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Il Foglio - Informazione Corretta Rassegna Stampa
10.04.2009 La strategia del dialogo non funziona. Frattini non se n'è ancora accorto?
Le analisi dal Foglio, il commento di Giorgio Israel

Testata:Il Foglio - Informazione Corretta
Autore: Carlo Panella - Giorgio Israel
Titolo: «La scommessa Siriana - Ecco chi piega la schiena di fronte al patto tra Siria e Fratelli musulmani - Contagio Obamiano»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 10/04/2009, l'articolo in prima pagina dal titolo " La scommessa Siriana ", a pag. 2 l'analisi di Carlo Panella dal titolo "  Ecco chi piega la schiena di fronte al patto tra Siria e Fratelli musulmani ". Pubblichiamo, inoltre, l'analisi di Giorgio Israel dal titolo " Contagio Obamiano ". Ecco gli articoli:

Il FOGLIO - " La scommessa Siriana "

Roma. La sicurezza di Israele non è negoziabile, tutto il resto è diplomazia. Franco Frattini, ministro degli Esteri, racconta al Foglio com’è andata la missione in Libano e in Siria, da cui è rientrato mercoledì sera. “Parlo come uno dei migliori amici di Gerusalemme”, premette sorridendo, dando un taglio alle polemiche che hanno accompagnato le sue dichiarazioni sulle alture del Golan come “ostacolo alla pace”. “Stavamo discutendo dei negoziati tra Israele e la Siria – spiega – ed è noto che una parte rilevante di quella trattativa è legata al Golan”. Damasco ne vuole l’intera restituzione, Gerusalemme è disposta a concederne una parte – secondo l’ultima versione dell’ex premier Ehud Olmert – e su questo, e su molto altro sono aperti tavoli di trattativa sotto il patrocinio della Turchia. “E’ interesse di Israele restuarare un rapporto con la Siria”, continua Frattini, che è convinto che “una pace duratura nella regione si possa trovare soltanto con il coinvolgimento di ogni paese, non certo isolando Damasco”. Tutti vogliono parlare con Bashar el Assad. “Me l’hanno detto anche la singora Clinton e il senatore Kerry quando ci siamo incontrati”, conferma Frattini. Dopo la legittimazione data al rais siriano dalla Francia di Nicolas Sarkozy alla festa del 14 luglio dell’anno scorso, si sono moltiplicati gli sforzi per aprire a Damasco. L’arrivo di Barack Obama alla Casa Bianca ha consolidato la strategia, ampliandola all’Iran, diventato interlocutore determinante per la soluzione della questione afghana, tanto che il dipartimento di stato ha detto di voler partecipare “in modo completo” a tutte le trattative sul programma nucleare di Teheran (l’Iran reagisce sempre con freddezza preoccupante e ieri con l’inaugurazione del primo impianto di produzione di combustibile nucleare a Isfahan). La Siria si merita tanta legittimazione? Frattini è cauto, ma ottimista. “Ci sono tre elementi che fanno ben sperare – spiega – la volontà di Assad di aprire un dialogo con Israele; le pressioni di Assad sulla Lega araba per evitare fratture nei confronti di Israele; l’inizio della normalizzazione del Libano”. Sono parole, certo, dichiarazioni, “ma prima non c’erano neppure quelle”. I fatti più visibili riguardano il Libano: l’annuncio dell’apertura di una sede diplomatica siriana a Beirut – “anche se non c’è ancora l’ambasciatore”, precisa il ministro – e un “nuovo pragmatismo” dello stesso rais Assad. Eppure i libanesi sono preoccupati: Hezbollah ha diritto di veto nel governo e il suo potere, anche e soprattutto militare, è sempre più solido. “La Siria deve fare di più – ammette Frattini – Deve demarcare i confini con il Libano, che non sono chiari, e controllare il traffico di armi che va verso il sud, al confine con Israele”, dove ci sono i nostri soldati nella missione Unifil. La possibilità che la legittimazione della Siria non sortisca i risultati sperati non è al momento presa in considerazione. “Ci auguriamo che Damasco faccia quel che dice”, dichiara Frattini, che continua: “Israele si può e si deve fidare. Con il boicottaggio di Durban II l’Italia ha dimostrato che fa sul serio e anche il mio collega australiano forse vuole seguire la nostra strada”. Non ci può essere un pregiudizio negativo nei confronti della Farnesina, amica di Israele, così come non si può mettere in discussione “la strategia dei due popoli e due stati” per la soluzione del conflitto israelo-palestinese. Anche il governo di Bibi Netanyahu lo sa. La strada da percorrere pare chiara, ma che effetto fa incontrare il ministro degli Esteri siriano, Walid al Moallem, che poche ore dopo vola a Teheran dagli amici iraniani? “Gli ho chiesto di verificare con il collega Manouchehr Mottaki se l’Iran è davvero interessato alla stabilizzazione di Pakistan e Afghanistan”. Attendiamo risposte.

