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La Repubblica - Corriere della Sera Rassegna Stampa
07.04.2022 La Francia si avvicina alle elezioni: ecco perché Macron è l'unica scelta possibile
Bernard-Henri Lévy, Aldo Cazzullo intervista Emmanuel Carrère

Testata:La Repubblica - Corriere della Sera
Autore: Bernard-Henri Lévy - Aldo Cazzullo
Titolo: «Un fronte contro Le Pen - 'Perché voto Macron? La sua è una destra che allarga e aggrega. La guerra l'ha aiutato'»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 07/04/2022, a pag. 1-31, con il titolo "Un fronte contro Le Pen", l'analisi di Bernard-Henri Lévy; dal CORRIERE della SERA, a pag. 16, con il titolo 'Perché voto Macron? La sua è una destra che allarga e aggrega. La guerra l'ha aiutato' l'intervista di Aldo Cazzullo.

Ecco gli articoli:

Bernard-Henri Lévy: "Un fronte contro Le Pen"
 
È stata una campagna elettorale strana. All’inizio è stata dominata da Éric Zemmour, un plurirecidivo dell’odio razziale, ossessionato dalla riabilitazione di Vichy che osa, fin dalla sua prima presenza in tv da Laurent Ruquier e Léa Salamé, equiparare, uno accanto alle altre, Mohammed Merah e le sue vittime ebree di Tolosa. Marine Le Pen ha guadagnato terreno e ha approfittato degli scandali del suo rivale per diffondere l’immagine di un estremismo dal volto umano, moderno e affrancato — così ci ha fatto sapere — dai “nazisti” che si sarebbero riversati, come un sol uomo, nel partito di Zemmour e che ammette anche, con una confessione sorprendente, in precedenza avevano avuto una collocazione precisa nel Front e nel Rassemblement National. Abbiamo assistito, in dirittura d’arrivo, alla rimonta di un terzo uomo, Jean-Luc Mélenchon, poco meno odioso degli altri due, giusto un po’ meno putiniano, che — dopo aver sfilato alcuni anni fa nel quartiere della Bastiglia a Parigi insieme agli islamisti che gridavano «morte agli ebrei!» prendendo d’assalto una sinagoga, e a distanza di tre anni dall’aver proferito parole viscide sulla «genuflessione» della classe politica «davanti ai perentori ordini arroganti» di un Crif (Consiglio dei rappresentanti delle istituzioni ebraiche in Francia) dal «comunitarismo pesante e violento» — è riuscito nell’impresa di essere l’unico candidato a non aver trovato, nel decimo anniversario degli attentati di Tolosa, una sola parola di compassione per le vittime. Stando alle prime notizie, i primi due, con Dupont-Aignan, raccoglierebbero i consensi di più di un francese su tre, il che porterebbe l’estrema destra a un risultato mai raggiunto al primo turno di un’elezione presidenziale. Con il terzo, più di un francese su due si lascerebbe conquistare dagli slogan funesti di un populismo le cui frontiere, a destra quanto a sinistra, sarebbero secondo gli stessi sondaggi sempre più permeabili, il che porterebbe il “pacchetto dei candidati antisistema” a un livello anch’esso senza precedenti. A fronte di questa marea dilagante, abbiamo avuto alcuni candidati repubblicani di spessore e qualità. Uno di loro, però, Yannick Jadot, ha visto la sua campagna compromessa da quelli che non sanno perdere che non apprezzerebbero granché, del resto, di veder mescolare la santa