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Informazione Corretta - La Stampa - Corriere della Sera - La Repubblica Rassegna Stampa
24.02.2010 Teheran attacca l'Italia: influenzata da altri Paesi
E dirotta un aereo per catturare un terrorista sunnita. Nessuno protesta?

Testata:Informazione Corretta - La Stampa - Corriere della Sera - La Repubblica
Autore: Piera Prister - Claudio Gallo - Vincenzo Nigro - Viviana Mazza
Titolo: «Mentre le democrazie perdono tempo, Israele inaugura i super-droni - Teheran attacca l'Italia: influenzata da altri Paesi - L´Iran dirotta un jet di linea sul Golfo - Sono sceso in strada per guardare la verit»

Dal CORRIERE della SERA di oggi, 24/02/2010 a pag. 18, l'intervista di Viviana Mazza al regista iraniano Kiarostami dal titolo " Sono sceso in strada per guardare la verità ", preceduta dal nostro commento. Dalla STAMPA, a pag. 18, la cronaca di Claudio Gallo dal titolo "  Teheran attacca l'Italia: influenzata da altri Paesi  ". Da REPUBBLICA, a pag. 18, l'articolo di Vincenzo Nigro dal titolo " L´Iran dirotta un jet di linea sul Golfo ", preceduto dal nostro commento. Pubblichiamo l'analisi di Piera Prister dal titolo " Mentre le democrazie perdono tempo, Israele inaugura i super-droni ". Ecco i pezzi: 

INFORMAZIONE CORRETTA - Piera Prister : "Mentre le democrazie perdono tempo, Israele inaugura i super-droni " 

L’aviazione militare israeliana ha reso noto d’essere in possesso di uno sciame di super-droni chiamati “Eitan”, capaci di volare senza pilota e di coprire lunghe distanze per oltre venti ore. Questi super-droni UAV –unmanned aerial vehicles- sono stati inaugurati domenica 21 febbraio, hanno una lunghezza d’ala di 86 feet ossia di 26 metri, sono dotati di un motore piu’ potente e sono telecomandati. Sono stati progettati e costruiti dall’industrie aerospaziali israeliane e, anche se nel giorno della loro inaugurazione i funzionari israeliani della Difesa non l’hanno menzionato, sono in grado di raggiungere il Golfo Persico e l’Iran. I super-droni sono stati programmati a scopo principalmente ricognitivo ma possono adempiere anche ad altri scopi. La notizia e’ riportata sui grandi giornali americani, The Wall Street Journal, The New York Times e The Washington Post, e anche su molti blog.

La STAMPA - Claudio Gallo : " Teheran attacca l'Italia: influenzata da altri Paesi "


Ahmadinejad

L’Iran torna a bacchettare l’Italia, questa volta sul nucleare. Durante una conferenza stampa, rispondendo a un giornalista che domandava ragione dell’insistenza del ministro Frattini nel chiedere sanzioni contro Teheran, un portavoce del Ministero degli Esteri ha spiegato che Roma mostra di essere «sotto l’influenza della propaganda di altri paesi». L’America? Israele? L’accusa è rimasta generica. «I paesi della Ue - ha aggiunto il funzionario - come l’Italia o la Francia non hanno motivo di essere preoccupati. Le nostre attività nucleari si svolgono sotto la sorveglianza degli ispettori internazionali e servono solo a rispondere ai nostri bisogni interni». Le reazioni italiane hanno chiuso il cerchio dell’incomunicabilità, insistendo sostanzialmente sulla necessità di imporre al più presto nuove sanzioni all’Iran.
Il braccio di ferro globale che si sta svolgendo intorno al nucleare iraniano è inghiottito ogni giorno di più da una nebbia opaca, fatta di propaganda, bollettini dell’apocalisse, svolte a U, detti e contraddetti. Il capo di stato maggiore americano Mullen, gran frequentatore dei salotti televisivi della domenica, dopo aver ripetuto a noia che l’America ha pronti i piani dell’attacco, ha detto l’altro giorno che «nessun attacco, qualunque sia la sua efficacia, sarebbe decisivo da solo». Il presidente Ahmadinejad ieri in visita nel Khorasan, al confine tra Turkmenistan e Afghanistan, gli ha dato ragione rafforzando così paradossalmente il coro dei falchi che sui giornali americani intonano quotidianamente il loro «Bomb, bomb, bombing Iran», copyright John McCain.
«In nessun modo - ha detto Amhmadinejad - le potenze mondiali potranno fermare il nostro slancio o fermarci». Linea dura? Peccato che nello stesso tempo l’ambasciatore per il nucleare Ali Ashgar Soltanieh riproponesse all’ente atomico dell’Onu lo scambio «uranio contro combustibile», offrendosi in alternativa di comprare all’estero l’uranio come ultima risorsa. È un segno, come si sussurra, che l’Iran sta finendo le sue scorte di uranio? Bruno Pellaud, ex vice segretario dell’Aiea, prova a far quadrare il cerchio con un’analisi su «Hunnfington Post.com»: è chiaro dice, legando tutte le provocazioni iraniane con un filo logico, che Ahmadinejad ha deciso di farsi bombardare, per vincere la battaglia sul fronte interno e stoppare le sanzioni.
In Iran sta facendo scandalo un filmato mostrato dalla Bbc persiana, girato probabilmente da qualche Basiji, che mostra un violentissimo attacco di polizia e milizie contro un salone dell’univesrsità di Teheran: corpi ammucchiati come quarti di bue, botte da orbi. Lo scandalo consiste nella data: 15 giugno, una violenza così cieca due soli giorni dopo le elezioni, prima dell’inizio delle grandi manifestazioni. E anche nell’azione spalla a spalla tra polizie e miliziani in borghese.
Chissà se consapevolmente, il regime ha rioccupato subito la tribuna mediatica con la cattura del leader di Jundullah, il gruppo terrorista sunnita che fomenta il separatismo nel Sud-Est, probabilmente legato ad Al Qaeda. Abdolmalek Rigi avrebbe avuto un passaporto afghano «fornito dagli Usa», ma Washington nega. Rigi sarebbe stato catturato a bordo di un aereo proveniente dal Pakistan. La tv Al Jazeera ha detto tuttavia che «autorità pachistane» sostengono di aver catturato il terrorista e di averlo consegnato all’Iran.

