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Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 03/05/2011, a pag. 3, l'articolo di Fiamma Nirenstein dal titolo " Ucciso Osama, esultiamo anche noi ", a pag. 2, l'articolo di Magdi C. Allam dal titolo " Ora sarà più facile battere il terrorismo dei tagliagole ". Dal FOGLIO, a in prima pagina, l'articolo di Giuliano Ferrara dal titolo " Apologia dell’America che celebra un atto di giustizia ", a pag. 3, l'editoriale dal titolo " Bin Laden è vivo, come Elvis ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 4, l'articolo di Pierluigi Battista dal titolo " Da Giulio Cesare a Mussolini. Quando il corpo diventa mito ", a pag. 50, l'articolo di Aldo Cazzullo dal titolo " Processare Osama Bin Laden, un’occasione (mancata) di forza ". Da IT.DANIELPIPES.ORG, l'articolo di Daniel Pipes dal titolo " Riflessioni sull'uccisione di Osama bin Laden ". Dal SOLE 24 ORE, a pag. 16, l'articolo di Christian Rocca dal titolo " Un comandante dietro le quinte ". Il GIORNALE - Fiamma Nirenstein : " Ucciso Osama, esultiamo anche noi "
Non è spirito di vendetta, non c’è ferocia né un insano senso di rivincita nella discesa in piazza da parte della folla americana giubilante per la morte di Bin Laden. C’è senso di realtà, buon senso, unità, e soprattutto volontà di vivere senza sensi di colpa né pensieri tormentosi su un’ipotetica prepotenza occidentale. Tutto ciò che diventa nebbioso giorno dopo giorno in questa incerta società preda di un senso di espiazione, desiderosa di pagare un prezzo ai diseredati con un cupio dissolvi esteso fino a giustificare i terroristi, si è palesato a Capitol Hill o a Ground Zero invasi da una folla assertiva, festante. Il GIORNALE - Magdi C. Allam : " Ora sarà più facile battere il terrorismo dei tagliagole "
Osama Bin Laden aveva sulla coscienza decine di migliaia di persone massacrate dai terroristi suicidi islamici ovunque nel mondo.L’attentato dell’11 settembre 2001 l’aveva elevato a principale nemico degli Stati Uniti. Ma la verità è che gran parte delle sue vittime sono stati dei musulmani. Ecco perché, pur senza esultare, non possiamo non condividere la valutazione che la sua morte corrisponde a un atto di giustizia. Nella consapevolezza che, come nel caso dei grandi tiranni della storia, sarebbe stata inopportuna la sua cattura per processarlo di fronte a un tribunale internazionale, che lui avrebbe trasformato in un palcoscenico per ergersi a eroe e martire del Jihad. Il FOGLIO - Giuliano Ferrara : " Apologia dell’America che celebra un atto di giustizia "
La prestazione degli americani nei due secoli abitati dalle ultime generazioni è epica. Non c’è traccia di minimalismo in un presidente nero e liberal che annuncia con parole ispirate alla religione e alla Costituzione americana la vittoria in battaglia contro il nemico assoluto, contro il leader radicale islamico responsabile dell’11 settembre. La cattura ed esecuzione di Osama bin Laden, preso come un latitante di mafia in un paese straniero che lo proteggeva, e sepolto in mare mentre l’America fa festa, ha una potenza simbolica eccezionale, al di là delle conseguenze strategiche oggetto delle nostre analisi. Quello di Obama in morte del nemico è stato un glorioso discorso della bandiera, quella bandiera che sta per la Repubblica, “one nation under God, indivisible, with liberty and justice for all” (una nazione sotto Dio, indivisibile, che garantisce libertà e giustizia per tutti). Quel paese fatale ha vinto tre guerre in Europa nel Novecento, fino al collasso dell’ultimo totalitarismo; ha costruito un modello controverso di società aperta e cristianamente ispirata, che non ha accettabili alternative in occidente; ha incantato ed eccitato il mondo moderno e postmoderno, dividendolo tra amici e nemici in una