causa dell’ecologia, in ogni intervento o quasi, a quella dell’Ucraina martire. L’altra candidata, Anne Hidalgo, dà prova di coraggio, riceve l’appoggio dell’ex presidente François Hollande, ma è sabotata dai beccamorti di quel “gran cadavere coi piedi all’aria” che, da molto tempo, è diventato il suo partito. Inoltre, è stata fatta a pezzi da una sinistra estremista la cui idea di disobbedienza non arriva al punto di mobilitarsi, come lei, per Massoud e le donne afghane insorte, per i curdi in lotta contro l’Isis o per i sopravvissuti di Mariupol che resistono alle colonne infernali russe che uccidono come se stessero disboscando alberi. Un’altra candidata ancora, Valérie Pécresse, aveva un programma ben strutturato e lo portava avanti con coraggio e probità, ma ha visto alcuni compagni di partito, che lei aveva sconfitto alle primarie, metterle i bastoni tra le ruote. Alcuni, vergognosi partigiani dell’unione delle destre, sono parsi più preoccupati di annientarla che di spalleggiarla per tenere testa ai suoi avversari Zemmour e Le Pen; e ricorderò soltanto en passant gli attacchi sessisti di cui è stata fatta oggetto, per la sua voce, il modo di vestire o il volto sciupato, di mattina presto, in un video sui social network. Quanto al presidente uscente, infine, raccoglie molti consensi quando ritrova l’afflato della sua prima vittoria, ma è sceso nell’arena in ritardo — Ucraina oblige — con qualche settimana in più di troppo per poter difendere il suo bilancio, perorare con energia il suo progetto e arginare la marea nera del rancore, del nichilismo e del complottismo che talvolta sembra quasi essere in procinto di trascinare via tutto. Questo è il quadro della situazione a pochi giorni dal primo turno delle elezioni presidenziali di domenica. Questo è lo stato morale del Paese alla vigilia di una scelta che, per una volta, non è sbagliato definire storica e drammatica. Ci troviamo davanti al ritorno di quella “ideologia francese” di cui quarant’anni fa ho descritto la struttura discorsiva e al centro della quale c’era la stanchezza della democrazia, la nausea della libertà e la rinuncia all’ideale della fraternità? Vivremo forse uno di quei cupi periodi storici descritti in passato da Hannah Arendt e oggi dal mio amico Alexis Lacroix in un libretto pertinente e denso ( La République assassinée , Les éditions du cerf) sulla vertigine, il naufragio e la condanna a morte della Germania di Weimar e di Goethe? Con tutta l’anima, spero proprio di no. Questa, in ogni caso, è stata una campagna strana, poco ma sicuro. E dobbiamo pregare affinché, con l’aiuto della fiacca dei cittadini, non si trasformi in una strana sconfitta. Quanto a me, la scelta è compiuta. Non si deve soltanto pregare. Il candidato Macron è l’unico, ormai, in posizione tale da impedire alla fazione della tragedia, nella persona di Marine Le Pen, di accedere al potere supremo. Nel momento in cui la guerra divampa con tutta la sua ferocia in Europa, in cui l’umanità sanguina alle nostre porte e gli autocrati minacciano, sarebbe opportuno che i repubblicani dei due schieramenti domenica facessero in gran numero fronte comune con lui.
(Traduzione di Anna Bissanti)

