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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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La Repubblica - Il Foglio Rassegna Stampa
01.09.2020 Charlie Hebdo, resa in cinque atti
Commenti di Anais Ginori, Giulio Meotti

Testata:La Repubblica - Il Foglio
Autore: Anais Ginori - Giulio Meotti
Titolo: «Processo ai fantasmi di Charlie Hebdo: 'La Francia dimentica' - Charlie, resa in cinque atti»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi 01/09/2020, a pag.19 con il titolo "Processo ai fantasmi di Charlie Hebdo: 'La Francia dimentica' ", il commento di Anais Ginori; dal FOGLIO, a pag. III, con il titolo "Charlie, resa in cinque atti", il commento di Giulio Meotti.

Ecco gli articoli:
Thierry Barrigue:

LA REPUBBLICA - Anais Ginori: "Processo ai fantasmi di Charlie Hebdo: 'La Francia dimentica' "

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Anais Ginori

Fantasmi aleggiano nella grande aula della Corte d’Assise di Parigi. Il processo per gli attentati di Charlie Hebdo e dell’Hyper Cacher comincia domani nel tribunale disegnato da Renzo Piano nel quartiere Batignolles, per l’occasione diventato bunker sotto alta sorveglianza. Nel maxi-processo che durerà fino a metà novembre oltre duecento persone si sono costituite parte civile, più di centocinquanta testimoni sono chiamati a ricostruire quelle ore tra il 7 e il 9 gennaio in cui i terroristi colpirono un’intera redazione, agenti e poliziotti, clienti ebrei di un supermercato. Le udienze per tentare di ricostruire la follia integralista che ha portato alla morte 17 persone — tra cui i famosi vignettisti Wolinski, Cabu, Charb e Tignous — saranno filmate, circostanza eccezionale per la giustizia francese che non autorizza neppure le fotografie. La prima volta che delle telecamere sono entrate in un aula è stato negli anni ‘80, quando si trattava di giudicare il nazista Klaus Barbie. Questa volta, sul banco degli imputati, ci saranno personaggi di seconda e terza fila, accusati di aver fornito armi, noleggiato macchine, partecipato alla logistica degli attentati islamici. I fratelli Kouachi entrati nel giornale al grido di "Allah Akbar" sono morti nella tipografia nella quale si erano rifugiati. Non ci sarà l’altro terrorista, Amedy Coulibaly, che ha ucciso una poliziotta, i quattro clienti dell’Hyper Cacher e ha voluto andarsene da "martire" durante l’irruzione delle teste di cuoio. Altri protagonisti come i fratelli Belloucine, famosi nella galassia della jihad francese, o la moglie di Coulibaly, Hayat Boumedienne, sono fuggiti in Siria. Morti o nascosti chissà dove. Fantasmi pure loro. «Non posso nascondere la mia rabbia per queste pesanti assenze», si sfoga l’avvocata Samia Maktouf che considera il ruolo di Boumedienne centrale nella ricerca della verità. La lunga indagine che ha portato alle oltre trecento pagine dell’ordinanza di rinvio a giudizio non è riuscita a definire il nesso tra l’azione dei Kouachi e quella di Coulibaly, con rivendicazioni contraddittorie. I primi hanno intestato la strage di Charlie ad Al Qaeda nello Yemen. Il secondo ha lasciato un video in cui inneggia allo Stato islamico. «Il collegamento è Boumedienne e la sua amicizia con una delle mogli dei Kouachi», spiega Maktouf. «Le donne sono motori di questa storia», prosegue l’avvocata che lamenta il fatto che la Francia non abbia fatto arrestare Boumedienne quando era stata localizzata due anni fa in un campo di prigionia dei curdi. Tra i quattordici imputati, l’unico per cui i pm sono riusciti a ottenere l’accusa di "complicità in atti terroristici", con il possibile ergastolo, è il ventinovenne franco-turco Ali Riza Polat. Considerato il braccio destro di Coulibaly sarà difeso dall’avvocata del terrorista Carlos. Gli altri imputati sono tutti a giudizio per "associazione a delinquere terrorista" con un massimo di venti anni di carcere. I pm non hanno trovato una regia nella strage dei Kouachi, nonostante uno dei fratelli fosse stato in Yemen. Anche il predicatore sospettato di averli indottrinati, Farid Benyettou, non è tra gli imputati. «Sarà un processo frustrante perché i fratelli Kouachi sono morti e l’inchiesta non ha permesso di risalire ai mandanti», commenta Riss, direttore di Charlie Hebdo . Il giornalista e scrittore Philippe Lançon, gravemente ferito al volto, dice: «Non mi aspetto né verità, né giustizia. C’è poco da capire. Erano ragazzi finiti in un’impasse esistenziale e poco intelligenti». Resta poco dello slancio che, subito dopo gli attentati, portò alla grande manifestazione con lo slogan "Je suis Charlie". E oggi la Francia è forse ancor più tormentata da temi come laicità e integralismo, libertà d’espressione, antisemitismo. "Gli islamisti hanno vinto?", si è domandato Le Point in copertina. La saggista Caroline Fourest pensa sia così. «Qualcuno oserebbe oggi pubblicare le vignette di Maometto che hanno scatenato l’attacco a Charlie Hebdo ? Onestamente penso nessuno». L’avvocato Patrick Klugman difende alcuni degli ostaggi dell’Hyper Cacher. Racconta che i suoi clienti si sentono vittime due volte: per il trauma subito e per essere stati dimenticati in un paese in cui gli atti e le violenze antisemite aumentano. «Questo processo sarà imperfetto, ma spero diventi un modo di sviluppare una forma di immunità collettiva». Ancora fantasmi da scacciare.

