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La Repubblica - Corriere della Sera Rassegna Stampa
24.01.2021 Russia: Navalnyj, gli arresti a migliaia e la lotta per i diritti umani
Editoriale di Maurizio Molinari, cronaca di Fabrizio Dragosei

Testata:La Repubblica - Corriere della Sera
Autore: Maurizio Molinari - Fabrizio Dragosei
Titolo: «Ora la Russia deve fare i conti con i diritti umani - Il popolo di Navalny scende in piazza. Duemila arresti in tutta la Russia»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA, di oggi 24/01/2021, a pag. 1, con il titolo "Ora la Russia deve fare i conti con i diritti umani", il commento di Maurizio Molinari; dal CORRIERE della SERA, a pag. 16, con il titolo "Il popolo di Navalny scende in piazza. Duemila arresti in tutta la Russia", la cronaca di Fabrizio Dragosei.

Ecco gli articoli:

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Aleksej Navalnyj

REPUBBLICA - Maurizio Molinari: "Ora la Russia deve fare i conti con i diritti umani"

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Maurizio Molinari

L’ ondata di proteste a favore dell’oppositore Aleksej Navalnyj che investe la Federazione russa è un serio campanello d’allarme per Vladimir Putin perché coniuga tre elementi: l’insoddisfazione popolare nei confronti del Cremlino, la popolarità del suo maggior rivale politico e l’inefficacia della raffica di arresti e aspre misure anti dissenso adottate da Mosca. L’insoddisfazione popolare nei confronti di Putin spiega l’estensione delle proteste in corso da Vladivostok alla città siberiana di Jakutsk, dove la temperatura è -50 gradi, dai confini con la Cina Popolare fino alla piazza Puskin della capitale. Se migliaia di persone sono scese in piazza lungo un arco di 11 fusi orari è perché la richiesta di liberare Navalnyj è diventata il catalizzatore di un malessere più vasto, evidenziato da dieci anni di marce. Nel 2011 e 2012 contro le irregolarità elettorali e la staffetta al potere fra Putin e Dmitrij Medvedev; nel 2017 dopo le rivelazioni sempre da parte di Navalnyj sulla corruzione esistente nel ristretto circolo di potere attorno al Cremlino; nel 2018 contro una riforma delle pensioni giudicata iniqua; nel 2019 contro l’esclusione dei maggiori candidati dell’opposizione alle elezioni municipali; nel 2020 contro l’arresto del popolare governatore della regione di Khabarovsk. Ovvero, proteste sociali ed economiche locali si sommano un po’ ovunque ad un malcontento nazionale contro l’ultra ventennale autocrazia di Putin creando una situazione di scontento ed instabilità che pandemia e crisi del lavoro hanno portato a livello di guardia. Il ritorno di Aleksej Navalnyj in patria, dopo essere sopravvissuto ad un brutale tentativo di avvelenamento da parte degli 007 russi, si è dunque trasformato nel catalizzatore di questo scontento. E la decisione delle autorità russe di arrestarlo per 30 g iorni si è rivelata un formidabile autogol consentendogli di diventare all’istante il collante nazionale della mobilitazione, che ora chiede la sua scarcerazione. Navalnyj sta sfidando Putin con i suoi stessi mezzi ovvero trasforma il potere assoluto del Cremlino nella cartina tornasole della sua debolezza: tanto più l’oppositore riesce a mobilitare, tanto più il potere dell’autocrate mostra la sua vulnerabilità. Ed in una nazione come la Russia un leader debole è già sconfitto. Ciò che rende Navalnyj temibile per il Cremlino è il fatto di non avere paura, di andare avanti a testa alta contro l’avversario senza temere le conseguenze più terribili per sé è per la sua famiglia. C’è in questo un richiamo epico di Navalnyj all’eroismo del soldato russo, capace di ogni prova contro il nemico più potente al fine di difendere la sua madreterra. In una nazione immersa nella storia come la Russia il sacrificio estremo a cui Navalnyj si espone tornando volontariamente dall’estero evoca gesta rivoluzionarie e trasforma Putin nell’icona di un potere in declino. Anche perché nel momento del rientro lancia sul Web e sui social una videoinchiesta sui lussi del “nuovo zar” in cui mostra a un popolo in crisi per il Covid e per la recessione, le spese folli per una “reggia personale”. Ma non è tutto, perché ciò che rende ancor più evidente la difficoltà del Cremlino è l’inefficacia delle misure anti dissenso varate negli ultimi anni. Le restrizioni alla libertà di espressione, all’uso di Internet e alle attività dei gruppi per i diritti Lgbt come di altre associazioni di opposizione nascono dalla scelta del 2012 di obbligare ogni Ong straniera a registrarsi come “agente di un governo estero” se raccoglie fondi oltre confine e conduce “attività politica”. Tanto per fare un esempio tale legge ha consentito di far chiudere “Agorà”, una delle maggiori associazioni per i diritti umani in Russia. Leggere assieme tali e tanti fatti porta a comprendere perché mentre negli ultimi anni il tema dei diritti umani in Russia veniva accantonato dalle democrazie occidentali, dentro i suoi confini i cittadini si muovevano in direzione inversa. Come Navalnyj, 44 anni, ha dimostrato di sapere assai bene. E ora Putin si trova davanti ad un bivio che neanche un brillante stratega come lui aveva previsto: può gettare Navalnyj in una cella buia a tempo indeterminato, contribuendo a far crescere a dismisura la sua popolarità, o restituirgli subito la libertà ed affrontare la sfida politica conseguente. Comunque vada, il disegno di Putin di regnare in tranquillità sulla Russia più a lungo di Iosif Stalin per poterla guidare fin dentro il XXI secolo deve lasciare il campo ad una stagione di incertezza che non risparmia neanche i saloni dorati del Cremlino. Per un leader come Putin che ha passato gli ultimi anni a teorizzare e realizzare il sostegno a movimenti populisti e sovranisti in Occidente, al fine di indebolire Nato e Ue dal di dentro, si tratta di uno scomodo risveglio: i diritti umani restano il suo più formidabile avversario.