Aldo Cazzullo: 'Perché voto Macron? La sua è una destra che allarga e aggrega. La guerra l'ha aiutato'

Emmanuel Carrère faccia a faccia è una persona molto gentile, quasi dolce. l'aria lentamente, cerca le parole e le soppesa. L'uomo che la comunità del Corriere, con il referendum della Lettura, ha scelto come lo scrittore del decennio è anche l'autore di quello che in Francia è il film del momento: Ouistreham, in italiano Tra due mondi. La protagonista è Juliette Binoche. L'opera è tratta dal libro-inchiesta di Florence Aubenas, la giornalista che ha vissuto in incognito per sei mesi con le donne delle pulizie sui traghetti che attraversano la Manica. Una discesa agli inferi della precarietà, della povertà, dell'esclusione. Un racconto che aiuta a capire meglio la Francia in un tornante della sua storia: alla vigilia delle elezioni presidenziali, nel pieno della peggiore crisi europea dal tempo della seconda guerra mondiale. E Carrère, da poco rientrato a Parigi da Mosca, figlio della prima donna a capo dell'Académie française, nipote di un esule georgiano e di un'esule russa, è la persona che può aiutare meglio la comunità del Corriere a capire.

Emmanuel, lei tempo fa scrisse un delizioso articolo intitolato «Come ho completamente fallito la mia intervista a Catherine Deneuve». «Ero emozionato. Le chiesi: per lei è importante il rigore, vero? Mi rispose che in effetti il rigore per lei era molto importante. Proseguii: per lei è importante la coerenza, vero? Era importante anche la coerenza. Insomma, non feci nessuna vera domanda, e non ottenni nessuna vera risposta».

Lavorare con Juliette Binoche è stato più facile? «E' stata lei a cercarmi. Il film nasce per sua iniziativa. Un lavoro molto particolare: girare con attori non professionisti, con vere donne delle pulizie. Non è stato facile per Juliette: una vedette, una star mondiale».

L'unica attrice ad aver vinto l'Oscar e i tre più importanti festival europei: Venezia, Cannes, Berlino. «All'inizio c'era diffidenza. Ma lei è stata talmente amichevole, talmente gentile — davvero non mi viene un'altra parola —, che l'imbarazzo è sparito fin dal primo giorno. Sapevo che era una grande attrice, ma non la sapevo così generosa, e così umile. ila un modo tutto suo di mettere la gente davanti a sé, di nascondersi dietro gli altri. Anche questo è talento. Girare è stato faticoso, ma tutto è avvenuto in un clima molto disteso, quasi felice».

La Aubenas non voleva fare il film. «l stata Juliette Binoche a convincerla. II libro è eccezionale, ma se fosse un film sarebbe un documentario. Non c'è la parte retrospettiva, non c'è quello che prova l'autrice nell'immergersi in una condizione diversa, nel vivere una vita che non è la sua. Ma a me interessava anche questo».

Quindi Marianne, la protagonista del film, è anche un personaggio autobiografico? «Marianne è un po' Florence, la giornalista, un po' Juliette, l'attrice, e un po' me».

Ma nel film non c'è il lieto fine. La giornalista viene scoperta. Come prova d'amicizia, Christèle, una donna delle pulizie, le chiede di tornare a lavorare sul traghetto, al suo fianco, almeno una notte. Ma lei rifiuta. «Sì, i due mondi restano separati. La maggioranza delle persone che si sono ritrovate nel libro ne sono state contente; ma Christèle, la donna diventata davvero amica dell'autrice, non la perdona. Sarò pessimista, però non è detto che tutte le barriere siano destinate a cadere. E la lotta di classe esiste ancora».

Torna in mente la frattura sociale, il tema su cui Chirac vinse le elezioni nel 2002. «In vent'anni la frattura sociale non si è saldata. Anzi, si è aggravata».

Domenica prossima si vota per il primo turno delle presidenziali. «I ceti popolari non voteranno a sinistra. Il partito comunista è marginale da tempo; anche se stavolta presenta una candidato, Fabien Roussel, che raccoglie qualche simpatia. Alcuni tra i miei amici lo sosterranno». Ma i due candidati di estrema destra, Marine Le Pen ed Eric Zemmour, saranno oltre il 30 per cento. «La Marine Le Pen di oggi potrebbe candidarsi alla presidenza di Sos Racisme, l'associazione antirazzista (Carrère sorride). E gentile con tutti, non vuole male a nessuno... E anche il pericolo Zemmour si è un po' ridimensionato. Putin gli ha nuociuto, tanto quanto ha giovato a Macron».

Come mai? «Non soltanto perché Zemmour non ha più potuto usare la Z, simbolo della sua campagna, divenuta l'emblema dell'invasione russa. Ma perché la guerra, con la pandemia, ha suonato un po' l'ora della raccolta. Un richiamo all'ordine».

Zemmour è uno strano populista: un intellettuale con gli occhialini. «Sì. Ma la sua lettura della storia francese è costernante: spaventosa».

A cosa si riferisce? «Non è vero quel che lui sostiene, che Vichy abbia sacrificato gli ebrei stranieri per proteggere gli ebrei francesi. E un falso storico, una tesi apertamente revisionista e reazionaria. Al contrario, Vichy ha mostrato un certo zelo nella persecuzione degli ebrei».