La REPUBBLICA - Vincenzo Nigro : " L´Iran dirotta un jet di linea sul Golfo "

Non è ben chiaro per quale motivo l'Europa, così pronta a puntare il dito contro il Mossad (senza avere le prove) per la morte del terrorista di Hamas a Dubai, ora rimanga silente di fronte al dirottamento di un aereo e alla cattura di uno dei viaggiatori, definito leader di " Jundullah, "l´esercito di Allah", il gruppo terroristico con basi a cavallo fra il Belucistan pakistano e iraniano. L´ultimo colpo del Jundullah era stato lo spettacolare attentato che in ottobre aveva ucciso 42 iraniani ". E' vero che il terrorista di Jundullah non è stato ucciso, ma non riteniamo che la sua permanenza in Iran sarà duratura e di piacere. Perchè nessuno protesta?
Ecco il pezzo:

NELLA continua escalation che sembra essersi impossessata della crisi fra l´Iran e l´Occidente, da ieri c´è un nuovo capitolo. Dirottando un aereo di linea che volava da Dubai al Kirghizistan, i militari iraniani hanno catturato il leader di Jundullah, "l´esercito di Allah", il gruppo terroristico con basi a cavallo fra il Belucistan pakistano e iraniano. L´ultimo colpo del Jundullah era stato lo spettacolare attentato che in ottobre aveva ucciso 42 iraniani, fra cui molte guardie della rivoluzione.
È una nuova tappa nella escalation legata alla crisi nucleare perché i servizi segreti iraniani, emulando in qualche modo quello che fino ad oggi hanno fatto anche israeliani e americani (vedi Sigonella), hanno costretto con l´aeronautica un aereo passeggeri a un atterraggio forzato. Abdulmalek Righi è stato fatto scendere dal jet assieme a una ventina fra i 119 passeggeri, è stato identificato dai servizi iraniani, fermato col suo braccio destro, trasferito a Teheran ed esibito alle telecamere. Era ammanettato fra due agenti con il passamontagna calato sul volto, una scena simile a quella della cattura di un altro «latitante internazionale», il leader curdo Abdullah Ocalan. Una scena che ieri di sicuro ha rialzato di colpo le quotazioni del governo iraniano nei confronti dei suoi cittadini, che nella stragrande maggioranza non hanno nessuna tolleranza con un movimento terroristico come il Jundullah sunnita.
Grazie a una soffiata di intelligence partita da Dubai, l´aereo partito sarebbe stato fatto atterrare a Bandar Abbas, la grande città portuale sul Golfo Persico. Secondo il ministro iraniano per l´Intelligence Heydar Moslehi «l´aereo ha avuto l´ordine di atterrare mentre era in volo sul Golfo, e Righi è stato bloccato a terra».
Il ministro iraniano e altri deputati vicini hanno aggiunto una serie di particolari non tutti confermati ufficialmente dal governo: Righi avrebbe avuto un passaporto afgano fornitogli dagli americani. Oppure l´accusa secondo cui «24 ore prima di essere arrestato era in una base americana in Pakistan, abbiamo le foto riprese da alcuni nostri agenti in quella base».
«Sono tutte menzogne», ha risposto alla France Presse un portavoce del dipartimento di Stato: in verità in passato ci sarebbero stati alcuni contatti di Jundullah con la Cia, il gruppo sunnita è l´ideale per provare a destabilizzare il governo iraniano in una regione di confine con il Pakistan che Teheran ha sempre controllato con difficoltà.
In verità c´è qualcun altro che contesta la versione dell´arresto di Righi data dalle autorità iraniane: sono le «fonti pachistane» citate dalla tv araba Al Jazeera secondo cui sono stati i pachistani ad arrestare nel Belucistan pachistano il terrorista sunnita, per passarlo poi agli iraniani.
Vedremo nelle prossime ore come andrà avanti la battaglia di propaganda fra Iran e Usa. Fino a ieri sera gli americani non avevano risposto ufficialmente alle accuse iraniane di aver aiutato il capo di Jundullah. Mentre invece Robert Gibbs, il portavoce del presidente Obama, ha parlato con durezza del negoziato nucleare: «Il tempo e la pazienza stanno terminando, ormai è chiaro. Gli annunci del governo iraniano dimostrano che non ha alcun interesse a creare una fiducia internazionale che il loro programma nucleare ha scopi pacifici». Ancora una conferma che alle Nazioni Unite l´amministrazione Obama ha fatto partire la procedura per far votare nuove sanzioni contro Teheran.

