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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Avvenire - L'Osservatore Romano Rassegna Stampa
20.02.2021 Iran, ecco il volto dell'orrore. Gli Usa riapriranno il dialogo con gli ayatollah?
Brevi da Avvenire e OR, cronaca di Francesco Palmas

Testata:Avvenire - L'Osservatore Romano
Autore: Francesco Palmas
Titolo: «Muore di infarto davanti al boia. Ma la impiccano ugualmente - Teheran aspetta segnali sul nucleare varcando il 'punto di non ritorno' - Biden favorevole alla ripresa del dialogo con l'Iran»

Riprendiamo da AVVENIRE di oggi, 20/02/2021, a pag.5 la breve "Muore di infarto davanti al boia. Ma la impiccano ugualmente"; a pag. 15, con il titolo "Teheran aspetta segnali sul nucleare varcando il 'punto di non ritorno' ", l'analisi di Francesco Palmas; dall' OSSERVATORE ROMANO, a pag. 4, la breve "Biden favorevole alla ripresa del dialogo con l'Iran".

Ecco gli articoli:

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Ecco l'Iran che non viene raccontato, ma che è artefice di un orrore che interessa poco. Prima di annunciare la riapertura del dialogo con il regime degli ayatollah, lo staff di Biden farebbe bene a passare questa notizia anche al Presidente. E intanto la corsa verso il nucleare continua.

AVVENIRE: "Muore di infarto davanti al boia. Ma la impiccano ugualmente"

Una donna condannata a morte in Iran per l'uccisione del marito è morta d'infarto prima dell'esecuzione per aver visto l'impiccagione di 16 uomini prima di lei. Ma il suo corpo senza vita è stato comunque appeso al cappio. Zahra Esmaili, questo il suo nome che ha riferito il legale, aveva affermato di avere ucciso il marito, un funzionario del ministero dell'Intelligence, in reazione alle sue violenze.

AVVENIRE - Francesco Palmas: "Teheran aspetta segnali sul nucleare varcando il 'punto di non ritorno' "

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Francesco Palmas

E’ un Iran guardingo e diffidente quello che scruta i segnali di pace lanciati dall'amministrazione Biden che non ha rinnovato ieri le ultime sanzioni imposte da Trump. Il ministro degli Esteri, Mohammad Javad Zarif, aveva prima affidato un messaggio laconico a twitter: «Teheran revocherà le sue misure ritorsive» se gli Usa elimineranno «incondizionatamente ed in modo effettivo» tutte le sanzioni «imposte, re-imposte e rimarcate» da Trump. Zarif sa benissimo che l'Agenzia atomica iraniana ha contrattaccato colpo su colpo ai fendenti dell'ex presidente repubblicano. Oggi Teheran è lontanissima dai vincoli dell'accordo diVienna. Peggio: è a un passo dalla soglia fatidica. Come nel 2014 è uno stato pre-nucleare. Subito dopo la disfatta elettorale di Donald Trump, l'Iran ha modificato le "regole d'ingaggio" dell'impianto sotterraneo di Fordow, iniziando ad arricchirvi l'uranio al 20%, un tasso cinque volte superiore a quel 3,5% ammesso dall'accordo di Vienna, perché del tutto sufficiente per le applicazioni civili. Perché quella mossa e perché proprio Fordow è un sito profondamente incavato, protetto da cemento armato e dalle balze montane, irraggiungibile dalle bombe antibunker in possesso dall'aviazione israeliana. La mossa iraniana e un azzardo, sebbene calcolato. Fa di un gesto tecnico una manovra diplomatica a 360°, che la Francia, la Germania, il Regno Unito e la Russia hanno colto al volo, esercitando pressioni sulla Casa Bianca. Gli iraniani hanno gettato benzina sul fuoco, ad arte. Per provocare una reazione a catena, in un tempo più che breve, scatenando un'esplosione, l'uranio deve contenere un minimo di circa 20% di isotopi di Uranio U235. A quel livello di arricchimento Teheran non può ancora avere la bomba, a meno che non si accontenti di un ordigno mastodontico e intrasportabile. Ma ha superato gli ostacoli tecnici che la separano dalle concentrazioni al 90%, che significano un'arma nucleare operativa. Tecnicamente è più facile arricchire l'uranio dal 20 al 90% che non dal 3,5 al 20%. La mossa è pericolosa, tanto più che l'Iran potrebbe eleggere un falco conservatore alle presidenziali di metà giugno. Che la situazione sia sfuggita di mano lo suggeriscono altre dinamiche. Teheran sta ridistribuendo le centrifughe nei principali siti di produzione, installando sistemi di nuova generazione, più veloci e stabili nell'arricchimento dell'uranio: a Natanz sono spuntate due cascate di 348 centrifughe Ir-2M, vietate dagli accordi del 2015, quattro volte più potenti delle Ir1, le uniche ammesse. A Fordow sono in fase di test le Ir-6 ancora più evolute. Se la militarizzazione dell'atomo iraniano ha ripreso la sua corsa, gli ingegneri del corpo aerospaziale dei pasdaran stanno perfezionando i vettori. Fra aprile 2020 e inizio febbraio, hanno testato con successo due lanciatori spaziali, prossimi ai missili balistici. Dopo una lunga serie di fallimenti, sembrano padroneggiare propulsione e assetti, favoriti dagli scambi con i maestri nordcoreani, accusati apertamente dall'Onu. Israele si sente nuovamente nel mirino. «Tornare all'Accordo 5+1 sarebbe sbagliato», ha ammonito pochi giorni fa il generale Aviv Kochavi. Il Capo di Stato maggiore ha poi precisato che Gerusalemme sta preparano nuovi piani operativi contro l'Iran: «Li avremo pronti entro l'anno. Poi decideranno i dirigenti politici se eseguirli». In caso di guerra, Israele dovrebbe mobilitare un centinaio di jet. Sarebbe in grado di fronteggiare il lancio iraniano di missili mobili e il probabilissimo blocco dello stretto di Hormuz? Molto meglio un negoziato, serio, puntiglioso e verificabile.

OSSERVATORE ROMANO: "Biden favorevole alla ripresa del dialogo con l'Iran"

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Joe Biden

L'amministrazione del neo presidente statunitense, Joe Biden, ha aperto all'ipotesi di una ripresa del dialogo con l'Iran sul programma nucleare. Il Dipartimento di Stato, alla vigilia del G7, ha reso noto ieri come gli Stati Uniti abbiano aderito all'invito dell'Ue a sedersi nuovamente attorno a un tavolo con i rappresentanti di Teheran con l'obiettivo di riaprire il negoziato, ridando vita allo storico accordo del 2015 dal quale il presidente Trump si ritirò nel maggio 2018. Come primo segnale di disgelo la Casa Bianca ha annunciato l'attenuazione delle restrizioni sui movimenti ai diplomatici iraniani a New York, sede dell'Onu, e la conferma dell'annullamento delle sanzioni che era stabilito con la risoluzione Onu n. 2231 del 2015.

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