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La Repubblica - Libero - La Stampa Rassegna Stampa
29.09.2020 Trump vs Biden, un duello che ha bisogno di colpi di scena, ovvero fake news se si tratta di Trump
Commenti di Federico Rampini, Carlo Nicolato, Gianni Riotta

Testata:La Repubblica - Libero - La Stampa
Autore: Federico Rampini - Carlo Nicolato - Gianni Riotta
Titolo: «Donald fiuta il pericolo perché ora vacilla il mito del magnate - È il fisco che deve soldi a Trump... - Un duello che ha bisogno di colpi di scena»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 29/09/2020, a pag.13, con il titolo "Donald fiuta il pericolo perché ora vacilla il mito del magnate" il commento di Federico Rampini; da LIBERO, a pag. 11, a firma di Carlo Nicolato il commento "È il fisco che deve soldi a Trump..."; dalla STAMPA, a pag. 12, con il titolo "Un duello che ha bisogno di colpi di scena", il commento di Gianni Riotta.

A destra: Donald Trump

Miracolo alla Stampa: Il titolo del servizio di Gianni Riotta di oggi è corretto, a differenza del solito, e invece di condannare a priori Donald Trump informa sulla campagna elettorale dei due candidati e sulle prospettive a un mese dal voto. Di solito la Stampa riprendeva automaticamente quello che usciva sul New York Times, oggi non è così invece, anche se è Libero a chiarire che l'ennesima uscita pretestuosa del quotidiano newyorchese contro Trump è una fake news, come ha sostenuto lo stesso Presidente.

Ecco gli articoli:

LA REPUBBLICA - Federico Rampini: "Donald fiuta il pericolo perché ora vacilla il mito del magnate"

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Federico Rampini

In undici degli ultimi diciotto anni Donald Trump non ha pagato tasse. Nel 2016 e nel 2017, se l’è cavata con 750 dollari per l’anno intero. Lo scoop sulle tasse del presidente esce sul sito del New York Times domenica sera. "Fake news!" accusa il presidente. La campagna elettorale negli ultimi 33 giorni può subire una svolta? Il dossier del quotidiano è dettagliato, ha fonti autorevoli, tra queste con ogni probabilità la magistratura e l’Internal Revenue Service (Irs, l’Agenzia federale delle Entrate), dove procede un’indagine fiscale il cui esito potrebbe essere rovinoso per le finanze di Trump. Il contenzioso può costargli 100 milioni. Trump per anni ha pagato tasse consistenti che si è poi fatto restituire integralmente con varie giustificazioni, e su quei maxi- rimborsi sono in corso accertamenti e contestazioni. Ma saranno gli elettori a pronunciarsi prima che quella vertenza col fisco arrivi a conclusione. È l’impatto sul voto, la questione più immediata. Le carte del New York Times fanno luce su un mistero su cui i media si arrovellano dal 2016. Lo stesso quotidiano aveva già scoperto possibili frodi nel modo in cui Trump aveva impoverito altri familiari appropriandosi dell’eredità paterna, ma è una vicenda più remota nel tempo. Durante la campagna 2016 i democratici e i media tentarono di inchiodare Trump, sottolineando come lui sia il primo candidato dai tempi di Richard Nixon a rifiutarsi di pubblicare le dichiarazioni dei redditi. Nel 2016 i sospetti puntavano in due direzioni: o Trump voleva nascondere di pagare poco o nulla al fisco; oppure di essere sull’orlo del fallimento. O infine una combinazione di tutt’e due. Le carte del New York Times sembrano avallare la terza ipotesi. Dietro i maxi-rimborsi richieste e ottenuti dal fisco ci sarebbe una situazione debitoria pesante, al limite della sostenibilità: 420 milioni di debiti in scadenza. Già quattro anni fa circolava l’idea che lui avesse lanciato la propria candidatura per salvarsi da una situazione finanziaria fragile, usando una passerella di visibilità per rilanciare il proprio marchio e magari creare un suo network televisivo. Ieri Trump ha affidato a una raffica di tweet le sue reazioni: «I media delle fake news, proprio come nell’elezione del 2016, tirano fuori le mie tasse e ogni sorta di assurdità, con informazioni ottenute illecitamente e malevole. Ho pagato milioni di dollari di tasse ma avevo diritto, come tutti, agli ammortamenti e crediti d’imposta... Se guardate ai miei attivi, sono estremamente poco indebitato... Molte di queste informazioni sono già note, ma ho detto da tempo che posso divulgare i miei rapporti finanziari, con tutte le proprietà, gli attivi e i debiti. È un documento straordinario, dimostra anche che sono l’unico presidente ad aver rinunciato allo stipendio annuo di 400.000 dollari! ». Il fatto che Trump sia intervenuto a smentire già in una conferenza stampa domenica sera, per poi tornarci l’indomani, conferma che prende sul serio queste rivelazioni. In gioco c’è un elemento chiave della sua credibilità: lui si è sempre presentato agli elettori come un brillante imprenditore, l’immagine non regge se è sommerso dai debiti e incassa rimborsi di imposte fino ad azzerare ogni tributo. Perché credere che sarà capace di guarire l’America dalla recessione? L’unico terreno sul quale ancora riscuote una leggera maggioranza di consensi è il governo dell’economia. La tempistica preoccupa Trump perché ricorda la fuga di notizie orchestrata da WikiLeaks sulle mail di Hillary quattro anni fa... uno scandalo così vicino al voto, può influire in dirittura d’arrivo su frazioni di elettori indecisi che talvolta sono l’ago della bilancia. Inoltre lo scoop ha tolto a Trump l’iniziativa. Il presidente di solito detta l’agenda dei media, gli altri sono costretti a inseguire i temi che sceglie lui. Questa doveva essere la settimana centrata sul duello tv (ore 21 di stasera sulla East Coast, le tre del mattino di mercoledì in Italia) in cui lui presume di giganteggiare. Lui voleva anche preparare il terreno per le audizioni della sua candidata alla Corte suprema, Amy Barrett, giovane cattolica conservatrice grazie alla quale Trump è convinto di fare il pieno dei voti religiosi. Il partito democratico ha realizzato uno spot televisivo in cui paragona l’assegno da 750 dollari — la tassa annua pagata dal presidente — al carico fiscale che grava sull’americano medio, operaio o middle class. Biden dovrebbe tornare sull’argomento. Nancy Pelosi, presidente democratica della Camera, ha detto che un presidente indebitato fino al collo ed esposto anche verso banche straniere «è un problema per la nostra sicurezza nazionale » in quanto ricattabile.

