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La Repubblica - Il Foglio Rassegna Stampa
06.08.2021 Iran, Raisi vuole il nucleare e prova la linea dello scontro
Cronaca di Gabriella Colarusso, analisi di Daniele Raineri

Testata:La Repubblica - Il Foglio
Autore: Gabriella Colarusso - Daniele Raineri
Titolo: «Raisi: 'Teniamo il nucleare, via le sanzioni'. In platea Ue e Cina con Hamas e Hezbollah - Raisi all'arrembaggio»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 06/08/2021, a pag.12, con il titolo "Raisi: 'Teniamo il nucleare, via le sanzioni'. In platea Ue e Cina con Hamas e Hezbollah", la cronaca di Gabriella Colarusso; dal FOGLIO, a pag. 1, con il titolo "Raisi all'arrembaggio", l'analisi di Daniele Raineri.

Ecco gli articoli:

Who is Ebrahim Raisi, Iran's next president? | Elections News | Al Jazeera
Ebrahim Raisi

LA REPUBBLICA - Gabriella Colarusso: "Raisi: 'Teniamo il nucleare, via le sanzioni'. In platea Ue e Cina con Hamas e Hezbollah"

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Gabriella Colarusso

In una fase di tensioni con la comunità internazionale per lo stallo nei negoziati sul nucleare, ieri il religioso conservatore Ebrahim Raisi ha giurato come nuovo presidente dell’Iran. «Le sanzioni contro l’Iran dovrebbero essere immediatamente revocate e sosteniamo con favore qualsiasi iniziativa diplomatica in tal senso», ha esordito, assicurando che «il programma nucleare iraniano è completamente pacifico» perché «il regime della Repubblica Islamica dell’Iran proibisce le armi nucleari secondo la fatwa del leader supremo della Rivoluzione». Una posizione di apertura alternata a toni meno concilianti: l’Iran continuerà a «resistere alle politiche espansionistiche delle potenze arroganti e oppressive e a qualsiasi interferenza straniera nella regione. Le crisi regionali dovrebbero essere risolte con negoziati regionali». Raisi ha giurato davanti al Parlamento e ai rappresentanti di 73 Paesi, presenti cinesi, russi, indiani con una delegazione numerosa, iracheni, curdi, afgani. C’erano anche lo stato maggiore di Hamas: il leader, Ismail Haniyeh e il suo vice, Saleh al-Arouri, capo di Hamas in Cisgiordania; Alil Yahya, vice del capo di Hamas a Gaza oltre a Naim Kasen, vice del capo di Hezbollah, e Ziad Nahala, il leader della Jihad Islamica palestinese. Per l’Italia ha partecipato il direttore generale per gli affari politici e di sicurezza della Farnesina, l’ambasciatore Pasquale Ferrara. Per l’Unione europea è arrivato Enrique Mora, il vice segretario generale e direttore politico del servizio per l’azione esterna. La presenza di Mora è stata criticata da Israele, che ha ricordato agli europei come il nuovo presidente sia «accusato di crimini contro l’umanità» per il suo coinvolgimento nelle esecuzioni di massa di prigionieri politici durante la guerra Iran-Iraq. Gli Stati Uniti hanno risposto alle dichiarazioni del presidente iraniano sollecitando Teheran «a tornare ai negoziati presto: per noi si tratta di una priorità urgente», ha detto il portavoce del dipartimento di Stato, Ned Price. Da Londra, Dominic Raab, il ministro degli Esteri del governo di Boris Johnson, che nei giorni scorsi aveva attaccato l’Iran per i sabotaggi delle navi nel Golfo ? su cui l’Iran nega qualsiasi responsabilità ? ha definito la porta per la diplomazia ajar , socchiusa, ma sottolineando che l’Iran deve decidere se vuole cogliere «l’opportunità» diplomatica o continuare «nelle sue attività di destabilizzazione ». Da quando l’ex presidente americano Donald Trump ha deciso di abbandonare l’accordo sul nucleare nel 2018, l’Iran è venuto progressivamente meno ai suoi impegni, aumentando la percentuale di arricchimento dell’uranio fino al 60%, sviluppando uranio metallico, materiale potenzialmente utile per la costruzione di una bomba atomica e bloccando le ispezioni aggiuntive dell’Aiea, l’agenzia atomica internazionale, nei propri siti nucleari. I negoziati indiretti con l’amministrazione Biden per riattivare il Jcpoa sembravano essere arrivati a un buon punto: prima di lasciare l’incarico, l’ex presidente Rouhani ha rivelato che a Vienna si era vicini a un’intesa, ma che il leader supremo, Ali Khamenei non ha dato luce verde. Ora Raisi si insedia con il sostegno blindato della Guida, e un parlamento amico dominato dai conservatori, ma ha di fronte un Paese prostrato dalla crisi economica e da una nuova recrudescenza della pandemia di Covid. Dovrà decidere se aprire quella porta per ora ancora socchiusa.

