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La Repubblica - Il Foglio Rassegna Stampa
06.11.2021 Israele, il governo Bennett-Lapid trova la quadra per la finanziaria
Cronaca di Sharon Nizza

Testata:La Repubblica - Il Foglio
Autore: Sharon Nizza
Titolo: «Israele, vittoria della coalizione di governo: approvata la legge di bilancio - Israele ha un governo stabile»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA online di oggi, 06/11/2021, l'analisi di Sharon Nizza dal titolo "Israele, vittoria della coalizione di governo: approvata la legge di bilancio"; dal FOGLIO, a pag. 3, l'editoriale "Israele ha un governo stabile".

Ecco gli articoli:

Knesset - Wikipedia
La Knesset

LA REPUBBLICA: Sharon Nizza: "Israele, vittoria della coalizione di governo: approvata la legge di bilancio"
 
Immagine correlata
Sharon Nizza

Al termine di tre giorni serrati di dibattito parlamentare, la Knesset ha approvato questa notte la legge di bilancio, mettendo fine a una situazione di stallo che si prolungava dal marzo 2018, un lasso di tempo in cui Israele ha affrontato ben quattro tornate elettorali. Un traguardo per il Paese quindi, ma soprattutto una vittoria per l’esecutivo di Naftali Bennett, insediatosi 145 giorni fa grazie a un compromesso tra otto partiti agli antipodi, che ha reso il nuovo governo la coalizione più eterogenea e potenzialmente instabile della storia del Paese. Il grande scoglio è stato superato la notte tra mercoledì e giovedì, con l’approvazione del bilancio 2021 (circa 170 miliardi di euro), passato con 61 voti contro 59: maggioranza risicata che esprime la vulnerabilità della variopinta coalizione, che ha dimostrato di reggere alla sua sfida più grande e immediata. Si è poi proseguiti ieri notte con l’approvazione del bilancio 2022 (circa 157 miliardi di euro). Accantonata la minaccia di nuove elezioni – che sarebbero scattate in automatico senza il varo della finanziaria entro il 14 novembre – ora la coalizione tira un sospiro di sollievo.

Uno scacco per Netanyahu In via teorica, il prossimo scoglio si presenterà nell’agosto 2023, quando scatterà l’accordo di rotazione e la guida dell’esecutivo dovrebbe passare a Yair Lapid, attuale ministro degli Esteri. Ma fino ad allora, le sfide per l’eterogenea coalizione non sono poche. La prima riguarda il destino dello storico premier – 12 anni consecutivi alla guida del Paese – e attuale leader dell’opposizione Benjamin Netanyahu: così come la volontà di mettere fine alla sua egemonia è stato il collante tra le anime diverse della coalizione, anche la sua uscita di scena gioca un ruolo determinante sul futuro dell’attuale governo. Superato il traguardo della finanziaria e andati a vuoto i tentativi di trovare un franco tiratore che tradisse la maggioranza, Netanyahu sa ora che le sue possibilità di tornare al governo sono praticamente inesistenti. Il sostegno popolare di cui continua a godere (i sondaggi attribuiscono al suo Likud oltre 30 mandati) non è sufficiente a formare un governo, con il sussistere del veto della maggior parte dei partiti verso un politico che sta affrontando un processo per corruzione. Il ministro della Giustizia Gideon Saar (fuoriuscito dal Likud meno di un anno fa) ha depositato una proposta di legge volta a impedire a un candidato rinviato a giudizio per questioni penali di formare un governo. In seno al Likud, l’opposizione interna alza la voce: se Netanyahu liberasse la poltrona di leader del principale partito israeliano, i giochi si riaprirebbero improvvisamente. In quello scenario, un numero consistente di mandati che compongono l’attuale coalizione farebbe decadere il veto contro il Likud, preferendo una stabile coalizione di destra al presente ircocervo composto da partiti della destra nazionalista, centro, sinistra progressista e, per la prima volta nella storia dello Stato ebraico, da un partito islamico. L’influente ex presidente della Knesset Yuli Edelstein ha già annunciato che sfiderà Netanyahu alle primarie per la guida del partito.