logica imperiale che non prevede conquista e occupazione di territori altrui e che è fondata sul sacrificio personale dei combattenti, su una macchina di guerra e di intelligence che non ha rivali, su una libertà di iniziativa economica e sociale priva di riscontri nel resto del mondo; ha inaugurato questo secolo con una reazione calma e orgogliosa alla sfida di civiltà posta dall’islam politico che dura ancora e attraversa, oltre la vendetta, oltre la giustizia retributiva, oltre la tutela della sicurezza e dell’ordine mondiale fondato su libertà e democrazia costituzionale, la vita di tutti noi. Per dieci anni il capo dell’organizzazione terrorista che aveva insanguinato New York e Washington, uccidendo in nome di Dio quasi tremila americani di tutte le origini etniche e di tutte le fedi al culmine di una lunga campagna di attentati in cui erano cadute centinaia di vittime in giro per il mondo, tutti simboli di carne del nemico crociato ed ebreo, ha provato senza riuscirci a ripetere l’evento. La “famiglia americana” evocata da Barack Hussein Obama ha fatto il suo dovere con George W. Bush e con il suo successore, che ha sviluppato e proseguito la strategia del liberatore di Afghanistan e Iraq con l’aiuto dei suoi uomini, il segretario alla Difesa Robert Gates e il generale David Petraeus, delle sue tecniche e strategie politico-giudiziarie, a partire da Guantanamo, e del suo spirito così ben rappresentato dal contegno riservato dell’ex presidente e del suo ex ministro della difesa Donald Rumsfeld. Il cambio nella retorica politica, perfettamente legittimo in una grande democrazia della parola, non ha modificato di una virgola il comportamento dell’America come comunità e stato, come Amministrazione e soggetto politico imperiale. Le varianti o le incertezze nella politica estera sono una cosa, ma il bisogno di giustizia fa parte dei principi autoevidenti su cui è fondata la nazione americana dall’epoca dei suoi padri costituzionali. Catturare e giustiziare il “most wanted” a dieci anni dall’11 settembre non sarebbe stato possibile senza le radici americane: una rivoluzione repubblicana ispirata al Creatore e ai principi giusnaturalistici non negoziabili del diritto alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità. Un modello di politica e di società pieno di difetti, ma che non prevede derive totalitarie, antisemitismo dispiegato, sudditanza ad altro che non sia la legge nel principio dell’autogoverno. Bin Laden, ucciso a 54 anni come un criminale irriducibile, non era un nemico qualsiasi, era anche lui, come sono i presidenti americani, un leader politico e religioso pieno di fascino e di energia spirituale per i popoli che lo hanno seguito in effigie e per i seguaci che hanno reso possibile la realizzazione della prima fase del suo disegno fanatico. Ha combattuto contro l’Unione sovietica, negli anni Ottanta, con l’appoggio geopolitico dell’occidente e degli stessi americani, e poi ha cambiato la mira, puntando sull’ideale di un califfato islamico e sul risveglio purista, wahabita, dei popoli di fede musulmana. Contro Israele, contro l’America, contro i crociati cristiani d’occidente, in parallelo con la rivoluzione iraniana sciita, profittando della decomposizione degli stati canaglia o degli stati musulmani falliti, Osama ha portato guerra, lutto e distruzione ovunque gli sia riuscito di farlo. La sua è una grandiosa leggenda nera, di proporzioni mitiche. Le sue parole, la sua epica nazionale islamica, erano e restano oltre la sua morte una minaccia esistenziale per il nostro modo di concepire la società e la vita. Diverse forme di purismo, tra le quali quella dei Fratelli musulmani, navigano anche nei movimenti di liberazione dalle oligarchie arabo-islamiche corrotte. Il fatto che Osama abbia perso la sua corsa personale contro il