Il FOGLIO - Carlo Panella: " Ecco chi piega la schiena di fronte al patto tra Siria e Fratelli musulmani "

La sostituzione dinastica al vertice dell’Arabia Saudita apre una fase di grande instabilità in uno stato chiave per l’equilibrio mondiale e spiega molti avvenimenti degli ultimi mesi, soprattutto le aperture sempre più ostentate nei confronti della Siria. Con una mossa imprevista, il re Abdullah, infatti, in occasione del suo viaggio al G20 – dove è stato riverito con un inchino un po’ troppo profondo da parte del presidente americano, Barack Obama – ha designato il principe Nayf quale secondo vicepremier. Nella contorta dinamica di un regno privo di istituzioni, al di fuori della famiglia reale, la mossa ha un significato esplosivo: alla morte di Abdullah sarà Nayf a succedergli sul trono, perché il primo vicepremier, il principe Sultan, ministro della Difesa, amico di George W. Bush, è nella fase terminale di un carcinoma all’intestino ed è ricoverato da mesi a New York. Questa decisione sposta l’asse della politica saudita e lascia intravedere una sconfitta dello stesso Abdullah nella strategia di modernizzazione del paese che aveva tante volte promesso e di cui sinora non si sono viste tracce. Da sempre Najf, che è ministro dell’Interno dal 1975, rappresenta a corte la componente più rigida, fondamentalista e tradizionalista del regno, nemico dichiarato delle riforme, sostenitore della più rigida dogmatica salafita-wahabita e protettore e finanziatore sia dei Fratelli musulmani sia dei movimenti terroristi islamici, a partire da Hamas. La svolta politica che questa scelta dinastica produce è stata tanto violenta da generare una inusuale reazione del principe Talal, il più progressista tra i principi sauditi, fratellastro di Najf, come di Abdallah, che – tramite Reuters – ha protestato perché questa designazione non è passata attraverso il Consiglio di famiglia di 36 membri che lo stesso re Abdullah aveva instaurato quale unica istituzione preposta alla successione al trono. Talal non può ambire al trono perché figlio di una cristiana libanese, mentre Najf ha dalla sua il vantaggio di essere figlio di Hassa al Sudeiri, la moglie preferita (su una quarantina) di Abdulaziz, fondatore del regno (tutti i re, sinora, a eccezione di Abdullah, sono stati figli suoi). Nella impossibilità del designato Sultan, il più occidentale dei principi, di aspirare credibilmente al trono, questi passerà a un rigido cultore della tradizione, ferocemente avverso a Israele. Tanto avverso che fu proprio Najf, nel 2001, a organizzare il riavvicinamento con l’Iran (da sempre avversario mortale dei sauditi), nel momento in cui finanziava i kamikaze di Hamas e dei “martiri di al Aqsa”. Alla luce di questa novità, trovano spiegazione alcuni cambiamenti radicali degli ultimi mesi. Il riavvicinamento dell’Europa – in primis del presidente francese, Nicolas Sarkozy – e degli Stati Uniti alla Siria di Bashar el Assad è maturato essenzialmente perché l’Arabia Saudita – da anni avversaria feroce di Damasco sul teatro libanese – si è improvvisamente trasformata in garante del dittatore siriano. Una svolta, maturata subito dopo che il “partito saudita” in Libano (Hariri, Siniora, Jumblatt) tentò di mettere fuori gioco Hezbollah (chiudendo la sua rete di comunicazione) ma fu sconfitto dalla reazione militare e dal passaggio di campo del generale Michel Suleiman, che abbandonò i suoi sponsor filosauditi e schierò l’esercito libanese a fianco di Hezbollah. La centralità di Najf in questa svolta – che ora emerge con la designazione – porta a pensare che essa in realtà si basi su un ruolo centrale che ora Riad assegna non più al fronte democratico libanese (perdente), ma a un patto tra lo stesso Assad e i Fratelli musulmani siriani, da sempre protetti da Najf. La nuova “moderazione” del regime di Damasco, dunque, consisterebbe in un “patto di regime” tra gli Assad e la Fratellanza, non già in una diminuzione – di cui mai si è vista traccia – dei legami tra Siria e Iran. Questo quadro intricato lascia intravedere una ricollocazione di Riad nel Golfo, un suo riposizionamento avverso a Israele, una fluidità nelle alleanze di cui già il Qatar ha dato prova – schierandosi contro il Cairo e a fianco di Hamas nei mesi scorsi – una strategia saudita di contenimento dell’Iran nucleare e “rivoluzionario”, basata sul rafforzamento del peso dei Fratelli musulmani ovunque possibile. In sintesi, una doccia gelata alla strategia obamiana del dialogo, di cui sarebbe bene che le cancellerie europee, a partire dalla Farnesina, prendessero rapidamente atto.

