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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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La Repubblica - Corriere della Sera - La Stampa Rassegna Stampa
11.04.2022 Dramma Ucraina tra fosse comuni, fuga e esodo forzato
Servizi di Brunella Giovara, Marta Serafini, Anna Zafesova

Testata:La Repubblica - Corriere della Sera - La Stampa
Autore: Brunella Giovara - Marta Serafini - Anna Zafesova
Titolo: «La pioggia svela i morti, fossa comune a Buzova: 'Torture in chiesa' - E ora Odessa teme i russi - 'Duemila bambini ucraini trasferiti a forza in Russia'»

Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 11/04/2022, a pag.12, con il titolo "La pioggia svela i morti, fossa comune a Buzova: 'Torture in chiesa' ", la cronaca di Brunella Giovara; dal CORRIERE della SERA, a pag. 11, con il titolo "E ora Odessa teme i russi", il commento di Marta Serafini; dalla STAMPA, a pag. 11, il commento di Anna Zafesova dal titolo 'Duemila bambini ucraini trasferiti a forza in Russia'.

Ecco gli articoli:

Liberata la regione di Kiev. Strage di civili a Bucha, «300 in fosse comuni»

Brunella Giovara: "La pioggia svela i morti, fossa comune a Buzova: 'Torture in chiesa' "

Si scava anche a Buzova, un paese piccolo tra le foreste a Nord della capitale, e non siamo lontani da Bucha. E si trovano altri cadaveri, al momento ne hanno recuperati due ma ce ne sono altri, sicuro. Un’altra fossa comune, quindi, l’eredità dei russi che giorno dopo giorno si va scoprendo nelle zone liberate. Buzova, 1.200 abitanti, cinquanta dei quali trovati ammazzati per strada, sessanta di cui non si sa più niente da marzo, e questa sepoltura collettiva e frettolosa che si sta rivelando sotto la pioggia, proprio dietro alla stazione di servizio. E ieri una donna piangeva senza consolazione possibile, perché uno dei cadaveri era quello del figlio, scomparso da settimane, cercato ovunque, lì ritrovato. Altre donne arriveranno sull’orlo di posti come questo, nei paesi che circondano Kiev, abbandonati dai russi dopo un mese di invasione. Zona bombardata, così da distruggere l’ospedale, e lo stesso è stato per la scuola, dove erano rifugiate almeno 150 persone, si sono salvate solo grazie alla fuga nel sotterraneo. Poi occupata, si vedono ancora i tank russi bruciati durante la controffensiva, così come dappertutto, i relitti di una conquista fallita. Taras Didich, capo della comunità di Dmytrivka che comprende Buzova e altri villaggi, ha detto ieri che il 31 marzo, una volta liberi, «hanno trovato quella cinquantina di corpi lungo un tratto di 6 chilometri sulla strada principale che porta a Kiev». I cittadini erano chiusi in casa da tempo, quasi nessuno usciva per paura di incontrare i russi, e da dentro sentivano solo gli spari, le rappresaglie contro chi osava disubbidire agli ordini. I parenti hanno poi raccolto i cadaveri, ciascuno il suo, e li hanno portati all’obitorio. Dice ancora Didich che «i corpi hanno segni di colpi di fucile, e sono rimasti in strada per oltre 10 giorni». Questo a Buzova, oggi chissà dove, ogni giorno arriva la sorpresa luttuosa. Ieri l’arcivescovo maggiore di Kiev, Sviatoslav Shervchuk, capo della Chiesa greco-cattolica ucraina, ha denunciato che nella chiesa dell’Ascensione del Signore, nel villaggio di Lukashivka, sono state interrogate e torturate persone: «Abbiamo trovato i corpi di decine di innocenti assassinati. Hanno profanato il tempio». Il procuratore generale ucraino, Irina Venediktova, ha dichiarato che «la Russia ha commesso crimini di guerra in tutto il Paese, crimini contro l’umanità. Noi faremo di tutto per perseguirli». La conta ufficiale dei morti ha raggiunto ieri il numero di 1.222 solo nella regione di Kiev. Aumenterà, e sarà difficile considerare tutto questo come una finzione degli ucraini, che secondo i russi ogni volta mettono in scena una nuova strage, un’abile montatura mediatica per convincere l’Occidente della loro buona causa. L’Occidente è già convinto del contrario, peraltro. Per parte americana, la diplomatica Beth Van Schaack, incaricata di gestire le prove dei crimini di guerra, ha detto che l’indagine non si limita ai comandanti delle truppe sul campo, ma punta ai vertici russi, che hanno pianificato e ordinato gli attacchi ai civili. E il cons igliere alla sicurezza nazionale della Casa Bianca, Jake Sullivan, sostiene che le violenze contro i civili — gli stupri, le uccisioni di massa, le torture, le deportazioni — facevano parte del piano originario dell’offensiva. Fin da subito, e che il piano per «terrorizzare e brutalizzare» i civili ucraini arriva «dai più alti livelli del Cremlino », ovvero da Putin. «La questione dei crimini di guerra e delle atrocità in Ucraina» ricade quindi direttamente «sul Cremlino e sul presidente russo». Tradotto, significa che in un eventuale processo di Norimberga dei tempi moderni — così chiede il presidente ucraino, Zelensky — Vladimir Putin sarebbe l’imputato numero uno.

