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Italia Oggi - Domani Rassegna Stampa
17.09.2020 Pace a Washington: i commenti che informano (anche se la storia di CDB è nota)
Editoriale del direttore Pierluigi Magnaschi, commento di Mario Giro

Testata:Italia Oggi - Domani
Autore: Pierluigi Magnaschi - Mario Giro
Titolo: «In politica estera Trump è stato enormemente meglio di Obama - La strana alleanza tra Israele e Arabia saudita contro l'Iran»
Riprendiamo oggi, 17/09/2020, da ITALIA OGGI, a pag. 1, con il titolo "In politica estera Trump è stato enormemente meglio di Obama", l'editoriale di Pierluigi Magnaschi; da DOMANI, a pag. 9, con il titolo "La strana alleanza tra Israele e Arabia saudita contro l'Iran" il commento di Mario Giro.

Il titolo di Domani - nuovo quotidiano di Carlo Debenedetti - è ambiguo. L'alleanza di fatto tra Israele e alcuni Paesi sunniti non è "strana", ma ampiamente motivata dal pericolo iraniano che riguarda tutti. Seguiremo, attenzione, quello che la nuova testata pubblicherà su Israele, Medio Oriente, terrorismo

Ecco gli articoli:

ITALIA OGGI - Pierluigi Magnaschi: "In politica estera Trump è stato enormemente meglio di Obama"