cavallo che aveva definito “debole”, l’occidente secolarizzato, è un “clamoroso trionfo”, come ha detto il premier israeliano, ma non ha alcunché di definitivo, non porta ancora la pace e la sicurezza, perché la sensibilità jihadista è parte di un paesaggio storico e simbolico in cui Bin Laden torreggiava, ma che la sua morte in battaglia offusca senza cancellarlo. C’è ancora molto da fare. Per questo è bene ricordare che qui, nella retrovia europea della prima grande guerra del XXI secolo, le divisioni sono state profonde, e ha vacillato in molti la necessaria volontà di battersi. Le ragioni di sfiducia nella faccia che di sé offrono l’occidente e il suo fulcro euro-atlantico sono numerose. L’imperfezione e la infinita corregibilità sono il vero crisma del nostro modello sociale. La forza della mobilitazione culturale e politica contro il jihadismo, in difesa di una identità fragile e contestata, risiede nella sua libertà di tono, nella sua intelligenza profonda delle cose, nella sua capacità di accettare critiche e antagonismi come elemento strutturale di un modo di pensare e di agire. L’Italia di Berlusconi in questi dieci anni ha dato una mano agli americani e a Israele sotto attacco. Siamo rimasti un paese libero e dissonante, ciascuno con la propria voce, ma abbiamo fatto il nostro dovere. Non si festeggia una sparatoria, si celebra bensì un consapevole atto di giustizia. CORRIERE della SERA - Pierluigi Battista : " Da Giulio Cesare a Mussolini. Quando il corpo diventa mito "
Il corpo del nemico ucciso torna come uno spettro a popolare di incubi la vita di chi lo ha annientato. Farlo scomparire, addirittura negli abissi marini, come hanno deciso con quello di Bin Laden? Esibirlo come trofeo? Neutralizzarlo con appositi riti di allontanamento? Placarne il sangue per non aizzare nei seguaci lasciati orfani del leader vendette e fantasie di rappresaglia? Gli americani hanno voluto che le acque del mare, dopo una sbrigativa cerimonia funebre su una portaerei, consumassero i resti mortali del Nemico numero uno, del massacratore delle Torri Gemelle. Seppellirlo negli Stati Uniti, incassato il rifiuto di Paesi arabi e islamici, sarebbe stato un errore spaventoso, con quella tomba trasformata in santuario, meta di pellegrinaggio dei fanatici di tutto il mondo che sarebbero venuti a piangere il loro martire. Lasciarlo inghiottire dalle onde marine, del resto, alimenterà infiniti deliri paranoici, ecciterà inesauribili fantasticherie negazioniste. Per decenni la bizzarra inventiva di dietrologi, complottisti, nazisti irriducibili e folli di nostalgia ha ricamato attorno ai cadaveri di Hitler e della sua Eva Braun ritrovati nel bunker della disfatta a Berlino favole macabre sul Führer che non sarebbe morto, riparato in chissà quale rifugio sudamericano, pronto con un pugno di fedelissimi a tornare per la riconquista del Reich millenario. Ma con Bin Laden l’altalena di ipotesi se l’ormai invisibile capo di Al Qaeda fosse vivo in qualche grotta o già cadavere da anni era già in funzione da quasi dieci anni, all’epoca dell’ultimo videomessaggio. E poi, che realistica alternativa c’era? Il corpo del nemico, del dittatore, del condottiero è sempre ingombrante, circondato da tabù, raggiunto dalla febbre sensazionalista di chi non sa rassegnarsi all’idea che un grande destino, anche fosco e luciferino, possa ripiegare in una banale sorte da comuni mortali, senza saghe, leggende luminose o nerissime. Sergio Luzzatto ha descritto nel suo «Il corpo del duce» come la neonata Repubblica sia rimasta «ostaggio» della salma di Mussolini, un corpo prima venerato dalle folle adoranti e poi straziato nel rito lugubre, nella «macelleria messicana» , inscenato a Piazzale Loreto. Un corpo dapprima trafugato nel ’ 46 dai fascisti, poi nascosto per undici anni, e