LIBERO - Carlo Nicolato: "È il fisco che deve soldi a Trump..."

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Carlo Nicolato

Donald Trump è un evasore fiscale, uno dei più grandi della storia americana a quanto pare, o le cifre e le notizie pubblicate dal New York Times sono una "fake news" come ha twittato lo stesso presidente americano? Un paio di considerazioni vanno fatte. A margine dell'articolo, il direttore Dean Baquet sostiene di non aver pubblicato direttamente i documenti citati nell'inchiesta «per non mettere a repentaglio» le sue fonti, «che hanno corso enormi rischi per informare l'opinione pubblica». E che in ogni caso i dati sono stati resi pubblici in quanto «i cittadini devono sapere il più possibile dei loro leader. Conoscere le loro priorità, le loro esperienze e sì: pure le loro finanze». Inoltre, osserva, fin dagli anni Settanta «tutti i presidenti hanno reso note le loro dichiarazioni dei redditi. Secondo tradizione, chi fa politica non deve cercare con le sue azioni benefici finanziari». Mentre «Trump ha rotto questa consuetudine». Nella stessa inchiesta si legge tra l'altro che «le informazioni di cui siamo a conoscenza sono quelle date dallo stesso Trump al fisco, non il frutto di un'indagine indipendente. A quanto davvero ammonti il suo patrimonio nessuno lo sa».

TRASPARENZA In nome dunque della trasparenza presidenziale a 360 gradi, principio indiscutibile del funzionamento della democrazia Usa, il New York Times ha quindi deciso di pubblicare dati e notizie del tutto parziali senza rivelarne le fonti ma riferendosi ai documenti, ripetiamo parziali, che lo stesso Trump ha fornito al fisco. Da queste informazioni si evince che il presidente in carica non ha pagato le tasse per 10 anni su quindici e in due, nel 2016 e nel 2017, ha pagato la miseria di 750 euro come fosse un nullatenente e si desume che Trump abbia una mente criminale paragonabile solo a quella di Joker di Batman, e il famoso fisco americano, famoso per sbatterti dentro anche se solo evadi un dollaro, sia un'accozzaglia di fresconi. Come avrebbe fatto infatti Trump a pagare, come dice il New York Times, 100 milioni di dollari in meno in tasse federali sul reddito rispetto a quanto avrebbe dovuto fare per legge una persona ricca quanto lui? Secondo il quotidiano newyorkese sarebbe stato possibile grazie a manovre discutibili, come la richiesta di rimborso tributario da 72,9 milioni di dollari, poi però rigettata col risultato che alla fine Trump ha dovuto restituire la stessa somma più la penale per un totale di 100 milioni. Possibile grazie a consulenze affidate molto spesso a dirigenti della Trump Organization, come la figlia, e che il NytT definisce «inspiegabili», cioè non le spiega a se stesso e nemmeno a noi. Ma soprattutto grazie a enormi perdite derivanti dalla stessa Trump Organization, tali da permettere alla stessa società di sostenere di non guadagnare, e quindi di dover pagare meno tasse.

