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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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La Repubblica - Il Foglio Rassegna Stampa
12.12.2020 Marocco 4: ecco chi disinforma
Tahar ben Jelloun demonizza Israele, continua la linea ostile a Trump sul Foglio

Testata:La Repubblica - Il Foglio
Autore: Tahar Ben Jelloun
Titolo: «Lo scambio per la pace - Anche il Marocco s'avvicina a Israele»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 12/12/2020, a pag. 42, con il titolo "Lo scambio per la pace", il commento di Tahar Ben Jelloun; dal FOGLIO di ieri, a pag. 3, l'editoriale "Anche il Marocco s'avvicina a Israele".

Tahar Ben Jelloun elogia Marocco e Israele per aver scelto la pace per meglio demonizzare nel suo articolo di oggi lo Stato ebraico, accusato di condurre una politica "coloniale e di embargo". Ben Jelloun, come se non bastasse, scrive di "apartheid" in Israele e riscrive la storia dell'esodo degli ebrei marocchini dopo la nascita di Israele: vengono completamente omessi antisemitismo e violenze diffuse che portarono centinaia di migliaia di ebrei a lasciare le proprie case emigrando nell'unico Paese disposto ad accoglierli, mentre si citano osure attività del Mossad, che avrebbe "lavorato per spingerli a lasciare il Paese". L'articolo è il peggiore tra quelli finora pubblicati sulla stampa italiana a proposito dell'accordo Israele-Marocco. Uscito su Repubblica!! 

Il Foglio scrive invece della "normalizzazione" tra Israele e alcuni Paesi arabi sunniti come dell'unico successo in politica estera di Donald Trump, che sugli altri dossier avrebbe fallito. Invece di elogiare quanto ottenuto, si preferisce sottolineare quanto ancora manca, cioè un accordo con l'Arabia Saudita. Non si ferma dunque la linea ostile al Presidente americano sul quotidiano fondato da Giuliano Ferrara, fino al livello di mistificare la storia!
Ecco gli articoli:

LA REPUBBLICA - Tahar Ben Jelloun: "Lo scambio per la pace"

Immagine correlata
Tahar Ben Jelloun

Contrariamente alla normalizzazione delle relazioni tra Israele e Paesi arabi come Bahrein, Emirati o Sudan, quella con il Marocco assume un senso più importante, e anche emotivo e storico. Per secoli, fin dall’espulsione decisa da Isabella la Cattolica nel 1492, ebrei e musulmani in Marocco hanno vissuto in una simbiosi culturale e umana di grande qualità. Gli ebrei non hanno mai dimenticato il coraggio del re Muhammad V, che durante la Seconda guerra mondiale si rifiutò di consegnare gli ebrei al Governo collaborazionista di Pétain. A Tel Aviv, c’è un viale che porta il nome di re Muhammad V, in memoria di questo atto eroico. Hasan II non interruppe mai i rapporti con Israele, pur sostenendo la causa palestinese. Ricevette sia Nahum Goldman che Shimon Peres e cercò di proporre dei piani di pace. Il Marocco nel 1967 contava più di duecentomila ebrei, che erano nati, vivevano e lavoravano normalmente nel Paese. Dopo la guerra del giugno 1967 molte famiglie ebree ebbero paura e lasciarono il Marocco. Il Mossad aveva lavorato molto sul campo per spingerli a lasciare il Paese. Per il Marocco fu una grande ferita. Oggi, ormai, sono appena duemila gli ebrei che vivono in Marocco. Ma i 700mila ebrei marocchini trasferitisi in Israele conservano il Marocco nel cuore: ogni anno fra i cinquanta e i settantamila israeliani di origine marocchina vengono a visitare il Paese con pellegrinaggi sulle tombe di santi ebrei venerati anche dai musulmani. La prima decisione dell’attuale re, Mohammed VI, è stata quella di permettere agli aerei israeliani di atterrare sul suolo marocchino. Gli scambi fra i due Stati entrano nella normalità. Il comunicato della corona, pubblicato giovedì sera, insiste sul fatto che il Marocco continua a sostenere la causa palestinese e opera per la creazione di due Stati.