infine, soltanto nel ’ 57, tumulato a Predappio, dove ogni anno carovane di nostalgici, in cerimonie che mescolano sacro e profano, sagre di paese e mercatini delle reliquie, fasci littori e saluti romani, danno vita a kermesse non solo tollerate, ma oramai persino promosse dall’amministrazione locale (di sinistra) attraverso l’apposito assessorato al turismo. Non c’è bisogno di aggiungere il culto propriamente fascista della morte, dei martiri, delle memorie sacre riassunte in una tomba, in un catafalco, in un sepolcro per comprendere come il corpo del duce defunto abbia alimentato simbologie indistruttibili. Ma da sempre il «corpo del Re» in disgrazia agita i timori di chi resta. All’indomani delle Idi di marzo, nella cerimonia che doveva onorare il corpo trafitto da ventitré pugnalate di Giulio Cesare, i senatori e le matrone di Roma contribuirono a dare alle fiamme e a consumare i resti del Capo assassinato con un rito purificatore che sanzionò la sconfitta dei congiurati. E quante salme sono state riesumate, come per un’inconsapevole ossessione di accertamento, di garanzia che il corpo sepolto fosse esattamente quello che doveva essere. Fu riaperta persino la tomba di Napoleone, molti anni dopo la morte dell’imperatore a Sant’Elena. E sono stati disseppelliti i resti di Ceausescu, il tiranno romeno ucciso al termine di un processo farsa con la moglie Elena e fucilato dai nuovi padroni di Bucarest. Ossessioni, fantasie, paranoie mortuarie. Il ricordo di Bin Laden ne nutrirà infinite, complicatissime, arzigogolate, ma di sicura presa simbolica. E non si tratta necessariamente di fantasie arcaiche, immerse nella religiosità cupa e sovreccitata di una visione del mondo premoderna, così come si condensa nel fondamentalismo islamista di cui Bin Laden è stato spietato interprete. Basta pensare a come addirittura la religione del futuro, l’ideologia che avrebbe svelato al mondo la natura ipnotica e «oppiacea» di tutte le religioni stabilite, insomma il comunismo, abbia tributato ai cadaveri dei suoi carismatici Capi omaggi in cui è stata abbondantemente oltrepassata la soglia magica della superstizione. Corpi imbalsamati, corpi mummificati, corpi esposti alla venerazione dei fedeli convenuti nella piazza del Cremlino per visitare il sacrario in cui è conservato attraverso tecniche sofisticatissime il simulacro del leader scomparso. A dimostrazione ulteriore di come la presenza, sia pur fantasmatica, del corpo, moltiplichi sentimenti fideistici, liturgie superstiziose, identificazioni simboliche. Ecco perché, una volta accertatane indiscutibilmente l’identità, la salma di Bin Laden non poteva essere trattata come un corpo «normale» , da seppellire come in un’ordinaria cerimonia di addio. Il corpo assente ecciterà le fantasie di seguaci scossi da un dolore inconsolabile per la scomparsa del loro Capo, ma non sarà la reliquia custodita in un luogo inevitabilmente condannato a diventare il santuario di una memoria inestinguibile. Un anti Ground Zero in cui possano riunirsi minacciosamente i devoti dell’assassino assassinato, il loro martire. Gli Stati Uniti non potrebbero permetterselo. Il SOLE 24 ORE - Christian Rocca : " Un comandante dietro le quinte "
George W. Bush lo voleva «dead or alive», vivo o morto, ma ha lasciato la Casa Bianca due anni fa senza aver compiuto la missione, senza aver catturato o ucciso l'ideatore degli attacchi dell'11 settembre. Prima di lui, Bill Clinton aveva esitato tre volte a schiacciare il bottone e Osama bin Laden, lo sceicco saudita che aveva dichiarato e praticato la guerra santa contro l'America già dal 1998, era riuscito a scappare e poi a progettare l'inaudita strage nel cuore dell'America. CORRIERE della SERA - Aldo Cazzullo : " Processare Osama Bin Laden, un’occasione (mancata) di forza "