Marta Serafini: "E ora Odessa teme i russi"

«E’ il paradosso della storia. Più di 80 anni fa mio nonno scappò in Ucraina dalla Germania per mettersi in salvo. Io poche settimane fa ho fatto il percorso inverso per salvare 220 orfani della mia comunità». E tornato nella sua Odessa il rabbino Avraham Wolff, dopo aver organizzato due convogli umanitari passati per Moldavia, Romania e Ungheria e arrivati su fino a Berlino. «Ora anche mio nipote è lì», dice mostrando il video di un bambino di quattro mesi e mezzo sorridente. Odessa nervosa. Odessa confusa. Odessa che festeggia la liberazione e che odia chi la rese possibile. Era il 10 aprile del 1944, 78 anni fa, quando la bandiera sovietica veniva issata sull'Opera dopo che le truppe russe avevano strappato le svastiche. Fuori dalla sinagoga di Chabad, le strade sono deserte: è stato proclamato il coprifuoco totale fino all'alba. «Quando i nazisti entrarono a L'Opera Timori che l'Opera venga colpita. «Ma non succederà, gli inglesi ci hanno mandato armi» Odessa erano rimasti pochi ebrei, ci avevano già pensato i rumeni a sterminarci», continua Rabbi Wolff mentre accende le luci della sala di preghiera. «Io sono arrivato qui da Israele nel 1992. Ho sempre vissuto in pace. L'Ucraina e Odessa soprattutto sono sempre state ebree. I suoi leader stessi hanno origini ebraiche, Petro Poroshenko, Yulia Timoshenko, Volodymyr Zelensky. Ma ora questa guerra ha cambiato tutto. Da 35 mila che eravamo qui in città ora siamo rimasti in poche migliaia. La scuola, il liceo, l'università, gli orfanotrofi, tutto chiuso». Soffre mentre lo dice rabbi Wolff. Ma cerca di sorridere. E alla domanda se per l'Ucraina sarà necessaria una nuova Norimberga guarda dritto fisso davanti a sé. «L'Olocausto resta unico nella Storia. Ma le fosse di Bucha sono una linea rossa, per noi e per tutto il mondo. Noi possiamo solo tentare di proteggere la comunità e tenere viva la memoria. Voi giornalisti fate il vostro lavoro, raccontate là verità, continuate a farlo e, vi prego, aiutateci a fermare la guerra». Venerdì i deputati della fazione Trust in Deeds, quella del sindaco Gennadiy Trukhanov , e i veterani hanno deposto fiori al monumento al marinaio sconosciuto sotto all'obelisco di piazza io aprile. Di sottofondo, le sirene. In cielo, le esplosioni, anche a pochi passi dal centro, le ultime ieri pomeriggio. «Sono i droni russi che la nostra contraerea sta abbattendo», dice Igor. Odessa sotto attacco. Odessa che aspetta un missile sopra l'Opera, simbolo di tutto, da un momento all'altro. «Ma non succederà, gli inglesi ci hanno mandato le armi nuove», continua Igor. In strada Viktor si affretta verso casa. Ha portato fuori il cane, un pitbull femmina cui ha dipinto le unghie di rosa. Ha 23 anni. Lavora come commesso in un negozio della Roshen, la fabbrica di cioccolato dell'ex presidente Poroshenko. «Oggi per me era sempre stato un giorno di festa. Ma ora non lo so. Volevo andarmene in vacanza questo mese, non posso lasciare il Paese a causa della legge che vieta agli uomini di farlo. Che senso ha tutto questo? La guerra è così stupida». In cucina intanto Roberto grida, mentre saluta gli ultimi clienti prima dell'inizio del coprifuoco. «Venissero pure i russi che li aspettiamo, venissero». Ai checkpoint i militari provano a sorridere. «Non vi preoccupate, gli orchi non arriveranno mai». L'idea di uno sbarco dal mare sembra scongiurata, dicono gli analisti. Ma nessuno azzarda più previsioni. Domenica scorsa Odessa si è svegliata con colonne nere di fumo che si alzavano dai depositi di carburante in fiamme, dopo che almeno 6 missili russi avevano bucato la contraerea. Durante la settimana è stata colpita una base militare a Kransosilka, sobborgo a nord est di Odessa, dove c'è almeno un militare è stato ucciso. Un altro missile avrebbe colpito il porto nei giorni scorsi e sabato un altro a Chernomorsk, contro un centro logistico vicino a una base. Gli animi sono decisamente cambiati, con controlli sempre più serrati e una censura sempre severa sull'informazione. «Se volete fotografare qualcosa dovete prima chiedere il permesso e avvertire sempre se vi spostate», dice il sergente Alex, giù al comando centrale. Al tramonto il cielo sì fa nero. Come l'umore della Regina, che di fare festa oggi Odessa non ha proprio voglia.