Pierluigi Magnaschi

Capisco perché i giornali italiani (soprattutto quelli più grandi; quelli provinciali invece sono quasi sempre di un equilibrio esemplare ) siano così faziosi nel favorire l'una o l'altra parte dello schieramento politico nazionale. Per gli interessi delle loro proprietà o dei loro direttori, che sono intimamente legati, non è infatti indifferente che, in Italia, vinca uno schieramento politico o un altro. Non capisco invece come mai questi grandi media (che dovrebbero fare dell'oggettività la loro divisa e il loro pregio, se non altro sul piano del marketing) siano quasi tutti così pregiudizialmente faziosi nel seguire in genere la politica estera e, nel caso specifico, la competizione politica che è in atto negli Stati Uniti per arrivare alla designazione del futuro inquilino della Casa Bianca. Non capisco questo atteggiamento perché solo in Italia i giornalisti, specie quelli gallonati o che si ritengono tali, pensano che i loro articoli sulla nostra stampa (o le loro comparsate nei vari tg) possano influenzare anche per solo lo 0,0001 per mille, il voto a stelle e strisce. Per dare un esempio di questo incomprensibile atteggiamento basta prendere il quotidiano italiano più diffuso che, nella sua edizione di ieri, ha presentato il risultato dell'intesa dell'amministrazione Usa con due paesi musulmani del Medio oriente, come se esso fosse una risibile bazzecola, anche se si tratta, come spiegheremo più avanti, di un accordo assolutamente storico, indipendentemente da chi è riuscito a realizzarlo. Ebbene questo grande quotidiano ha presentato in prima pagina l' intesa in Medio oriente con un titolo a una colonna, seguito da un inizio di pezzo di 5 righe. Lo stesso spazio (titolo a una colonna e inizio pezzo da 5 righe) lo ha dedicato alla vicenda del dissidente avvelenato in Russia, Alexei Navalny, sul quale il giornale sta parlando da un mese tutti i giorni, e per di più, in questo specifico caso, si tratta anche di una notizia che non esiste («respiro da solo»), visto che questa notizia era già stata data una settimana fa dai sanitari tedeschi che lo hanno un cura. Di fronte a questa enormità delle sottovalutazione, i colleghi del giornalone potrebbero essere scusati dalla fretta con la quale tutti i quotidiani sono confezionati. Ma non è questo il caso, visto che l'articolo relativo all'accordo storico è stato relegato, con quindi una doppia decisione, addirittura a pag. 15. Pertanto in questa gerarchia non c'è stato un errore, sempre possibile e sempre comprensibile, ma è stata una scelta deliberata. Vediamo, a questo punto, di che cosa si tratta. Gli stati musulmani degli Emirati Arabi Uniti e del Bahrein, a seguito di un'azione efficace (efficace nel senso che ha raggiunto l'obiettivo che si poneva) svolta dall'amministrazione Trump, hanno deciso di firmare un accordo di pace e di collaborazione con lo stato di Israele. Il fronte compatto dei paesi musulmani pregiudizialmente avversari di Israele, da loro considerato il nemico assoluto, si sta quindi sgretolando, nel senso che si è ripreso il processo che si era interrotto tanto tempo fa, da quando cioè, nel 1979, l'Egitto riprese le sue relazioni con Tel Aviv e da quando poi, nel 1994, fece questa scelta anche il Regno di Giordania. Ma queste due intese (quanto mai utili, intendiamoci bene) venivano dopo una guerra contro Israele che era stata persa in modo rovinoso da entrambi i paesi che l'avevano iniziata con la certezza di annientare Israele e che invece, dopo solo pochi giorni, l'avevano conclusa in maniera indignitosa, con la loro armate annientate e la loro faccia nella sabbia. Con gli Emirati e il Bahrein invece non c'è stata, prima di questo accordo, una sconfitta militare ma una decisione consapevole, basata sulla reciproca convenienza. Da una parte infatti c'è Israele (un piccolo paese ma anche l'unica democrazia di quest'area, incuneata fra paesi nemici, sostanzialmente dittatoriali e armati fino ai denti). Dall'altra ci sono gli Emirati e il Bahrein. Lo stato di Israele è in guerra da quando è stato creato, cioè ininterrottamente da 72 anni, e adesso, come ha anche detto a Washington il premier Netanyahu, interpretando il desiderio di quasi tutti i suoi concittadini, è «stanco di stare in guerra». Emirati e Bahrein invece hanno capito che il loro sviluppo è basato sugli scambi e la collaborazione con Israele. Essi infatti dispongono di risorse economiche immense che provengono dall'estrazione del petrolio ma hanno anche la necessità di diversificare lo loro economia in vista di una stagione molto più ecologica a livello mondiale che tende quindi a ridimensionare il petrolio come risorsa energetica. Essi già puntano sul turismo che, al netto del Covid, stava sviluppandosi molto bene. Ma puntano anche sullo sviluppo tecnologico soprattutto nei settori elettronici e medicali. In questi settori la collaborazione con Israele diventa la leva più efficace per entrare nel futuro. Molto interessanti, per tutti questi tre paesi, sono anche le prospettive turistiche. Per gli israeliani (che distano solo tre ore di volo) Dubai, con le sue magiche notti da favola, diventa adesso una meta interessante e soprattutto possibile (visto che oggi non la è). E Israele, da parte sua, si aprirà al turismo religioso spalancando le porte della Spianata delle Moschee ai fedeli musulmani dei paesi che sono interessati al pellegrinaggio in questo che è considerato il terzo luogo per loro più sacro. Trump, nel presentare questo accordo veramente storico, ha detto (forse facendo lo sbruffone) che altri «quattro o cinque paesi mediorientali sono pronti a seguire questi passi«. Anche se quest'ultima notizia non fosse vera, è vero però che essa è molto probabile, nel senso che si inserisce in un trend che l'accordo con gli Emirati e il Bahrein ha portato alla luce del sole. Ovviamente, questo trend, che è già robustamente delineato, incontrerà fortissime resistenze, soprattutto quelle pilotate e finanziate dall'Iran. Basti pensare che mentre questo accordo stava per essere firmato negli Usa, dalla Striscia di Gaza sono stati sparati tre razzi (come dice la stampa occidentale sempre minimizzante anche se sarebbe più esatto parlare di missili) sulla città di Ashdod, nel Sud di Israele, che hanno colpito sei cittadini. Se si poi pensa che il Libano, a Nord di Israele, è controllato da Hezbollah, un'organizzazione ufficialmente terroristica composta da fanatici che usano le armi contro Israele da tre generazioni e non sanno fare altro, si capisce che il processo di pace in Medio oriente è ancora lungo. Ma è anche vero che con questi ultimi accordi si è superato uno snodo molto significativo.

DOMANI - Mario Giro: "La strana alleanza tra Israele e Arabia saudita contro l'Iran"