E’ giusto festeggiare la morte di un uomo, per quanto abietto? Non sarebbe stata una prova di forza ancora maggiore catturare Osama Bin Laden e processarlo per i suoi crimini, anziché ucciderlo e gettarne il corpo in mare? La discussione sulla fine da riservare ai nemici dell’umanità dura da venticinque secoli. «Era ora! Prendiamoci una sbornia/beviamo a viva forza: Mirsilo è morto» . Così Alceo celebrava la fine del tiranno che l’aveva esiliato da Mitilene, e inaugurava un genere letterario, il «nunc est bibendum» di Orazio: ora si deve brindare. Nella Grecia antica, la civiltà che inventò la democrazia, il tirannicidio era considerato un valore, e gli ateniesi eressero una statua di bronzo ad Armodio e Aristogitone, che li avevano liberati dal despota Ipparco. E in America nessuno o quasi protestò quando fu impiccato Saddam Hussein. Per questo celebrare a Ground Zero la morte dell’uomo che volle l’ 11 settembre è apparso del tutto naturale, e probabilmente lo è. Non esistono regole generali, ogni personaggio fa storia a sé. La logistica finisce per contare più dei princìpi; e gli uomini che hanno ucciso Bin Laden forse non potevano agire diversamente. Se l’altro giorno— per singolare coincidenza— fosse morto pure Gheddafi sotto i missili Nato, la guerra civile che dilania la Libia sarebbe già finita; e certo non sarebbe un male. Ma il realismo politico non impedisce di farci qualche domanda. Sottoporre Osama Bin Laden a un regolare processo, magari davanti al tribunale internazionale costituito proprio allo scopo di provare e punire i crimini contro l’umanità, sarebbe stato un passaggio difficile per l’America, ma certo avrebbe rafforzato il suo prestigio di patria della democrazia moderna, uscita scossa dalle vicende dell’Iraq, di Abu Ghraib, di Guantanamo. È difficile avanzare rilievi agli uomini che hanno liberato il mondo dal fondatore di Al Qaeda e che oggi un’intera nazione onora, a cominciare dal presidente democratico Obama e da Hillary Clinton, che annuncia secca: «Bin Laden è morto, giustizia è fatta» . Però non c’è dubbio che le buone cause non escono ridimensionate ma rafforzate da un procedimento giudiziario condotto secondo il diritto internazionale, che comprende anche le garanzie per i colpevoli. Qualche anno fa si è riaperta in Italia la discussione sull’opportunità della fine di Mussolini. D’Alema definì un errore l’esecuzione per mano dei partigiani, subito corretto dall’allora segretario Ds Fassino. I realisti ricordarono che un processo al Duce sarebbe stato fonte di grandi imbarazzi, non solo per gli antifascisti dell’ultima ora, ma anche per le potenze alleate che l’avevano avuto come interlocutore (e, nel caso di Churchill, corrispondente) per anni. Neppure Bin Laden e la sua famiglia sono del tutto estranei all’establishment americano. Ma il punto non è questo. Nessun uomo davvero libero, se non qualche estremista islamico o qualche derelitto animato dal rancore per l’Occidente, piangerà la morte di Bin Laden. Così come nessuno, se non i beneficiati della sua tribù, piangerebbe domani la morte di Gheddafi. Ricordare l’esistenza di un’altra via — la cattura, il processo, la condanna, l’espiazione della pena — non significa abbandonarsi a facili umanitarismi. Significa ribadire la superiorità del diritto e della democrazia sul terrore e sul dispotismo. Il FOGLIO - " Bin Laden è vivo, come Elvis "