Anna Zafesova: 'Duemila bambini ucraini trasferiti a forza in Russia'

“Bambini, perdonateci per disordine, vivete in pace e studiate bene, dio vi protegga». Firmato «Russi». Il messaggio lasciato sulla lavagna della scuola di Katyuzhanka, nella regione di Kiev, è scritto in una bella calligrafia, senza errori, a differenza di altre scritte sgrammaticate lasciate dagli invasori in molte case saccheggiate delle città ucraine. Sembra essere fatto apposta per illustrare le buone intenzioni dei soldati russi, e infatti viene diffuso da Margarita Symonian, rapa della propaganda del Cremlino, nello stesso giorno in cui alla stazione di Kramatorsk è stata provocata una strage da un missile russo sulla fiancata del quale c'era scritto «Per i bambini». La difesa dei più piccoli sembra la nuova linea d'attacco dell'ideologia del Cremlino, riesumando un classico della propaganda sovietica, il cui simbolo è la statua del soldato dell'Armata Rossa che tiene in braccio una bambina, a Berlino. Che le scuole ucraine vengono saccheggiate e devastate, distrutte e imbrattate di scritte insultanti verso gli ucraini, non viene mostrato, così come non si parla delle fosse per seppellire civili uccisi, scavate a poche decine di metri. I telespettatori russi non vedono nemmeno la bambina ucraina alla giacca della quale la mamma ha cucito un'etichetta plastificata, di quelle che si appendono alle valigie, per poterla identificare nel caso finissero sotto un bombardamento. I bambini sono vittime della guerra: ieri la commissaria per i diritti umani del parlamento ucraino Lyudmila Denisova ha raccontato che 176 minori sono stati uccisi e 324 feriti, in 44 giorni di guerra. Ma stanno diventando anche un'arma: almeno 1.937 ragazzini ospitati negli orfanotrofi ucraini sono stati portati in Russia dall'inizio della guerra, e alla Duma circola la proposta di approvare un regolamento di adozione semplificato per i piccoli ucraini. Secondo Denisova, sono già state avviate 289 pratiche di adozioni: «Sono i nostri figli. Restituiteceli», ha detto alla televisione ucraina. E Maryna Lypovizkaya, della Ong Magnolia, che si dedica ai bambini scomparsi, ha raccontato alla Cnn che dall'inizio della guerra sono almeno due mila i minori che mancano all'appello: alcuni sono forse rimasti uccisi nei bombardamenti, altri si sono persi nella fuga dalle città assediate, ma altri probabilmente sono finiti dall'altra parte. Allo stato attuale, sono 131 mila i minori ucraini che sono stati portati in Russia, su un totale di 674 mila cittadini sfollati verso il territorio del Paese nemico. Denisova denuncia una «deportazione forzata», e numerosi ucraini fuggiti da Mariupol hanno raccontato ai giornalisti occidentali che i militari russi non gli avevano lasciato alcuna scelta: «Siamo stati recuperati dalle cantine dove ci nascondevamo dalle bombe e caricati su dei pullman». Una volta trasferiti nel Sud della Russia, sono stati collocati in tende e palestre, fotografati e schedati con rilevazione delle impronte digitali: «Mi hanno trattato come fossi stata una criminale, una proprietà della Russia», ha raccontato una donna sotto anonimato alla Cnn. Gli ufficiali dell'Fsb guardano il contenuto dei telefoni dei profughi, li interrogano sulle loro idee politiche, sulle attività svolte dai parenti rimasti in Ucraina e dagli eventuali conoscenti in Russia, li sequestrano i cellulari e i passaporti. «Dobbiamo impedire che in Russia si infiltrino i nazisti ucraini», spiegano queste procedure le autorità russe e, secondo molti testimoni, chi non supera i test, soprattutto gli uomini, sparisce. Gli altri ricevono 100 euro in rubli, una sim card russa e dei documenti provvisori, e vengono caricati su treni e pullman diretti verso varie regioni della Russia, soprattutto remote e disagiate. Denisova ha denunciato ieri la presenza di centinaia di ucraini - soprattutto donne, ma anche 147 bambini, tra cui diversi neonati — chiusi in un campo recintato a Penza: «Non sanno dove si trovano, né se verranno spostati, non possono uscire e vengono sorvegliati». Una deportazione che però sembra per ora proseguire in una maniera non sistematica: mentre alcuni gruppi di cittadini ucraini vengono trasferiti in modalità che ricordano un confino, altri sono riusciti a scappare e a raggiungere la frontiera russa, per tornare in Ucraina. Una donna di Mariupol ha raccontato di essere riuscita a viaggiare fino a Pietroburgo e a passare il confine con l'Estonia, nonostante l'assenza del passaporto, sequestrato dai russi proprio per impedire l'espatrio dei profughi forzati: «Vogliono deportarci e assimilarci, come avevano fatto ai tempi di Stalin con altri popoli».

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