MARIO GIRO A “IL MANIFESTO”: ANDIAMO IN NIGER PER EVITARE UN'ALTRA LIBIA
Mario Giro

A fini interni il colpo del presidente degli Stati Uniti Donald Trump è grosso: la foto con il premier israeliano Benjamin Netanyahu e i due ministri degli esteri di Emirati e Bahrein serve per liberarsi dalle strette del movimento Black Lives Matter e dare un'immagine da leader globale durante la campagna. Per il premier israeliano, a pochi giorni dal secondo lockdown nazionale causa Covid, si tratta di un trionfo: aver snobbato a suo tempo Barack Obama alla fine lo ha favorito. La comunità ebraica americana non potrà che tenerne conto nelle urne. Ma il vero terremoto geopolitico è in Medio Oriente: con questa mossa l'Arabia Saudita avanza le sue pedine per divenire il dominus assoluto tra i paesi arabi Non c'era più scelta Siria e Iraq sono distrutti o fuori gioco; l'Egitto in preda a divisioni interne e alle prese con l'interminabile guerra di Libia; Algeria in crisi é i regni moderati Marocco o Giordania sostanzialmente allineari. Israele non ha più nemici se non l'Iran sciita perché dunque proseguire con la linea perdente dei palestinesi? E' la domanda che si Sono fatti a Riad e che ha provocato la svolta. I paesi del Golfo sono gli unici paesi arabi efficienti e dinamici, economicamente stabili, senza particolari crisi socio-economiche interne. Il solo neo è l'alleanza del Qatar con la Turchia e ora il presidente turco Recep Tayyp Erdogan dovrà decidere cosa fare. Intanto si è fatta la fila per normalizzare i rapporti con Israele: Oman, Sudan Marocco ecc. Stufa di andar dietro alle velleitarie rimostranze dell'autorità palestinese incapace di scegliere la pace, l'Arabia manda avanti i suoi alleati per andare a vedere le carte. D'altronde tutti sono preoccupati da Teheran: meglio allinearsi Ovviamente il resto del mondo vuole sapere se si tratta di una svolta reale o soltanto di arguzia orientale. Gli Emirati ci hanno da tempo abituato a fuochi d'artificio geopolitici originali e spericolati. Il piccolo Bahrein rappresenta invece una cartina di tornasole: se ha accettato la normalizzazione con Israele significa che c'è stato il via libera di Riad. Quest'ultima prende tempo. Da un punto di vista formale il re Abdallah, predecessore di Mohammed Ben Salman (MBS), aveva già nel 2002 definito la dottrina: due Stati con Gerusalemme est capitale palestinese. Su tale faglia è fissata la linea ufficiale di Riad. L'Arabia vuole capire se Washington sarà capace di imporre tale svolta ad Israele. Le normalizzazioni con Emirati e Bahrein mostrano che in cambio si può ottenere la fine della guerra con gli Stati arabi A impedire la pace non esistono più i blocchi ideologici del passato. Da Israele le monarchie del Golfo desiderano anche altro, per loro più vitale: un impegno a difenderle dall'Iran, il comune nemico. Invece di protestare inutilmente contro l'arma nucleare "ebraica" (mai ammessa ufficialmente), a Riad hanno capito che è meglio mettersi sotto il suo ombrello. In questo senso anche da Washington pretende qualcosa per esempio i caccia F35 fino ad ora negati Il punto non é se tutti gli Stati del Golfo riconosceranno Israele, ma quando. Per ora Netanyahu in cambio ha offerto l'ennesimo congelamento degli insediamenti e soprattutto della paventata annessione. Sembra poco ma è molto: da cosa dipenderà in futuro la sicurezza di Israele? Se l'alleanza con i paesi del Golfo sarà confermata, per la prima volta Gerusalemme potrebbe avere addirittura dei potenziali alleati in zona. Gli esperti definiscono tale situazione come "esercizio di equilibrismo": il corridoio aereo che unisce ora Israele con gli Emirati passa sopra i cieli d'Arabia, roba mai vista prima Non vi è dubbio che alla protettrice di Mecca e Medina fa anche gola la possibilità di accedere liberamente a Gerusalemme, terzo luogo santo dell'Islam. Tuttavia anche la più ardita geopolitica non basta e Riad rimane prudente: la composizione sociologica del paese è molto diversa da quella dei micro-stati attorno. Non è detto che la popolazione saudita, molto conservatrice e segnata dal wahabismo, accetti la svolta con favore. Pesano moltissimo i decenni passati a odiare l"'entità sionista". il gioco spericolato di MBS può essere ostacolato da uno dei suoi innumerevoli cugini che lui stesso ha fatto mettere agli arresti domiciliare La famiglia reale è spaccata non e difficile immaginare che qualcuno possa riprendere la vecchia bandiera anti-sionista e far scattare i vecchi riflessi arabi. Di conseguenza l'Arabia Saudita non può mostrarsi alla sequela di Stati più piccoli: deve ottenere da Israele qualcos'altro, di convincente e definitivo. Intanto ha bisogno di un sostegno di intelligence e tecnologia nella guerra in Yemen che si trascina da tempo senza vittoria Intanto MBS ha dichiarato che Neom, la futurista città ecologica del suo programma Vision 2030, sarà costruita davanti a Eilat un altro modo per tendere una mano agli ex nemici. Cosa farà ora Ankara? Erdogan ha appena ricevuto Ismail Haniyeh, il leader di Hamas che si poi è recato a Beirut da Hassan Nasrallah, il capo degli Hezbollah filo-iraniani Ciò che resta del fronte del rifiuto ha ricominciato a parlarsi. Ma l'avvicinamento tra Iran e Turchia è il modo migliore per spingere Riad e Gerusalemme ad intendersi.

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