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FaithFreedom.org Rassegna Stampa
05.07.2008 Essere un giornalista francese significa non dover mai dire: 'mi dispiace'
un articolo su Charles Enderlin e il caso Al Dura

Testata:FaithFreedom.org
Autore: Anne-Elisabeth Moutet
Titolo: «L'Affare Enderlin: essere un giornalista francese significa non dover mai dire: 'mi dispiace'»
Dal sito FAITHFREEDOM un interessante articolo sul caso Al Dura- France 2
http://www.italian.faithfreedom.org/website/newIndex_ITA.php


[...] Essendo rimasto solidamente sulle sue posizioni a suo tempo, Enderlin, un veterano giornalista e oriundo Franco-Israeliano che ha passato gran parte della sua vita adulta sullo stesso lavoro, non avrebbe mai immaginato che la storia di al-Dura potesse tradirlo. Aveva la necessaria copertura da parte dei suoi superiori, permettendogli la serenità Zen che si può raggiungere nelle grandi organizzazioni Francesi, che sono profondamente gerarchizzate dall'alto verso il basso ed essenzialmente immutate in spirito fin dai tempi del Re Sole. La sua copertura mediatica di Israele e dell'Autorità Palestinese, che prendeva di mira regolarmente i gruppi pro-Israle, era altamente stimata dai suoi colleghi. Aveva prodotto una serie di documentari ben informati sugli accordi di Oslo, il processo di pace, i negoziati del 2000 a Camp David, collegati ad un libro che è stato venduto anche in inglese; e, anche se si potrebbe affermare che era forse troppo vicino ad alcune delle sue fonti (alcune delle parti coinvolte nei negoziati hanno tenuto conferenze agli uffici di France 2 [l'emittente per cui lavora Mr. Endelin, Ndr], concessi da un generoso Enderlin come ente neutrale), si tratta pur sempre di un considerevole traguardo. Una tale persona non potrebbe certo essere seriamente messa in difficoltà da un gruppuscolo di attivisti o blogger straccioni seduti dietro i loro computer che mettono in dubbio il suo giudizio professionale. Quando egli congedò le prime illazioni di falsificazione spiegando che egli aveva scelto di "non mostrare l'intera sequenza dell'agonia del bambino", perché sarebbe stata "durissima da guardare", si aspettava pienamente che la sua buona fede fosse accolta senza fiatare.

Ciononostante i blogger e gli attivisti rifiutarono di lasciar morire la storia. In effetti un'improbabile alleanza di, fra gli altri, un professore di storia medievale dall'università di Boston, una testa calda ex manager finanziario, e un ex reporter di Le Monde cominciarono a portare alla luce abitudini che non farebbero storcere il naso ad un giornalista esperto che lavori in un regime totalitarista. La maggior parte dei corrispondenti esteri che coprono i territori Palestinesi ed Israele fanno affidamento a contatti locali, cameramen, intermediari. Questi Palestinesi non beneficiano delle protezioni normalmente di routine per i giornalisti internazionali. Essi e le loro famiglie possono essere soggetti a ogni sorta di pressione da un sistema che non è certo noto per il suo rispetto dei diritti umani e la libertà di espressione. Le messe in scena a beneficio dei fotografi sono comuni.

Il professore di storia medievale, Richard Landes, un Americano pacato che ha passato la sua infanzia in Francia e ha ricevuta la sua educazione primaria in una scuola pubblica di Parigi, ora uno dei più devoti esperti del caso, ha coniato una nuova parola per la manipolazione Palestinese dei media: "Pallywood." Egli ritiene che l'intero incidente di Al-Dura sia stato preparato a tavolino. Usando spezzoni presi da altri cameramen in scena quel giorno, egli presenta il suo caso su due siti web nen-visitati e regolarmente aggiornati (theaugeanstables.com e seconddraft.org) oltre che in numerosi altri articoli e interviste.

Poi c'è la testa calda. Philippe Karsenty è un Ebreo Francese che è rimasto così desolato dalla copertura mainstream della seconda Intifada e del Medio Oriente in generale da abbandonare una carriera di successo nella finanza per dare via ad un'agenzia di monitoraggio dei media. Il suo Media Rating (abbreviato m-r.fr) mette al vaglio la validità dlele storie giornalistiche su tutti i temi con un test da lui nominato "metodo P.H.I.L.T.R.E.", votando articoli per "precisione, consistenza, indipendenza, libertà, trasparenza, reperibilità, ed esaustività". Karsenty si è occupato del caso al-Dura e ha cominciato a sparare su tutto e tutti coloro che egli vedeva come responsabili della diffusione di una pericolosa menzogna.