Chiaro che la televisione pachistana, che poche ore dopo il blitz notturno e l’uccisione di Osama bin Laden aveva messo in giro una vecchia foto taroccata di un finto bin Laden fintamente morto, non ha dato una gran mano alla causa della verità. C’è una porzione di umanità istintivamente disposta a dubitare di tutto quanto abbia i crismi della fattualità e viceversa propensa a credere a tutto quanto contraddica l’evidenza. C’è più gente di quanto si creda ancora disposta a credere all’imminente ritorno di Elvis. Ovviamente, la conferma che la foto era falsa non poteva non scatenare il tamtam del dubbio sul Web: ma sarà morto davvero? E il corpo? E perché ci sono voluti dieci anni? Le tecnologie di comunicazione hanno annullato tempo e spazio, sovrapponendosi alla realtà. Un giovane pachistano che chattava su Twitter a duecento metri dal bunker del capo di al Qaida ha in pratica dato in diretta la notizia. Eppure l’incredulità, elemento atavico, è come raddoppiata dalla tecnologia. Il contadino dell’Umbria, equivalente agrario e terragno della casalinga di Voghera, è tutt’ora convinto che l’uomo non sia mai andato sulla luna semplicemente perché è impossibile; il suo omologo internettista è convinto della stessa cosa, perché ha visto le “prove” delle foto manipolate. Per passare al serio: la teoria dell’autocomplotto delle Torri gemelle resiste da dieci anni, e anzi si diffonde attraverso il Web come un rizoma maligno. Possiamo stare sicuri che la conferma fotografica per ora mancante, il corpo gettato in mare, generano una ridda infinita di incredulità, di sospetti. Che i dubbi siano espressi apertamente nel mondo islamico è comprensibile. Ma basta fare un giro nella rete, anche senza addentrarsi nei social network della cosiddetta controinformazione, per trovare messo a tema il sospetto. E se esperti come l’ex capo di stato maggiore dell’aeronautica, Leonardo Tricarico, avanzano alcune legittime riserve (“mi sarei aspettato che la salma fosse stata resa visibile, in modo da dare la prova più evidente della sua morte”, ha dichiarato) per il volgo nemmeno la conferma “al cento per cento” del Dna è bastante. Ma all’incrocio tra atavico bertoldismo e postmoderna paranoia verso tutto ciò che le tecnologie potrebbero manipolare, scorre un veleno ancora più maligno. E’ l’odio ideologico. Per decenni c’è stato chi sosteneva false persino le foto del Che morto in Bolivia. C’è chi afferma tuttora che il Pentagono non è mai stato colpito l’11/9, le bombe al fosforo in Iraq sono a prova di qualsiasi smentita. Benedetto XVI, beatificando Karol Wojtyla, ha citato una frase del Vangelo, “beati quelli che non avendo visto, hanno creduto”, tra le cause della santità. Ovviamente, è pretendere troppo. Ma un po’ di fiducia nei fatti, non guasterebbe. IT.DANIELPIPES.ORG - Daniel Pipes : " Riflessioni sull'uccisione di Osama bin Laden "
Per il pezzo in lingua originale inglese, cliccare qui Bin Laden era solo una parte di al Qaeda, che è solo una parte dello sforzo terroristico islamico che, a sua volta, è solo una parte del movimento islamista; pertanto, l'annuncio della sua morte questa notte per mano del governo Usa cambia poco le cose a livello operativo. La guerra al terrore non è sostanzialmente cambiata, tanto meno è stata vinta. Ma poiché bin Laden ha simboleggiato il terrorismo islamico, la sua presenza provocatoria nelle registrazioni video e audio per quasi dieci anni dopo l'11 settembre ha incoraggiato i suoi alleati e ha demoralizzato i suoi nemici. Invece, la sua uccisione da parte delle forze americane nella città di Abbottabad, in Pakistan, rende gli americani orgogliosi del loro Paese, incoraggia le organizzazioni che si occupano di sicurezza e di intelligence ed è un duro colpo per gli islamisti. Ecco cosa bisogna tenere d'occhio in futuro: 1) Da parte americana, l'improvvisa unanimità e l'orgoglio dureranno più di qualche giorno? O l'abituale reticenza della sinistra tornerà a prendere piede? Per inviare la propria opinione a Giornale, Foglio, Corriere della Sera, Sole 24 Ore, It.danielpipes.org, cliccare sulle e-mail sottostanti segreteria@ilgiornale.it lettere@ilfoglio.it lettere@corriere.it letterealsole@ilsole24ore.com meqmef@aol.com |
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