Giorgio Israel : " Contagio obamiano "

Frattini ha subito un contagio dalemiano? Direi piuttosto un contagio obamiano. Ho avuto già occasione di notare su questo sito e sul Foglio che l´atteggiamento assunto dall´Italia si è distinto finora per un coraggio encomiabile che però non poteva reggere. L´Italia è stata l´unico paese europeo che ha dichiarato di non voler partecipare alla Conferenza di Ginevra sul razzismo. Ma ora ai sei schiaffi che Obama si è preso tranquillamente in un mese - quelli elencati efficacemente da Ugo Volli nelle sue cartoline da Eurabia - bisogna aggiungere anche gli inchini in cui il medesimo si è prodotto in risposta a questi schiaffi. E tra questi va menzionato il nuovo passo indietro su Durban II: l´amministrazione Obama ha fatto sapere di non aver deciso se, in fin dei conti, tornare a Ginevra. Difatti, sul documento sarebbero stati fatti passi avanti, ma non ancora del tutto convincenti - ha detto l´ambasciatore all´ONU Susan Rice. Pare che ancora sia stata confermata la delibera di Durban I secondo cui Israele è uno stato razzista. Andiamo bene... Se si riuscirà a "temperare" questa affermazione magari si farà una mozione congiunta che esprimerà una "moderata" e "accettabile" condanna di Israele. Il peggio del peggio. E comunque l´amministrazione ha deciso di rientrare nel Consiglio dei diritti dell´uomo... Perciò - diciamola tutta - cosa può mai fare Frattini in questa situazione? Rompere con Obama? Suvvia. Il vero problema è un altro ed è grosso come un palazzo, diciamo come una casa bianca. Obama ha inviato i suoi calorosi auguri di Pesach Sameach mentre lanciava i segnali di massima apertura nei confronti del mondo islamico. Questo è il suo stile: quello che fa venir voglia di dire: "non fiori, ma opere di bene". Nella sostanza c´è un aspetto che caratterizza in modo inequivocabile la scelta politica della sua amministrazione: parlare sempre di Al Qaeda come unico nemico degli USA e dell´occidente. Insomma, il resto - Hamas, Hezbollah, Talebani, Iran ecc. - non sono nemici, sono soltanto movimenti che contengono componenti estremiste da isolare. Esiste una componente buona di Hamas ed una estremista, così per Hezbollah, e anche tra i Talebani vi sono quelli "moderati", da privilegiare e aiutare. L´Iran è una grande e saggia potenza regionale e con l´Islam - Obama docet - non ci sarà mai conflitto. Qualsiasi cosa avvenga. L´unico nemico è Al Qaeda. Una trovata geniale, non c´è che dire. Che Eurabia la applauda entusiasticamente è fin troppo ovvio.

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