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La Ragione Rassegna Stampa
04.08.2021 Yehuda Amichai, poeta di Israele
Analisi di Alberto Fraccacreta

Testata:La Ragione
Autore: Alberto Fraccacreta
Titolo: «Amichai, l'autore ¡sraeliano più tradotto al mondo dopo Re David»
Riprendiamo dalla RAGIONE di oggi, 04/08/2021, a pag. 3, l'analisi di Alberto Fraccacreta dal titolo "Amichai, l'autore ¡sraeliano più tradotto al mondo dopo Re David".

Yehuda Amichaï — Wikipédia
Yehuda Amichai

Della letteratura ebraica contemporanea sono notissimi e acclamati i romanzieri: Amos Oz, Abraham Yehoshua e David Grossman su tutti. Amici di lunga data (Oz è purtroppo scomparso nel 2018), straordinari incasellatori di storie e coro di voci unanimi per la pace tra Israele e Palestina, i tre vantano un numero iperbolico di lettori grazie ad autentici best seller come "Una storia di amore e di tenebra", "L'amante", "Che tu sia per me il coltello". Ma l'autore israeliano più celebre in assoluto è probabilmente un poeta — secondo Robert Alter «il più tradotto al mondo dopo Re David» — ossia Yehuda Amichai. Nato in Germania nel 1924, scampato con la famiglia alle persecuzioni naziste e giunto a Gerusalemme nel 1936, Amichai è letto e apprezzato negli anni Sessanta dall'inglese Ted Hughes che incomincia una massiccia opera di divulgazione in terra britannica e americana. Ciò che Hughes ammira maggiormente in Amichai — ispirato da Rilke e Auden — è l'ironica levità dei suoi versi, l'astuta sapienza formale nel passare senza soluzione di continuità da legami amorosi a spinose questioni politiche, non perdendo mai freschezza e anzi associando, talora compenetrando i piani. Esempio paradigmatico per questo intreccio di letteratura e impegno sono le quartine finali di "Strada" (la traduzione è di Ariel Rathaus nella ristampa dello storico volume "Poesie", edito da Crocetti): «Io che attraverso la strada/ solo nei punti consentiti dalla legge,/ sono stato invitato all'improvviso/ fra le rose. / E come si chiarisce un bruno ramo/ nel punto in cui si spezza, così io/ nel mio amore/ sono chiaro». L'implicazione profonda fra lirica e politica è peraltro confermata dallo stesso Amichai, il quale in un'intervista al "Paris Review" dichiaro che «le poesie vere hanno a che fare con una risposta umana alla realtà, e la politica è parte della realtà, la storia in fieri. Anche se un poeta scrive di stare seduto in una serra a bere il tè, riflette la politica». In "Strada" accade proprio questo: attraversare l'esistenza «nei punti consentiti dalla legge» significa raggiungere il côté del «chiaro», la bellezza delle «rose», la perspicuità del «cuore». Il rispetto delle regole converge così verso un'etica sociale in cui ognuno è corresponsabile dell'integrità dell'altro. Scrivere coincide con l'immergersi nelle sembianze di un tu, farsi esodo, lasciare che le prime risoluzioni politiche sorgano nell'intimità con un atteggiamento di tolleranza e cura. Amichai muore nella sua amatissima Gerusalemme il 22 settembre del 2000 ma la sua lezione è ancora intatta: «Dio è coricato supino sotto il mondo/ sempre impegnato in riparazioni, sempre qualcosa si guasta / Avrei voluto vederlo per intero ma vedo/ solo la suola delle sue scarpe e piango».



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