Karsenty è un personaggio sui 40anni dal carattere ragazzesco, dalla risposta pronta, una pesante assuefazione al cellulare, e un incrollabile senso di missione. Si sceglie nemici tra i suoi amici con lo stesso gusto con cui attacca l'establishment Francese (ha qualcosa del classico ragazzino di quartiere che suona tutti i campanelli del vicinato). Ha attaccato diversi leader Ebraici Francesi oltre che il nuovo direttore di France 2, Arlette Chabot; Enderlin; il presidente di France 2, Patrick de Carolis; e un nutrito gruppo di politici. Usa quotidianamente espressioni come "Lo seppellierò!" e "Stroncherò la carriera di quel bastardo!" E' un pò fuori di testa, ma si può asserire che molti santi ed eroi lo erano - se Giovanna d'Arco fosse stata più felice nel suo villaggio della Lorena, noi Parigini potremmo anche cominciare a parlare Inglese.

Karsenty non è un santo, ma è il suo particolare mix di coraggio, sbruffoneria, testosterone, e semplici cattive maniere che hanno fatto reagire France 2 (mi ha ricordato, incontrandolo, dell'ex senatore di New York Alfonse D'Amato, che si vantava del suo soprannome "Rottweiler di Brooklyn" e veniva sguinzagliato dal Comitato Bancario del Senato sulle banche Svizzere che si riufiutavano di rivelare il numero e l'ammontare dei conti bancari delle vittime dell'Olocasto. Fino ad allora, gli Svizzeri erano stati soltanto incontrati da educate delegazioni guidate da persone dal polso sottile come Paul Volcker, l'ex presidente della Fed, e Stuart Elizenstat, l'ex sottosegretario di Stato. Non conclusero nulla. D'Amato, senza fare prigionieri, risolse la questione in un paio di mesi).

Ad ogni modo, due anni fa, dopo un editoriale di troppo da parte di Karsenty sulla "volgare mistificazione" della vicenda di al-Dura, France 2 lo denunciò per diffamazione. In un paese in cui i giudici sono servitori dello Stato, il loro primo verdetto non sorprese molti: favorirono l'istituzione nazionale, France 2, e ordinarono allo straniero, Karsenty, di pagare 1 euro di danni ai danneggiati, una multa di 1.000 euro, ed altre 3.000 euro di spese legali. Anche tenendo conto delle spese legali relativamente moderate della Francia, era pur sempre un ceffone sulle mani. Accettando la sfida, Karsenty ricorse in appello.

La corte d'appello si è riunita il mese scorso e chiese - oh Cielo! - di esaminare le prove, per la precisione il famoso filmato inedito di 27 minuti di France 2, che nemmeno Enderlin aveva visto nella sua interezza quando ha inviato il suo servizio per il notiziario serale (il suo cameramen Palestinese, Talal Abu Rahmeh, gli aveva inviato circa 6 minuti da cui egli aveva tagliato il servizio). France 2, trascinando i piedi, arrivò a fornire 18 minuti di filmato (nel sistema giudiziario Francese non esiste nulla di simile all reato di Disprezzo della Corte). La proiezione del film costituì un momento clou del processo, in particolare quando i giudici della corte si alzarono in piedi , increduli, per guardare il filmato con maggior attenzione; quindi si riunirono per deliberare, dopodiché intimarono a France 2 di consegnare la totalità del filmato. Questo si rivelerà essere il punto cruciale del procedimento.

Karsenty si presentò in tribunale bardato di tutto punto, con carrelli di documentazione, incluso un rapporto balistico di 90 pagine. Oltre a ciò la corte potè consultare un pezzo del 2005 di Le Figaro scritto da due affermati giornalisti, Denis Jeambar, editore capo di L'Express (la risposta Francese a Newsweek), e Daniel Leconte, capo dei documentari d'informazione e del canale culturale di Stato Franco-Tedesco Arte (una sorta di P.B.S. Franco-Germana), entrambi partecipanti piuttosto controvoglia a questo spettacolo assai poco dignitoso. Jeambar e Lecont, coinvolti dal loro collega Luc Rosenzweig, che aveva mostrato grande interesse al caso e aveva cominciato a scrivere riguardo ad esso per conto della piccola agenzia Israeliana Mena, chiedendo fin dal lontano 2004 a France 2 di poter visionare il filmato per intero. Dando retta al peso di Jeambar e Leconte nell'establishment Francese, France 2 fece per loro quello che aveva rifiutato di fare per innumereboli altri e mostrò a loro, e a Rosenzweig, i 27 minuti del film.