IL FOGLIO - Daniele Raineri: "Raisi all'arrembaggio"

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Daniele Raineri

Roma. L'Iran ha capito che l'Amministrazione Biden non ha alcuna voglia di tensioni o di farsi trascinare in uno scontro in medio oriente - e tanto meno ne ha l'Europa - e quindi è disposta a tollerare molto per tornare a negoziare il dossier nucleare a Vienna, dice l'analista Karim Sadjadpour. "Gli iraniani hanno la stessa sicurezza di un mercante nel bazaar che ha compreso che il turista americano non andrà via senza aver comprato il tappeto". E' un'intervista sulla rete americana Nbc che spiega in poche parole l'aria di normalizzazione forzata che ieri ha circondato l'insediamento del nuovo presidente iraniano, Ebrahim Raisi, avvenuto in Parlamento davanti a dignitari e diplomatici arrivati per l'occasione da molte nazioni. Aria di normalizzazione forzata perché non c'è nulla di normale in realtà. Ci vuole davvero uno sforzo diplomatico per ignorare quello che succede in questi giorni. Una settimana fa un drone iraniano con un carico esplosivo ha sfondato la tolda di una nave commerciale, la Mercer Street, in navigazione nel Golfo dell'Oman e ha ucciso due persone, un britannico e un romeno, dopo un volo mirato durato centinaia di chilometri. In pratica hanno usato il drone come se fosse un missile lanciato dalla terraferma per attraversare quel tratto di mare e colpire la Mercer Street perché il proprietario è israeliano. Il governo dell'Iran nega, ma si tratta di una smentita di routine. Israele e Stati Uniti, che nell'area hanno un robusto apparato di sorveglianza, accusano l'Iran e sostengono di avere prove decisive. Romania e Regno Unito partecipano alle accuse - è molto probabile che le prove siano state condivise con loro. Martedì 3 agosto una nave cisterna inglese, la Asphalt Princess, che transitava nel Golfo è stata abbordata "da cinque, sei uomini armati in divisa" che hanno preso il controllo e hanno ordinato all'equipaggio di fare rotta verso l'Iran. L'equipaggio però ha messo fuori uso il motore, la nave è andata alla deriva, un incrociatore americano si è avvicinato e dopo quattro ore gli uomini hanno lasciato la Asphalt Princess, che ora è ferma all'ancora in attesa di riparazioni. La ricostruzione unanime, a partire dalla compagnia d'assicurazione per finire con l'equipaggio e con la Guardia costiera dell'Oman, è che si trattasse di militari iraniani. L'hanno già fatto con altre sette navi a partire dal 2019 per stabilire una forma di controllo armato su quella rotta - che è molto importante per il traffico commerciale del mondo - e ricordare con un'esibizione di forza che il transito è esposto alle decisioni dell'Iran. Si tratta di aggressioni di breve durata per bilanciare la presenza di unità militari nemiche come quelle americane e britanniche nella zona, come a dire: siamo noi in controllo, questo è il nostro territorio. Anche in questo caso il governo di Teheran ha emesso una smentita ufficiale - che fa parte del gioco. Entrambe le operazioni, il drone-bomba e l'abbordaggio, fanno parte delle diverse campagne che l'Iran conduce nella regione, senza prendersi in modo esplicito la responsabilità. Ma questo iperattivismo è molto chiaro per chi lo subisce. Sempre martedì i libanesi che hanno marciato in un corteo di protesta contro il governo perché era l'anniversario dell'esplosione che ha devastato Beirut avevano un lungo striscione che diceva: "Iran out". Sanno che è l'influenza dell'Iran a paralizzare la politica del Libano e quindi a proteggere i responsabili dell'esplosione. Ieri durante l'inaugurazione di Raisi i media iraniani giocavano con questo clima di normalità forzata e inquadravano il delegato dell'Unione europea, Enrique Mora, seduto dietro a Ismail Haniyeh, delegato di Hamas, Naim Qassem vice del gruppo libanese Hebzollah e Ziyad al Nakalah, leader del Jihad islamico palestinese - il gruppo palestinese più forte nella Striscia di Gaza dopo Hamas. Sono tre gruppi finanziati e armati dall'Iran e sono anche sulla lista dei gruppi terroristici dell'Unione europea (nel caso di Hezbollah, soltanto la cosiddetta "ala militare").

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