Zemmour è teorico del Grand Remplacement, della sostituzione etnica: secondo lui gli immigrati islamici stanno prendendo il posto dei veri francesi. «E propone un ministero perla Re-immigrazione, per innescare il percorso inverso. Non a caso il suo slogan è "Riconquista". Ripeto: spaventoso».

Ma sono idee presenti nella società francese. «Certo. Ma sempre spaventose restano. La guerra di Putin è una tragedia; però se non altro ha contribuito ad affossare la candidatura Zemmour e ad aiutare Macron».

Perché? «Perché il presidente si pone come mediatore internazionale, e queste cose ai francesi piacciono».

Si sta muovendo bene? «Ci prova. Fa quel che può. Manifesta la volontà di una soluzione diplomatica. Non so quanto sarà efficace; però non è un male».

E' stato un buon presidente? «Non mi convince del tutto. Ma lo voterò, perché l'offerta politica è questa. E credo che sarà rieletto».

Come mai la destra repubblicana, neogollista, che ha governato la Francia per decenni, non riesce a esprimere un leader? (Carrère riflette a lungo, prima di rispondere in poche parole). «La destra repubblicana è Macron. Macron è un presidente di destra».

Ma lo vota anche la sinistra riformista. La candidata socialista, la sindaca di Parigi, nei sondaggi è al 2 per cento. «Appunto: Macron è l'uomo di una destra honorable, dignitosa, che allarga, che aggrega».

A sinistra però crescono le quotazioni di Jean-Luc Mélenchon. «Non mi piace né quel che dice, né come lo dice"». Lei era a Mosca quando è scoppiata la guerra. «Sì, e mi sono fermato, per tentare di capire quel che stava accadendo».

Che Idea si è fatto? Putin è impazzito? «Non è follia; è un incredibile errore di valutazione. Putin si era convinto che una parte degli ucraini avrebbe accolto i russi come liberatori. Come l'assassinio del duca di Enghien, l'invasione dell'Ucraina c'est plus qu'un crime; c'est une faute».

È peggio dl un crimine; è un errore. «Putin è sempre più isolato dal mondo. Non ha Internet, non ha contatti con la stampa straniera. Legge solo quello che gli scrivono, e gli scrivono solo quello che vuol leggere. Frequenta preferibilmente preti nazionalisti e invasati. Non sa nulla di quel che accade davvero fuori dal Cremlino».

Ma ha ancora consenso? «Difficile misurarlo. I sondaggi non aiutano. Tutti gli istituti di sondaggi sono finanziati dal governo; e la gente non dice mai la verità al sondaggisti. Quando parlavo con la gente a Mosca, mi colpiva che tutti evitassero la parola guerra. Poi ho capito: solo a chiamarla guerra si rischia di finire in galera; bisogna chiamarla operazione speciale. Da qui la battuta su Tolstoj, che scrisse "Operazione speciale e pace"».

Putin resterà a lungo al suo posto? «Nessuno può dirlo. Noi conosciamo poco la Russia profonda.Il 7o per cento dei russi non ha il passaporto. Ma se all'inizio le sanzioni hanno fatto male soprattutto ai russi amici dell'Occidente, che si sono ritrovati senza Netflix e carte di credito, alla lunga anche la Russia profonda ne risentirà. Quando vedrà che il suo potere d'acquisto sta crollando, il popolo reagirà. Purtroppo ci vorrà molto tempo, e molto dolore. Putin non sta soltanto massacrando un altro Paese; sta distruggendo il suo».

In Italia tanti dicono che la situazione è più complessa, e Putin ha le sue ragioni. «Bisogna sempre indagare le ragioni di chiunque; e la verità non ha mai entrambi i piedi nello stesso campo. Ma siamo di fronte a un'aggressione talmente enorme, che non possiamo non schierarci, non scegliere la parte con cui stare. E la parte con cui stare è il popolo ucraino».

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