Il consolato americano per i palestinesi Non sarà immediata la decisione di farsi da parte di Netanyahu, che nel frattempo è impegnato nella scrittura di un nuovo libro, in inglese, sui lunghi anni alla guida di uno dei Paesi più nel mirino degli osservatori internazionali. Fino ad allora, un’altra parte delle sfide del governo Bennett-Lapid è posta da una serie di questioni che, fino al D-day della legge del bilancio di ieri, era stata accantonata. L’amministrazione Biden, che ha abbracciato con favore l’eterogenea coalizione, si è dimostrata molto comprensiva finora su tematiche scottanti che avrebbero potuto creare frizioni incontenibili tra le varie anime della maggioranza. In primis, la riapertura del consolato americano per gli affari palestinesi – inglobato a oggi nella nuova ambasciata a Gerusalemme aperta da Trump nel 2017. Si tratta di una delle (poche) promesse elettorali di Biden nei confronti dei palestinesi, a cui però le fazioni di destra del governo si oppongono perché sarebbe “de facto un’ambasciata per i palestinesi nel cuore della capitale israeliana”. Poi ci sono le recenti tensioni registrate nella coalizione per l’approvazione di nuove unità abitative negli insediamenti ebraici in Cisgiordania e per l’inserimento di sei Ong palestinesi nella lista delle organizzazioni terroristiche. Per quanto ancora - si chiedono gli osservatori - l’ala di sinistra (Meretz e Labour) e quella islamista (Ra’am) del governo potranno inghiottire il rospo su questioni ideologiche di questa stazza?

Arabi contro E qui interviene il fattore che si è presentato come la maggiore novità posta dal nuovo governo: la frattura tra i rappresentanti dell’elettorato arabo (il 21% della popolazione israeliana). “È la prima volta che un partito arabo gioca un ruolo chiave nell'approvazione del bilancio e nella formazione della coalizione”, ha twittato vittorioso Mansour Abbas, leader di Ra’am, che ha incassato una fetta senza precedenti di budget (11 miliardi di euro tra interventi mirati a beneficio della minoranza e piano emergenziale di contrasto alla criminalità che insanguina le cittadine arabe). “Questo è un passo determinante nel processo di integrazione politica, di cooperazione civica e di assunzione di responsabilità collettive, per il bene di tutti i cittadini, arabi ed ebrei”. Di contro, dai banchi dell’opposizione, Ayman Odeh, leader della Lista Araba Unita – che sposa la linea per cui non sia possibile per gli arabi israeliani essere partner di governo con il sussistere dell’occupazione dei Territori palestinesi – ha accusato Ra’am di dimostrare, votando “questo terribile bilancio”, di essere “persone cattive che odiano se stesse e il proprio elettorato”. La tenuta della Grande Coalizione per Mansour Abbas è questione critica: per affermarsi come nuova alternativa politica per i suoi elettori, deve portare a casa i risultati concreti dei suoi compromessi. Fino a dove potrà spingersi e se gli attuali alleati non lo accantoneranno per coalizioni meno ideologicamente intricate, sono le due grandi domande che governeranno i prossimi mesi della politica israeliana.

IL FOGLIO: "Israele ha un governo stabile"

Negli ultimi anni Israele si era abituato allo strambo e ripetitivo susseguirsi di nuove elezioni dopo il fallimento dell'approvazione del budget nazionale. La sequenza è stata interrotta giovedì quando la Knesset, il Parlamento israeliano, dopo tre anni, ha approvato il nuovo bilancio che è anche il bilancio del governo più eterogeneo della sua storia e al suo interno comprende partiti che vanno dall'estrema destra all'estrema sinistra, con molte sfumature al centro, tutti tenuti assieme dalla volontà di allontanare l'ex primo ministro del paese, Benjamin Netanyahu, leader del partito di centrodestra Likud. I membri della coalizione hanno dimostrato che la loro capacità di stare assieme è più forte delle aspettative, hanno dato un segnale importante e hanno indicato che questo esecutivo pieno di forze centrifughe è più stabile del previsto. Il premier Naftali Bennett, ex alleato e pupillo di Netanyahu, ha scritto su Twitter che finalmente Israele è tornato in carreggiata. E in effetti il paese sembra essersi liberato dalle crisi politiche incessanti, dai governi traballanti, e anche dall'ossessione della politica israeliana per Netanyahu, il premier che ha governato il paese per dodici anni con meriti indiscussi, ma che ormai era diventato sinonimo di instabilità. L'approvazione del budget indica anche che la rotazione dei premier prevista per il 2023 ci sarà, dopo Bennett sarà il turno di Yair Lapid, ora ministro degli Esteri, anche lui un ex di Netanyahu. Bibi adesso dovrà vedersela con chi dentro al Likud è pronto a fargli la guerra, a chi lo accusa di debolezza per non essere riuscito a far cadere il governo. Ma la verità più dolorosa per il leader dell'opposizione è che i suoi ex stanno imparando a convivere sul serio e a porsi degli obiettivi importanti per il paese e insieme, obiettivo dopo obiettivo, stanno mettendo fine all'èra Netanyahu, prendendo anche il meglio dei suoi insegnamenti. E per la prima volta da tempo, Israele ha finalmente la certezza di avere un governo.

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