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Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 30/11/2010, a pag. 9, l'articolo di Fiamma Nirenstein dal titolo " Ora tutti sanno che l’Iran fa davvero paura ", a pag. 6, l'articolo dal titolo " Gerusalemme più forte in chiave anti-iraniana ". Dalla STAMPA, a pag. 3, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " Il Golfo ha paura dell’Impero persiano ". Pubblichiamo il commento di David Braha dal titolo "Wikileaks: Israele ne esce bene, ma, paradossalmente, l’Iran cade in piedi" Ecco i pezzi: Il GIORNALE - Fiamma Nirenstein : " Ora tutti sanno che l’Iran fa davvero paura"
Dopo Wikileaks, salvo nuove rivelazioni, Israele guarda e annuisce contento: il mondo arabo ha molta più paura dell’Iran di quanta ne abbia Israele, e non fa che chiedere agli americani di porre fine alla minaccia degli Ayatollah con qualsiasi mezzo. Il primo ministro Bibi Netanyahu ha persino commentato: «Se i leader dicessero la verità su chi è il loro peggiore nemico, invece che ripetere il solito ritornello anti-israeliano, la pace si potrebbe fare molto in fretta». Ahmadinejad ha a sua volta fatto sapere che per lui quelle dichiarazioni non contano nulla. Eppure, che tempismo, sembra aver ispirato una dichiarazione del suo ospite a Teheran Sa’ad Hariri, premier libanese, che ha dichiarato di corsa che non si unisce a nessun rifiuto del progetto atomico del suo amico. INFORMAZIONE CORRETTA - David Braha : "Wikileaks: Israele ne esce bene, ma,paradossalmente,l'Iran cade in piedi "
Se le diplomazie di mezzo mondo stanno facendo a gara per smorzare i toni dell’imbarazzo creato dal caso Wikileaks, ciò che sta avvenendo in Israele è l’esatto contrario. Il motivo alla base di questo è che, fra tutti i governi e le figure politiche tirate in ballo dalle rivelazioni del sito di Julian Assange, Israele ed il suo Primo Ministro sono probabilmente quelli che ne escono in maniera più pulita. I motivi sono principalmente due. Il primo è la descrizione di Netanyahu, che suona appunto più come un complimento che come un’offesa. Se, tra i tanti, l’immagine di Karzai è quella di un uomo “spinto dalla paranoia”, Berlusconi appare stanco per le “feste selvagge”, Putin e Medvedev sono come Batman e Robin, mentre Sarkozy è “il re nudo”, sentir dire che Netanyahu è un uomo “elegante e affascinante” che tuttavia non mantiene le proprie promesse, non è poi così discreditante. Al contrario, suona piuttosto come la definizione dell’uomo politico per antonomasia. In fondo, quanti sono i leader politici che veramente mantengono le promesse fatte? Quindi, fino a qui, nulla di nuovo. Ma al di là delle caricature dei vari personaggi politici, il secondo motivo per cui Israele ha fatto una bella figura agli occhi del mondo è dovuto ad una delle vere e proprie bombe mediatiche fatte esplodere da Assange: i rapporti tra l’Iran ed i suoi vicini. Per la prima volta infatti è uscito allo scoperto ciò che i vari paesi del Medio Oriente pensano veramente di Ahmadinejad e del programma nucleare degli Ayatollah. Fino a ieri si erano tutti nascosti dietro Israele, facendo in modo che lo Stato Ebraico fosse pressoché l’unico paese ad alzare la voce sulla potenziale minaccia che un Iran nucleare rappresenterebbe per l’intera regione. Ma dopo anni di appelli – rimasti apparentemente inascoltati – da parte dei vari governi israeliani, Wikileaks ha messo nero su bianco ed esposto al mondo intero ciò che tutti pensavano, ma che nessuno aveva il coraggio di dire apertamente. Ovvero che i governanti di paesi come Giordania, Egitto, Arabia Saudita e Bahrain avrebbero esplicitamente richiesto agli Stati Uniti un intervento militare ai danni di Teheran. Il motivo per cui Israele ne esce bene, quindi, è che da queste affermazioni si evince quanto le posizioni dei leader arabi sono ben più estreme di quelle presentate fino ad ora dai vari esecutivi israeliani. Basti pensare al Re Abdallah dell’Arabia Saudita, il quale avrebbe frequentemente esortato gli Stati Uniti a “tagliare la testa