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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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La Repubblica - IlSole24Ore Rassegna Stampa
01.10.2020 Usa, ecco il dibattito Biden/Trump
Cronaca di Federico Rampini, Ugo Tramballi scatenato contro il Presidente americano

Testata:La Repubblica - IlSole24Ore
Autore: Federico Rampini - Ugo Tramballi
Titolo: «Il presidente e la strategia della rissa così conta di recuperare lo svantaggio - Paese travolto da un cassonetto dei rifiuti pieno di insulti»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 01/10/2020, a pag.14, con il titolo "Il presidente e la strategia della rissa così conta di recuperare lo svantaggio" il commento di Federico Rampini; dal SOLE24ORE, a pag. 23, con il titolo "Paese travolto da un cassonetto dei rifiuti pieno di insulti", il commento di Ugo Tramballi.

Ugo Tramballi torna a scrivere oggi sul Sole e firma un pezzo scatenato contro Donald Trump, un articolo che forse neanche il Manifesto pubblicherebbe. Invece di fare la cronaca del confronto Biden/Trump, Tramballi accusa l'attuale presidente americano, demonizzandolo in ogni maniera. Rampini su Repubblica scrive una più equilibrata cronaca, anche se gli accenti a favore di Biden e contro Trump non mancano.

Ecco gli articoli:


Donald Trump, Joe Biden

LA REPUBBLICA - Federico Rampini: "Il presidente e la strategia della rissa così conta di recuperare lo svantaggio"

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Federico Rampini

Donald Trump ha scelto la strategia della rissa per rimontare nei sondaggi: ha trasformato il primo duello tv in un gioco al massacro. Si è comportato come chi non ha più nulla da perdere. La democrazia americana si è risvegliata mercoledì mattina come dopo un incubo mostruoso. Martedì sera era andata a letto avvilita, umiliata, angosciata. Il primo dibattito diretto fra il presidente e Joe Biden è stato uno spettacolo penoso. Caotico, rissoso, a base di attacchi personali e perfino di insulti. Una gara a chi urla più forte (e ce n’è uno che urlava sempre più forte). Uno scontro a base di disprezzo, delegittimazione, scherno. Lo sfidante democratico ha definito Trump «un pagliaccio» e «il peggior presidente che l’America abbia mai avuto». Trump ha detto dell’ex senatore ed ex vicepresidente di Barack Obama che «non ha mai fatto niente in 47 anni». E questi erano tra i giudizi più politici della serata. Per il resto, si fatica a ricordare chi ha dato del bugiardo e chi dello stupido all’altro. La più antica liberaldemocrazia della storia, quella che un tempo soleva chiamarsi «la guida del mondo libero», è in una delle fasi tristi della sua storia e il dibattito di Cleveland ne ha dato ulteriore conferma. L’unica conseguenza positiva per il campo democratico da una serata così avvilente: poiché Trump ha spesso fatto allusioni pesanti alla presunta senilità di Biden, ieri il 77enne ha sfoderato aggressività, è stato più energico delle aspettative. Il giorno dopo Trump canta vittoria: «Sento dire che Biden vuole abbandonare, che pensa di rinunciare agli altri dibattiti. Fatti suoi. Ho vinto a man bassa, era debole, si vedeva quanto era debole». Un fondo di verità: nella gara dei decibel, della prepotenza, dell’interruzione aggressiva, Trump ha vinto e Biden ha sbagliato a tentare di competere sullo stesso terreno. Il duello è apparso talmente sguaiato, che la stessa commissione bipartisan incaricata di organizzarlo ha annunciato di dover rivedere le regole per i prossimi, se ci saranno. I sondaggi del giorno dopo smentiscono il verdetto trionfale di Trump e assegnano una vittoria ai punti al candidato democratico, ma hanno scarso significato. Nel 2016 assegnavano tutti i match ai punti a Hillary Clinton. L’unica consolazione dopo uno spettacolo così deprimente è sapere che sposta pochi voti, ammesso che ne sposti. Forse non aveva alternative, ma Biden ha scelto di dimenticare il consiglio che diede quattro anni fa Michelle Obama: «Quando loro scendono in basso, dobbiamo volare alto» (traduzione elegante di un antico detto americano: «Non metterti a lottare con un maiale, perché finirete tutt’e due nel fango, ma lui ci trova gusto»). Forse è più sconcertante che il presidente sia così poco presidenziale ma nessuno più si stupisce che Trump sia Trump. Di certo fa campagna come un outsider, in svantaggio e quindi costretto a usare le mine anti-uomo proibite dalle convenzioni. Sui contenuti politici della sfida c’è poco da dire: Biden ha denunciato la pessima gestione della pandemia da parte del governo, Trump lo ha accusato di voler strangolare l’economia. Si sono divisi secondo linee di demarcazione prevedibili sul cambiamento climatico e sul razzismo. Trump non ha fatto nulla per placare i timori sulla sua indisponibilità ad accettare una sconfitta. Ai suoi elettori ha raccomandato di «rimanere vigilanti sui brogli». Questo alimenta l’ansia su quel che accadrà dalla sera del 3 novembre in poi, tanto più se l’attesa per milioni di schede spedite per posta dovesse protrarsi molto. È lecito temere un’elezione contestata, con un presidente che disconosce milioni di voti, cerca di invalidarli con ricorsi legali a raffica, magari sperando di risalire fino alla Corte Suprema; e col rischio che la contesa scaldi le piazze. L’America non si è risvegliata da un incubo, l’incubo continua a occhi aperti.