D’altronde, il re ha telefonato al presidente dell’Autorità Palestinese per dirgli che in quanto «presidente del Comitato al-Quds» (Gerusalemme) persegue la sua volontà di garantire ai musulmani di poter pregare in sicurezza nella moschea di al-Quds. Questa normalizzazione non è un’ultima mossa folle di Trump. Era una cosa in preparazione da tempo. Prima di lasciare la Casa Bianca, il presidente uscente ha voluto fare una «buona azione»: gli Stati Uniti riconoscono la sovranità del Marocco sul Sahara Occidentale. «La proposta di autonomia seria, credibile e realistica del Marocco è l’unica base per una soluzione giusta, che miri a una pace duratura e alla prosperità», scrive Trump. Per il Marocco, è una vittoria enorme. Questo conflitto dura da oltre 45 anni e occupa in modo permanente la diplomazia marocchina. Il Marocco lotta per la sua integrità territoriale, perché il Sahara Occidentale era stato occupato dalla Spagna, che l’ha lasciato nel 1975. I capi delle tribù di quella regione hanno sempre giurato fedeltà alla monarchia marocchina. L’Algeria, che sostiene militarmente e finanzia il Fronte Polisario, che rivendica quel territorio, si ritrova isolata, o quantomeno in una posizione più debole. Gli Stati Uniti apriranno un consolato a Dakhla, una città del Sahara gestito dal Marocco. Per il Marocco, allacciare dei rapporti diplomatici con Israele non è una novità.

Già nel 1994 erano stati aperti degli uffici di collegamento a Rabat e a Tel Aviv. Quelle rappresentanze diplomatiche erano state poi chiuse nel 2000, quando scoppiò la seconda intifada. In linea di principio, questa normalizzazione non dovrebbe sacrificare la causa palestinese. Sostenerli è diventato difficile, considerando che i palestinesi sono divisi in due, l’Autorità Palestinese a Ramallah e Hamas (sostenuto dall’Iran) a Gaza. Detto questo, la politica coloniale e di embargo di Netanyahu, in particolare a Gaza, resta condannabile e non potrà portare a nessuna pace. Gli Stati arabi che hanno normalizzato i rapporti con Israele riusciranno a cambiare qualcosa in questa politica di apartheid? Sono in pochi a pensarlo. La prova viene dall’Egitto, che fece la pace con Israele nel 1977 ma non riuscì mai a incidere in alcun modo sulla politica coloniale di quello Stato. Ma per il Marocco, in questi tempi di crisi, il realismo politico ha la precedenza. Il Paese ha bisogno di farla finita con un conflitto di cui i generali algerini si servono per impedire al Marocco non soltanto di realizzare la sua integrità territoriale, ma anche di perseguire il suo sviluppo economico. Il Marocco non ha né petrolio né gas: ha i fosfati, ma non sono una risorsa sufficiente per realizzare i suoi progetti di sviluppo.
Traduzione di Fabio Galimberti

IL FOGLIO: "Anche il Marocco s'avvicina a Israele"

Western Sahara conflict in 500 words | Donald Trump News | Al Jazeera

Marocco e Israele si sono accordati ieri per normalizzare le loro relazioni, ultimo pezzo del processo che passa sotto il nome pomposo di Accordi di Abramo e che al di là della retorica sta cambiando il volto del medio oriente. Il patrocinio è di Donald Trump che ieri ha chiuso l'accordo in una conversazione con re Mohammed VI del Marocco - fa parte del deal il riconoscimento da parte degli Stati Uniti della sovranità marocchina sul Sahara occidentale, territorio conteso con il Fronte sostenuto dall'Algeria che qui vorrebbe costituire un suo stato. Secondo la Casa Bianca, la richiesta del Marocco è "seria, credibile e realistica" nonché "l'unico fondamento" (unico, nel tweet trumpiano, è in maiuscolo) per una pace duratura. In questo modo il Marocco diventa il quarto paese a credere nella normalizzazione dei rapporti con Israele, dopo Emirati Arabi Uniti, Bahrein e Sudan. Il governo di Rabat riaprirà le relazioni diplomatiche con Israele con l'obiettivo di riaprire le ambasciate e rendere operativi i voli aerei diretti tra i due paesi. Nell'accordo ci sono anche iniziative economiche e di sicurezza oltre alla tutela della comunità ebraica in Marocco. Come abbiamo raccontato, il processo di riavvicinamento a Israele dei paesi arabi è in corso da tempo, ma questo accordo di pace è l'unico davvero riuscito all'Amministrazione Trump, che pure aveva promesso altri trattati - con la Corea del nord, con l'Afghanistan, persino un nuovo accordo nucleare con l'Iran dopo il ritiro da quello già siglato. Sarà anche l'ultimo, visto che siamo alla fine della presidenza Trump. Ma questo processo di normalizzazione - che nasce in chiave anti iraniana - sarà completo quando anche l'Arabia Saudita farà parte del gruppo. A giudicare dalle dichiarazioni di Riad, i tempi non saranno brevi, anche perché c'è molta attesa rispetto all'Amministrazione entrante e delle strategie che Joe Biden vorrà adottare nei confronti dell'Iran.

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