del serpente” ed attaccare l’Iran allo scopo di arrestarne il programma nucleare. Tuttavia nonostante la potenziale tendenza favorevole ad Israele, questa fuga di notizie e queste rivelazioni rischiano di destabilizzare notevolmente i rapporti di forza all’interno del Medio Oriente e non solo. Fino ad oggi infatti, nessuna delle ultime due amministrazioni americane ha fatto passi significativi finalizzati ad arrestare il programma nucleare di Teheran: Bush perché non aveva il supporto internazionale necessario, Obama perché evidentemente non concepisce l’uso della forza militare in casi del genere. Quindi ben due Presidenti USA hanno optato per il mantenimento di un profilo basso evitando così di cedere alle pressioni esercitate dai loro partner regionali. Ma se l’America non ha avuto la forza (o il coraggio) di agire fino ad ora, ci si può aspettare che lo faccia proprio adesso o comunque nel futuro prossimo? Probabilmente no: ed Ahmadinejad questo lo sa bene. Soprattutto ora che Assange gliene ha dato un’ulteriore conferma. È questo, quindi, l’aspetto più agghiacciante dell’intera questione. Paradossalmente, chi potrebbe uscire ancora più rafforzato di Israele dal caso Wikileaks, è proprio l’Iran. Scoprire improvvisamente di avere più nemici di quanto si pensava di sicuro non è piacevole. Ma la consapevolezza di essere rimasti impuniti fino ad ora, nonostante la preoccupazione dell’intero scacchiere internazionale e soprattutto degli stati adiacenti, potrebbe rappresentare una pericolosa iniezione di sicurezza e di autostima per un regime come quello di Teheran. Il quale potrebbe, di conseguenza, continuare per la propria strada nella certezza che tanto nessuno avrà il coraggio di fermarlo. La STAMPA - Maurizio Molinari : " Il Golfo ha paura dell’Impero persiano "
Per Mahmoud Ahmadinejad i documenti resi noti da Wikileaks sono frutto di «un complotto degli Stati Uniti contro l’Iran» ma nuove rivelazioni moltiplicano la descrizione del riarmo di Teheran come dell’allarme fra gli Stati del Golfo. Il presidente iraniano ha reagito alle pubblicazione dei dispacci diplomatici del Dipartimento di Stato con una conferenza stampa a Teheran nella quale ha accusato l’« amministrazione americana» di «averli diffusi» e di «basare su di loro opinioni errate». «Si tratta di pezzi di carta che non hanno alcun valore legale e nessuno perderebbe del tempo a dagli un’occhiata» ha aggiunto, smentendo i contenuti che vedono il re saudita suggerire a Washington di «tagliare la testa del serpente iraniano» e i leader del Golfo premere per un attacco militare contro il programma nucleare. «Le nazioni della regione sono per l’Iran come amici e fratelli e questi atti tesi all’inganno non avranno alcun effetto sulle nostre relazioni» ha sottolineato Ahmadinejad nel tentativo di sminuire l’impatto interno in Iran di rivelazioni che descrivono la Repubblica Islamica come molto isolata in Medio Oriente. Proprio mentre Ahmadinejad parlava da Teheran, il New York Times pubblicava ulteriori elementi a carico dell’Iran frutto dell’analisi dei documenti provenienti da Wikileaks. In particolare un dispaccio risalente al 24 febbraio scorso documenta che l'Intelligence americana ha appurato il trasferimento dalla Corea del Nord all’Iran di 19 missili a lungo raggio Bm-25, con una gittata tale da poter minacciare Israele, le basi americane in Medio Oriente e gran parte dell’Europa meridionale. Lo stesso rapporto afferma che Teheran possiede come «vettore alternativo» per lanciare un possibile attacco i missili Shabab-3 di propria produzione. Nel 2007 l’allora Segretario di Stato Condoleezza Rice accusò la Cina di far transitare armamenti proibiti da Pyongyang a Teheran: potrebbe essere stata questa la rotta che ha consentito ai 19 Bm-25 di arrivare fino in Iran a dispetto delle sanzioni internazionali. A ciò bisogna aggiungere che Alì Khamenei, il Leader Supremo della rivoluzione, sarebbe affetto da un «tumore terminale». Riguardo ai timori dei leader arabi per l’atomica iraniana un dispaccio americano