IL SOLE24ORE - Ugo Tramballi: "Paese travolto da un cassonetto dei rifiuti pieno di insulti"

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Ugo Tramballi

Il primo round l'ha vinto Joe Biden e l'ha perso Donald Trump. Ma è un giudizio grossolano, più da bar sport che utile per apprezzare un dibattito e una campagna alla fine dei quali si dovrà eleggere il presidente degli Stati Uniti: il leader della "nazione indispensabile", come amano ancora credere molti americani, la guida per quanto appannata dell'Occidente e delle democrazie liberali per una stagione geopolitica piena di minacce. Chiunque abbia davvero vinto o perso il primo faccia a faccia, resta inoppugnabile un fatto: l'America non ci ha guadagnato. Biden, il candidato democratico, ha probabilmente vinto perché ha smentito la più grande paura del suo partito, degli elettori democratici e della gran parte degli alleati europei: il rischio della debolezza, dell'età, di non saper reggere all'assalto brutale di Donald Trump. Biden invece ha accettato il corpo a corpo, ha partecipato all'apertura del cassonetto dei rifiuti colmo d'insulti e invettive, riuscendo perfino a prevalere. Ma in un certo senso sono stati Trump e il suo stile "unpresidential" - come ha sottolineato Biden - a imporre il tono del dibattito. Probabilmente sarà così anche nei prossimi due incontri e durante il mese di campagna che resta, fino a martedì 3 di novembre. Ieri notte l'elettore americano non ha avuto alcun dettaglio sulle riforme, i piani economici e sociali, la salvaguardia della democrazia in pericolo perfino negli Stati Uniti, le amicizie, le alleanze e le ostilità internazionali. Niente, nessun confronto d'idee: solo grida e insulti. Riguardo a Donald Trump non ci sono sorprese: prima e durante la presidenza, attraverso i tweet e le conferenze stampa surreali, lui è sempre stato questo. Biden è più sorprendente, ha usato più parole grosse nei 90 minuti di scontro a Cleveland che in tutta la sua precedente carriera politica. Stupisce che in mezzo a una decadenza presidenziale piena di scontri sociali e razziali, come quella di Trump, i democratici non siano stati capaci di selezionare e imporre un candidato più giovane e dinamico. Dopo gli otto annidi George W.Bush, di potere dei neocon e di due inutili guerre mediorientali, dal partito era emersa una figura come Barack Obama: giovane, liberal e nero. Joe Biden è quasi ottuagenario ed è sulla scena politica da oltre quarant'anni. Ma forse è una qualità in questa fase della storia degli Stati Uniti, dopo quattro anni tempestosi, vissuti sulle montagne russe chiamate presidenza Trump. "Sleeping Joe", il nome che Trump ha dato a Biden, forse non è un insulto ma una qualità: forse gli americani hanno bisogno di calma e certezze; di affrontare il Covid e la conseguente crisi economica non con le promesse dell'improvvisatore ma con i pochi e concreti atti del politico di lungo corso. Se si votasse domani mattina Biden vincerebbe con facilità. E se dopo il voto davvero vincerà, sarà una di quelle elezioni che definiremo scontate dall'inizio, data la personalità di Trump e l'andamento fino ad ora della campagna elettorale. Ma manca un mese intero, molte cose possono accadere, l'arma più efficace di Trump è la sorpresa. E l'evoluzione politica dell'opinione pubblica americana è molto dinamica, a volte sorprendente. Prima che Trump mettesse i Paesi della Nato e dell'Unione Europea fra gli avversari, e non più nella colonna degli alleati, in qualche modo anche noi avremmo avuto diritto a una frazione del voto americano: a Washington le scelte del presidente determinavano enormemente la vita di noi europei. Ora non è più così, almeno non più così tanto. Ma ancora ci è chiaro quale presidente ci convenga di più avere dall'altra parte dell'Atlantico.

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