CORRIERE della SERA - Fabrizio Dragosei: "Il popolo di Navalny scende in piazza. Duemila arresti in tutta la Russia"

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Fabrizio Dragosei

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Vladimir Putin davanti a un ritratto di Stalin

Oltre centomila persone sono scese in piazza in tutta la Russia contro l’arresto di Aleksej Navalny, il più famoso oppositore di Putin avvelenato ad agosto in Siberia che ora rischia fino a tredici anni di carcere. In tanti hanno affrontato il freddo, le minacce e i pericoli che nel Paese corre oggi chiunque contravvenga alle severissime leggi contro manifestazioni e dissenso. E questo nonostante in più di 70 città le autorità avessero fatto di tutto per impedire la protesta. Almeno 2.500 dimostranti sono stati fermati e finiranno presto davanti a un giudice. Parecchi malmenati. Tra i fermati, anche la moglie di Navalny, Yulia (poi rilasciata) e i suoi avvocati. Nei giorni scorsi arrestata anche la portavoce Kira Yarmysh. Complessivamente quella di ieri è stata la più vasta dimostrazione dell’esistenza di un significativo dissenso che non si vedesse da anni. È vero, come il Cremlino fa spesso notare, il presidente gode ancora di un grandissimo supporto nel Paese, ma quelli che lo contestano sono le forze più vitali, sono le colonne della futura Russia. I giovani scolari e gli universitari, la borghesia professionale non più solo delle grandi città come Mosca e San Pietroburgo, ma anche di moltissimi centri sparsi per undici fusi orari. Da Vladivostok sul Pacifico alle gelide Yakutsk (meno 50 gradi ieri) e Krasnoyarsk, a Kaliningrad sul Baltico. E poi all’estero, Kiev, Roma, Berlino. Per bloccare i minori, le scuole si erano inventate una giornata di lezioni nonostante fosse sabato, con la minaccia di espulsione per chi non si fosse presentato. Rallentati i social, soprattutto Tik Tok e Vkontakte e le comunicazioni telefoniche. Poi avvisi pressanti a chi avesse deciso di prender parte alle marce non autorizzate: pesanti pene e rischio Covid.

A piazza Pushkin, dove il popolo di Navalny si era dato appuntamento, il sindaco della capitale ha ordinato una ripavimentazione urgente e così il luogo è stato transennato. Ma la gente ha iniziato a sfilare lungo le vie e poi in serata davanti al carcere di Matrosskaya Tishina dove il blogger è detenuto in attesa di processo. Si tratta di un famigerato carcere, assieme a quello di Butyrka. Nei due istituti venne probabilmente picchiato e poi lasciato morire l’avvocato Sergej Magnitsky che aveva denunciato pubblici ufficiali che truffavano lo Stato. Come causa della morte venne indicato un attacco cardiaco. Per questo Navalny venerdì ha diffuso un video nel quale afferma di «non nutrire alcuna intenzione suicida e di avere un cuore fortissimo». Ad agosto Navalny era stato avvelenato mentre si trovava in Siberia per la campagna elettorale. Alcuni uomini, da Navalny stesso poi identificati come agenti dei servizi, gli avevano contaminato le mutande con una variante di Novichok, la sostanza chimica vietata dai trattati con la quale in Inghilterra avevano tentato di assassinare un agente russo passato dall’altra parte. Tornato a Mosca, Aleksej Navalny è finito subito in prigione per accuse che in buona parte del mondo (ha protestato anche il Parlamento europeo) vengono definite pretestuose. Nei giorni scorsi, per far vedere di non aver paura, il blogger ha diffuso un lungo filmato su un’enorme proprietà in costruzione sul Mar Nero che, secondo Navalny, apparterrebbe a Putin. Il video (un record di 71 milioni di visualizzazioni) ricostruisce anche gli interni sfarzosi. Gli oggetti che hanno scandalizzato maggiormente i russi sono stati gli scopini per il wc da 700 euro l’uno. E ieri molti dimostranti si sono portati da casa quelli «ordinari» per agitarli in aria.

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