Quello che avvenne poi fu il tipico comportamento da gatto-su-un-tetto-di-latta-che-scotta che anche le più potenti personalità Francesi esibiscono quando si trovano di fronte ad una violazione della legge non scritta ma ben nota dell'ordine di precedenza delle elite locali. Mentre Jeambar e Leconte presero tempo per ponderare su quello che avevano visto, Rosenzweig ebbe il coraggio di scrivere un pezzo per Mena descrivendo le scene di preparazione del nastro appena prima della sparatoria fatale. Potevi vedere i Palestinesi trasportati in barella verso le ambulanze, per poi uscire da esse illesi, in una sorta di atmosfera carnevalesca, con i bambini che lanciavano pietre e facevano le smorfie alla telecamera, nonostante la presunta tensione della situazione. Il nastro mostrava occasionali colpi di arma da fuoco, non raffiche continue. Dall'indolenza e scarsa serietà visibile nel video di Abu Rameg, Mena concluse che l'intera scena doveva essere stata preparata a tavolino.

L'essere preceduti da Rosenzweig conferì legittimità a Leconte e Jeambar, che espressero il loro dispiacere nel loro editoriale del 2005 del quotidiano di centro-destra Le Figaro. Essi diedero così tanta rilevanza a Rosenzweig, al suo correre a scrivere per primo quello che avevano visto, e alle conclusioni che aveva preso indipendentemente, che leggendolo sarebbe quasi stato possibile sorvolare su un fattore chiave: gli stessi Jeambar e Leconte non solo concordavano che il filmato mostrava Palestinesi che preparavano e giravano scene finte e si mostravano in atteggiamento decisamente giocoso, essi dissero anche di aver scherzato su quelle stesse scene con i direttori di France 2 che stavano assistendo al filmato assieme a loro.

Tutti i presenti alla proiezione - sia i visitatori illustri e i direttori di France 2, recita l'editoriale, erano in chiaro accordo circa il fatto che era impossibile determinare da dove venivano gli spari, ma che era altamente improbabile che essi venissero dal forte Israeliano. Ancora più cruciale fu il fatto che Jeambar e Leconte colsero Enderline a mentire (o, come preferiscono candidamente asserire, "estrapolare"): "Non c'era nessuna agonia 'durissima da guardare' del bambino da nessuna parte nel filmato", scrissero. "Non è stata tagliata fuori, semplicemente non esiste."

L'articolo del Figaro ebbe ben poco impatto quando venne pubblicato, ma finì con l'essere uno degli elementi cruciali nella sfida di Karsenty alla versione degli eventi di France 2. Egli vinse il processo di appello. La sentenza, letta il 21 Maggio, affermava che aveva agito in buona fede come commentatore di media e che aveva presentato un "corpo di prove coerenti", nonostante la truffa non poté essere provata definitivamente in sede legale. Il giudice notò anche "l'inspiegabile inconsistenza e spiegazioni contraddittorie di Charles Enderlin", la cui apparizione presso la corte fu la prima testimonianza sotto giuramento sulla questione.

Si potrebbe pensare che la figura professionale di Enderlin fosse rimasta danneggiata dalla vicenda. Ci si sbaglierebbe. In meno di una settimana, venne presentata una petizione dai suoi amici del Le Nouvel Observateur, il principale settimanale di notizie della sinistra. La petizione non concedeva nessuna zona grigia, nessuno spazio per il dubbio. Chiamava l'iniziativa di Karsenty così veementemente promossa ed estensivamente documentata "una viscida campagnia di odio lunga sette anni" mirata a distruggere la "dignità professionale" di Enderlin. Affermava semplicemente nel paragrafo di apertura che Muhammad al-Dura era stato ucciso da "colpi provenienti dalla postazione Israeliana." Esprimeva sincero stupore per la sentenza legale che "garantiva equa credibilità ad un giornalista rinomato per il suo lavoro rigoroso e a manifesti bastian contrari ignoranti delle realtà locali e privi dell'esperienza giornalistica." Mostrava preoccupazione su di una giurisprudenza che avrebbe - Orrore! - permesso a "chiunque, in nome della buona fede e o di un supposto diritto di critica e cosiddetta libertà di parola, di infangare con impunità l'onore e la reputazione di professionisti della notizia."

Seguivano i nomi di oltre 300 giornalisti - pardon, "professionisti della notizia" - e centinaia di altre celebrità intellettuali (sotto il paragrafo "Personalità"), oltre ad un vasto mare di semplici navigatori della rete ("Internauti").

Sfogliando la lunga lista (a cui nuove firme vengono aggiunte giornalmente sul sito del Nouvel Obs), ho provato la sensazione di vedere la mia intera vita scorrermi davanti agli occhi. Vi erano nomi di persone da ogni rivista o giornale per cui avevo lavorato; persone assieme a cui avevo fatto training; persone con cui ero stata molto amica prima che la vita ci spingesse in direzioni opposte; e persone che avevo visto l'ultima volta appena settimane fa. Era, per dirla tutta, un'esperienza decisamente sinistra.