da Sana’a cita il presidente dello Yemen, Alì Saleh, esprimere la preoccupazione che «Teheran punti a ricostruire l’impero persiano» mentre altri documenti imputano alla Repubblica Islamica di aver adoperato ambulanze civili per far arrivare importanti contingenti di armi agli Hezbollah libanesi nel 2006 in occasione del conflitto con Israele. Il tema degli Hezbollah torna anche in alcuni dispacci da Damasco sull’incontro avvenuto nel 2009 fra Bashar Assad e l’inviato Usa Bill Burns perché in quell’occasione il presidente siriano promise di interrompere la consegna di armi alle milizie filo-iraniane, per poi invece farlo una settimana dopo. Intervenendo sul caso-Iran, il Segretario di Stato Hillary Clinton ha evitato di confermare il contenuto dei dispacci, affermando tuttavia che «quanto gli viene attribuito riflette il contenuto delle mie conversazioni in gran parte dei Paesi del mondo perché è molto diffusa la preoccupazione per le azioni e le intenzioni della leadership iraniana». Il GIORNALE - La redazione:" Gerusalemme più forte in chiave anti-iraniana " Ieri lo ha detto lo stesso primo ministro: le rivelazioni di Wikileaks non hanno danneggiato Israele. Benjamin Netanyahu ha partecipato all’annuale banchetto a Tel Aviv con gli editori della stampa israeliana. Per il premier, capo della destra del Likud al potere, la pubblicazione di alcuni dei 250mila documenti ottenuti domenica da diversi quotidiani internazionali avrebbe addirittura reso più forte la posizione del suo Paese: il mondo arabo che, a parte alcune eccezioni, non dialoga con Israele perché non lo riconosce, è in realtà d’accordo con i suoi governanti nel considerare Teheran la principale minaccia per la regione,per lastabilitàdell’intero Medio Oriente. Wikileaks ha rivelato che il re saudita Abdullah ha chiesto agli Stati Uniti di bombardare l’Iran per mettere fineal suo programma nucleare: «Tagliate la testa al serpente». Il re Hamad del Bahrain ha dichiarato: «Questo programma deve essere fermato. Il pericolo di lasciarlo andare avanti è maggiore rispetto al pericolo di arrestarlo ». Il ministro della Difesa degli Emirati arabi ha paragonato il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad ad Adolf Hitler. Il leader yemenita Ali Abdullah Saleh ha detto che«l’Iran vuole reinstaurare l’impero persiano». Saad Hariri, figlio dell’ex premier libanese Rafik, assassinato nel 2005, avrebbe detto che «l’Irak non era necessario. L’Iran è necessario», riferendosi a un eventuale attacco militare americano contro le installazioni nucleari. Poche ore fa Hariri era a Teheran in visita ufficiale. Gli egiziani hanno fatto sapere di ritenere la Repubblica islamica «una minaccia per la regione». Israele è esattamente sulle stesse posizioni: da anni la questione iraniana è centrale nel dibattito politico interno, dà forma alle campagne elettorali dei politici locali, ha sicuramente più peso oggi nelle priorità dell’intelligence rispetto al conflitto con ipalestinesi.Teheran, d’altronde, appoggia ideologicamente e finanziariamente il movimento islamista palestinese di Hamas, che controlla la Striscia di Gaza e che si oppone al dialogo con Israele. Arabia Saudita e altri Paesi del Golfo, Giordania, Egitto, la stessa Autorità nazionale palestinese - tutti governi sunniti - da anni si sentono minacciati dalla crescente egemonia dell’Iran sciita e atomico, così come si sente minacciato Israele, che Ahmadinejad ha più volte promesso di cancellare dalle cartine geografiche. Non è un caso che negli ultimi anni molti Paesi arabi della regione abbiano annunciato l’intenzione di lanciare programmi nucleari. Si tratta di una deriva che Israele ritiene pericolosa per l’area. E Netanyahu ora incita i leader arabi a dire «pubblicamente quanto già sostengono in privato» sull’Iran. Per inviare la propria opinione a Giornale e Stampa, cliccare sulle e-mail sottostanti segreteria@ilgiornale.it lettere@lastampa.it http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=90 |
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