane, mentre si avvicinano al confine con Israele.

 

 

Qualcosa di nuovo: il 15 maggio 2011 i siriani scavalcano la recinzione di confine per passare sulle alture del Golan.

 

 

Soldati israeliani di guardia contro imprevisti afflussi.

 

Il FOGLIO - " E’ un medio oriente che cambia "


Bibi Netanyahu con Barack Obama

Si è a lungo discusso sulla strategia americana nei confronti del medio oriente in rivoluzione, con un occhio di riguardo agli alleati storici, mentre crescevano – e crescono – le preoccupazioni di Israele. Domani il presidente Barack Obama cercherà di fissare alcuni punti con l’atteso discorso al mondo arabo, venerdì incontrerà il premier israeliano Netanyahu e domenica andrà all’Aipac, la potente lobby che difende il diritto di Israele a esistere e a difendersi, dove potrebbe annunciare una visita a Gerusalemme in giugno. Ai confini di Israele è ormai guerra, volano i razzi da Gaza e, secondo alcune fonti di intelligence, ci sarebbero già i cecchini di Hezbollah sistemati sulla frontiera con il Libano pronti a creare nuovi martiri nel conflitto con lo stato ebraico; nelle analisi degli esperti ricorre con inquietante insistenza lo spettro della Terza intifada; l’accordo tra Hamas e Fatah, patrocinato da un nuovo Egitto sempre più ambiguo ma desideroso di avere un ruolo geostrategico rilevante, è destinato a far emergere l’oltranzismo del gruppo che governa Gaza; il leader dell’Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen, lavora per il riconoscimento unilaterale all’Onu dello stato palestinese, come ha spiegato ieri con un articolo sul New York Times (in cui sottolineava che l’azione all’Assemblea generale delle Nazioni Unite è la soluzione al conflitto, non l’antitesi alla pace). Le rivoluzioni continuano con esiti incerti mentre aumentano le pressioni internazionali sulla Siria, che sono ben più rallentate rispetto alla corsa alle armi per cacciare il colonnello Gheddafi, ma da giorni diventano più intense. Obama userà il suo discorso per iniettare un po’ di idealismo nella gestione della primavera araba: la forza dei popoli deve essere rispettata e ascoltata e (forse) le nefandezze che stanno uscendo, fossa comune dopo fossa comune, in Siria non possono essere tollerate. Nel gioco delle indiscrezioni ci sono molte versioni: c’è chi sostiene che il discorso proverà a rassicurare tutti senza al fondo accontentare nessuno; c’è chi invece pensa che l’agenda sia stata studiata apposta – e cinicamente – in vista di un ritorno in termini elettorali per il presidente. Lo scetticismo governa ormai la stragrande maggioranza dei media israeliani. Ma l’alleanza tra America e Israele, nonostante gli evidenti dissapori tra Obama e Netanyahu, non è mai di fatto stata messa in discussione, e ai palestinesi a caccia di uno stato votato dall’Onu non conviene un’Intifada ora. E’ necessario capitalizzare sui tempi e sugli interessi immediati per rilanciare un dialogo che da due anni marcisce tra i dispetti e l’indifferenza. E’ necessaria un’iniziativa concreta da parte di Israele e America per governare i cambiamenti ormai inevitabili del medio oriente.

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