Mi sono decisa a chiamare il maggior numero di nomi familiari che potevo. Sapevo, o pensavo di sapere, da dove provenivano queste persone. Perché avevano firmato? Poteva anche essere scomodo chiederlo, ho pensato, ma non è forse il nostro lavoro fare domande?
Nella pratica, fu effettivamente molto imbarazzante. Ricordo chiaramente il momento in cui, dopo i saluti e le cordialità di una "voce-dal-tuo-passato" e il classico e sempre gradito "cosa-fai-ora-di-bello" e le memorie nostalgiche dei precedenti editori, colleghi, concorrenti, correttori di bozze ("ora si fa tutto al computer, non c'è più nessuno che ti avverte che scrivi oscenità!"), arrivavo finalmente al soggetto in esame. Mentre cominciavo a spiegare che stavo scrivendo un articolo sull'affare di al-Dura e che mi stavo chiedendo come mai avessero firmato la petizione, imparavo a riconoscere la pausa rivelatrice, il momento del "Oh Cielo, ha contratto il morbo di Scientology! E' passata dalla parte dei lunatici fuori di testa!", dopo di che l'intero obiettivo del resto della conversazione diventava riagganciare la cornetta il più velocemente possibile.

C'erano quelli, come una editrice esterna di una rivista liberale con cui ho passato serate alcoliche scherzando sulle defaillance dei rispettivi fidanzati 25 anni fa, che ora svicolava come davanti a un ostacolo. "Non ho tempo, troppe pagine da correggere, lo staff che si da per malato, davvero, perché fai certe domande, ho avuto una settimana catastrofica, non posso davvero parlare fino a. . . beh, Venerdì, ma dovrai aver già consegnato per Venerdì giusto?"

"Oh, no, c'è ancora tempo Venerdì." (palpabile disappunto dall'altra parte della cornetta). Ho chiamato il Venerdì seguente - sono riuscita a scavalcare la segreteria telefonica soltanto riprogrammando il mio cellulare in modo da non mandare l'ID del chiamante - e ho ricevuta un sibilo arrabbiato al posto del benvenuto. "Sto facendo un'intervista, non posso parlare, non ho niente da dire.". Click.

C'era poi quel noto ex-corrispondente estero del Washington Post di stanza a Parigi, il 75enne Jon Randal, un esperto del Medio Oriente che ho consultato per anni quando era una neo-reporter, che senza mezzi termini mi ha spiegato che vedeva in tutto questo un pericoloso trend Americano di "pressione vendicativa che interferisce con le organizzazioni giornalistiche", e che ora avrebbe minacciosamente attraversato l'Atlantico (Avendo vissuto a parigi per oltre 40 anni, Jon stava pericolosamente diventando Francese).

"Gli Americani sono stati sotto tiro di questa gente da diverso tempo, ma la Francia era solita essere libera da questo genere di cose. [Questi gruppi] sono paranoici, sono persistenti, non si arrendono mai, prosciugano le energie dei bravi reporter. Non posso immaginare quanti soldi France 2 abbia speso difendendo questo caso. Charles Enderlin è un giornalista d'eccezione! Non mi importa se fosse anche l'affare Virgin Birth, tendo a credergli. Uno come Charles semplicemente non si inventa una storia di punto in bianco."

Ma, ho provato a intromettermi, l'assenza dell'agonia del bambino dal nastro?

"Non ha senso! Le televisioni non mostrano violenza estrema. Lo sai bene. Senti, non so nemmeno da che parte stai in tutto questo?"

"Sto solo cercando di farmi un'idea."

"Voglio che tu chiami il mio amico all'NPR, Loren Jenkins; chiama David Greenway al Boston Globe; loro ti spiegheranno tutto su questi gruppi di pressione."

Questa è un'altra storia; non avevo altro tempo e non li ho chiamati.

Similmente, c'era quel reporter veterano da Le Figaro che credeva che Charles Enderlin, semplicemente, era il miglior reporter che lavorasse nel Vicino Oriente al giorno d'oggi. "Questa gente, quelli che lo attaccano, sono estremisti di destra, giusto? Non puoi prendere sul serio nulla di quello che dicono." Ho concesso che la truffa non era stata del tutto provata, ma che le riprese con ogni probabilità venivano da parte Palestinese. Esther Schapira... Ci fu un sospiro. "Pas très sérieuse, non?"...



http://www.italian.faithfreedom.org/website/newIndex_ITA.php

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