CORRIERE della SERA - Viviana Mazza: " Sono sceso in strada per guardare la verità "

Kiarostami commenta così la repressione del regime : " Credo che il governo dell’Iran si sia trovato di fronte al livello di insoddisfazione del popolo. Tutto è stato controllato con grande efficacia, il governo ha mostrato il suo potere. Ma ora bisogna vedere come potrà gestire il malcontento, perché è chiaro che l’insoddisfazione è enorme ". Non c'è dubbio, i pasdaran sono stati efficienti nel controllare l'insoddisfazione del popolo: impiccagioni, percosse, processi sommari e torture. Una visione distorta della situazione. Il che consente al regista la benevolenza del regime.
Ecco il pezzo:


Ammas Kiarostami

Gli occhi castani, gentili, si intravedono appena dietro le lenti degli occhiali da sole, che non toglie mai. Abbas Kiarostami si siede nella hall del Grand Hotel et de Milan. Il maestro della «nouvelle vague» del cinema iraniano, Palma d’oro a Cannes per il Sapore della Ciliegia (1997), Leone d’argento a Venezia per Il Vento ci porterà via (1999), è venuto da Teheran per la presentazione di «In & Out», una mostra di artisti in parte residenti in Iran e in parte della Diaspora, inaugurata ieri alla galleria ProjectB di Milano.

A differenza di registi come Mohsen Makhmalbaf e Bahman Ghobadi, che per sfuggire alla censura hanno scelto l’esilio, Kiarostami resta a Teheran sebbene le sue opere non abbiano licenza di proiezione da un decennio. A giugno molti registi sono entrati nella mischia elettorale per la prima volta in 30 anni, appoggiando Mousavi contro Ahmadinejad. Ma Kiarostami ha detto che non avrebbe votato. L’hanno accusato di evadere dalla realtà, di non curarsi del pubblico iraniano. Ma il regista 69enne spiega al Corriere d’essere alla ricerca di un’arte politica con un’influenza profonda e duratura. Alla mostra c’è il documentario Roads, dedicato alle sue foto (in 25 anni ne ha scattate 1000 solo di strade), un amore nato negli Anni 70 da quello per la natura e il movimento («Se non fossi un regista sarei un camionista», ha detto). Vendendole finanzia oggi il suo cinema. La sua protesta è l’indipendenza. «Non chiedo al governo alcun aiuto o sostegno finanziario né il permesso di filmare. Imiei film sono indipendenti. Uso la fotografia per rendere possibile questa indipendenza».

Lei dice che non parteciperà più alla politica, che si tratti di votare o di una rivoluzione. Partecipò però a 15 anni (dopo il golpe appoggiato dalla Cia per riportare al potere lo Scià) e poi nel 1979 alla rivoluzione. Cosa è cambiato?