ISPETTORI Insomma Trump avrebbe sul groppone debiti per centinaia di milioni dovuti alla Trump Organization, ma anche derivanti da una serie di operazioni di storno fatte con l'intento deliberato di aggirare il fisco. Ne viene fuori l'immagine di un imprenditore fallito che evita di pagare le tasse scientemente e consapevolmente grazie ai suoi fallimenti. Qualcosa non torna: a parte il presunto spessore criminale del presidente fallito, pare un po' improbabile che fisco e magistratura Usa siano così stupidi da farsi buggerare con tanta facilità. Né è possibile che invece quelli del NYT siano così arguti da aver, loro sì, capito tutto, pur avendo in mano, come da loro ammesso, solo un parziale numero di informazioni. Forse i conti non tornano proprio perché il fisco, come è ovvio che sia, è custode di informazioni che il Nyt non ha? Lo suggerisce lo stesso Trump nel suo tweet, e cioè che anche lui ha diritto, «come chiunque altro, all'ammortamento e ai crediti fiscali». Il Nyt assicura altre puntate sull'argomento. Speriamo ci chiariscano le idee, in vista del dibattito con il candidato Dem alla Casa Bianca, Joe Biden, che si svolgerà oggi a Cleveland.

LA STAMPA - Gianni Riotta: "Un duello che ha bisogno di colpi di scena"

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Gianni Riotta

Ritornando da uno dei suoi casinò ad Atlantic City, a bordo di un aereo da turismo, il futuro presidente degli Stati Uniti Donald Trump mostrava a un cliente i quartieri poveri, che in America qualcuno chiama con disprezzo "White trash", spazzatura bianca. «Chi sono in realtà quelli?» chiese curioso il passeggero e Trump, diretto, «gente come me e te, solo che non hanno soldi». La capacità del presidente e uomo d'affari di connettersi all'anima dei bianchi, sprofondati in miseria dalla crisi, privati di lavoro e identità, è il suo forte, «Gente come noi...». Perle donne bianche repubblicane senza laurea Hillary Clinton era l'odiosa prima della classe che ce l'ha fatta, Ivanka e Melania Trump modelli familiari, come la saga tv Kardashian. Lo scoop del New York Times che, alla vigilia del primo dibattito fra Trump e il suo sfidante democratico, l'ex vicepresidente Joe Biden, ha reso pubbliche le dichiarazioni fiscali del leader repubblicano, solo 750 dollari di tasse nel 2016, nessun pagamento in altre occasioni, un impero di business sull'orlo della seconda bancarotta, dopo quella Anni Novanta, 421 milioni di dollari di debito personale da restituire in pochi anni (361 milioni di euro), stravolge ancora la corsa alla Casa Bianca. Trump apparirà alla base democratica da evasore fiscale, bancarottiere, al massimo squalo che elude le tasse, ricevendo 70.000 euro di deduzioni fiscali per "cure tricologiche e coiffeur" e pagando la figlia con i fondi dedotti da un'altra sua azienda. Poco male, il presidente sa di dover portare compatti i militanti alle urne, non far cambiare idea agli altri, e qui, però, avrà da lavorare, perché il fascino da magnate, jet privato e campi da golf, è a rischio, l'aereo a un filo dal pignoramento. Secondo i sondaggi Nate Silver, Siena, Abc, Washington Post, New York Times, Monmouth-Polling Biden ha un vantaggio nazionale su Trump tra il 10 e l'8%, e fino al 5% negli stati in bilico. La campagna elettorale repubblicana ha raccolto in agosto 129 milioni di dollari e ha in cassaforte 236 milioni da spendere da qui al 3 novembre, i democratici di Biden hanno avuto donazioni per 291 milioni di dollari nello stesso mese e hanno da investire in spot tv e web fino a 266 milioni, vantaggio non esiguo in volata. I cattolici saranno al centro del dibattito perché Trump citerà la fede antiabortista della candidata alla Corte Suprema Amy Coney Barrett, mentre Biden, candidato cattolico dopo Kennedy'60 e Kerry'04, lamenterà il contrasto tra la magistrata e Papa Francesco su pena di morte ed emigrazione. Il 29 settembre è la festa di San Michele Arcangelo che i 51 milioni di cattolici Usa, su 328 milioni di cittadini, imparano, in parrocchia, a invocare contro "la cattiveria del Demonio" ma la durezza non mancherà in diretta. Trump, 74 anni, vuol costringere Biden all'antidoping, certo che assuma farmaci contro la demenza senile a 77 anni, insultandolo sui traffici del figlio Hunter, mentre l'ex vicepresidente citerà i 200.000 morti Covid, la crisi che ne è seguita, il crack finanziario incombente sulla holding Trump e l'assalto alla riforma sanitaria di Obama. Al grande show politico assisterà il 75% degli elettori, 114 milioni su 153 milioni di iscritti alle liste, platea immane ma, in realtà, appena il 3%, 3,4 milioni di cittadini, è ancora disposto a cambiare idea, gli altri, Trump o Biden, resteranno schierati fino alla fine. Mancano 35 giorni al voto e Trump deve ribaltare il tavolo stanotte per recuperare, il tempo stringe, per questo ieri ha parlato d'improvviso al Paese. Nuovi colpi di scena non mancheranno, fonti di intelligence ci confermano che, da Mosca e Pechino, hacker e disinformazione fanno gli straordinari per inquinare, come nel 2016, la democrazia Usa.

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