«Diventando adulto, ho sperimentato che non posso cambiare il destino di questa nazione. Da giovane, ovviamente, ero più idealista ed emotivo. Ora sono più pragmatico. Non posso cambiare il risultato, quindi non mi faccio coinvolgere. Il nostro Paese si trova in circostanze molto particolari. Non vedo nessuno per il quale io possa votare. Come posso votare per qualcuno nel quale non ho fiducia?».

Durante le proteste una sua foto scattata in strada circolò su Facebook. La gente diceva: «C’è anche Kiarostami»! È vero?

«Sì, ovviamente c’ero. In quanto persona che vive in Iran, non voglio guardare solo la tv di Stato e non sapere cosa succede. Voglio avere un’immagine più ampia. E’ la mia professione. Non vuol dire filmarli o farne un film. Ma andare in strada e vedere ciò che dice la gente, quanti sono, cosa fanno e dicono è mio diritto. Credo che il governo dell’Iran si sia trovato di fronte al livello di insoddisfazione del popolo. Tutto è stato controllato con grande efficacia, il governo ha mostrato il suo potere. Ma ora bisogna vedere come potrà gestire il malcontento, perché è chiaro che l’insoddisfazione è enorme».

L’Iran che emerge dalle sue opere è assai diverso da quello che in genere «vediamo» noi stranieri. Perché?

«L’immagine che voi avete è quella dei mass media ed è contaminata dai rapporti politici tra vari Paesi. Imiei film e lemie foto esprimono il mio legame emotivo con la mia amata patria. Il mio approccio è lo stesso da 40 anni, da prima della Rivoluzione. Vi sono altri la cui arte è influenzata dagli eventi attuali. La mia visione è più profonda, di lungo periodo, riguarda la psiche umana, la mia infanzia. Ci sono altri modi per far passare la tua opinione. Da 12 anni non mi presento nemmeno alle autorità per chiedere una licenza cinematografica. I miei film non vengono proiettati».

Il cinema per lei è un modo di sfuggire alla realtà?

«Il cinema è un’arte per cui ho enorme rispetto e che può essere estremamente importante e influente, forse più di altri media, proprio per la logistica: sei al buio, seduto, e vieni assorbito all’interno del film stesso. Un cinema giornalistico può non essere longevo, ma i film con tematica politica ben pensati e ben fatti lo sono e hanno grande influenza».

Cosa significa un «buon film con tematica politica»?

«Un film che dà informazioni, che restituisce alla persona informazioni vere, profonde sul Paese in cui vive. Un buon film politico è un film poetico, e vivrà a lungo. Nella nostra ricca letteratura abbiamo ad esempio la poesia di Hafez, politica ma rilevante ora come centinaia o 50 anni fa. E ci sono poeti di 200 anni fa tornati popolari durante la Rivoluzione, ma non sono così importanti

perché non danno informazioni vere ma l’eccitazione della rivolta. Sono sospettoso di chi trasmette eccitazione. Io non cerco questo, ma di trasmettere informazioni e le mie esperienze emotive». A ottobre, al festival di Abu Dhabi, Lei ha criticato Ghobadi per aver lasciato l’Iran. Lui l’ha accusata per il suo silenzio in politica. E’ vero che al festival successivo, in Marocco, Lei non voluto film iraniani in concorso?

«Ero il capo della giuria. Il signor Ghobadi non aveva nemmeno un voto. Forse pensava che io avessi il potere di dire agli altri membri per chi votare. Ha reagito con rabbia illogica in una lettera aperta che mi ha ferito. Avevo già accettato d’essere capo della giuria in Marocco e sarebbe stato difficile giudicare altri film iraniani. Non farò mai più parte di una giuria. Il problema è che siamo tutti influenzati dal sistema della Repubblica islamica dove una persona ha il potere assoluto. Ghobadi credeva che avessi il potere assoluto come capo della giuria. La gente ha dimenticato che cos’è il processo democratico».

Anche se i suoi film non sono critici come quelli di altri registi, vengono banditi. Cos’è che non piace al regime?

«Le autorità non vedono di buon occhio l’indipendenza. Io e i miei film non abbiamo nulla in comune con i registi di cui parla tranne l’indipendenza: di pensiero, di comportamento, mentale. Sono certo che le autorità non hanno problemi con i miei film in sé. Il problema è che io non accetto d’essere sotto l’influenza di nessuno, voglio essere me stesso».

Il regista Jafar Panahi prima ha pagato la partecipazione alle proteste di giugno con il carcere e poi non gli hanno permesso di andare alla Berlinale. Teme che possa accadere anche a Lei?

«La situazione di Panahi è unica e, date le circostanze, prevedibile. Ma potrebbe succedere a chiunque. Se non ci fosse stata reazione alle sue azioni, l’Iran sarebbe il paradiso».

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