IL FOGLIO - Giulio Meotti: "Charlie, resa in cinque atti"

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Giulio Meotti

Philippe Lançon, gravemente ferito durante l'attacco dei fratelli Kouachi nei locali di Charlie Hebdo il 7 gennaio 2015, ancora convalescente partecipa a una serata dove incontra Michel Houellebecq. I due hanno una breve conversazione. Houellebecq conclude sussurrando: "Sono i violenti che vincono". "Charlie Hebdo, libertà o morte", titolava ieri l'editoriale del Figaro. A prima vista, si, la battaglia è persa, scrive il quotidiano francese. L'islam politico, di pari passo con la sinistra culturale. "avanza sotto la maschera dei diritti umani e della lotta contro la discriminazione". Buona parte della stampa francese accoglie il processo su Charlie Hebdo che si apre domani con una sensazione di ripiegamento e di resa. "Il mio sfortunato cliente sarà la libertà e temo che nel medio termine sia una causa persa", ha detto al settimanale Point l'avvocato di Charlie Hebdo, Richard Malka. "I fratelli Kouachi e quelli che li hanno armati hanno vinto, sì... Chi pubblicherebbe oggi le caricature di Maometto? Quale giornale? In che pièce teatrale, in che film, in che libro si osa criticare l'islam?". Domani quattordici sospetti complici degli islamisti francesi dietro gli attacchi alla rivista satirica e a un supermercato ebraico a Parigi andranno finalmente a processo. Diciassette persone rimasero uccise durante quei tre giorni di sangue che avrebbero segnato l'inizio di un'ondata di violenza islamista che avrebbe lasciato oltre 250 morti. Dei quattordici imputati, tre saranno processati in contumacia e potrebbero essere deceduti. Si ritiene che Hayat Boumedienne, la moglie di Amedy Coulibaly, e i fratelli Mohamed e Mehdi Belhoucine, si siano recati in aree della Siria sotto il controllo dello Stato islamico poco prima degli attacchi di Parigi. Sul banco degli imputati ci sarà Ali Riza Polat, che avrebbe aiutato le cellule a trovare armi e munizioni. Negli ultimi mesi "sono stati sventati diversi attentati", ha appena detto Jean-François Ricard, procuratore antiterrorismo francese. L'ex ministro dell'Interno Bernard Cazeneuve al Parisien dice che "la violenza ha messo radici nel cuore della società", teme "il rischio di una conflagrazione" e definisce il comunitarismo "un veleno lento e fatale", indicando "coloro che l'hanno dimenticato, in particolare all'interno della sinistra". La sua famiglia politica. "Charlie Hebdo vive ancora minacciato di morte; ciò che rappresenta, la libertà, è agli arresti domiciliari; la Francia è paralizzata non appena compare la parola `islam' e il mondo politico e i media hanno celebrato Charlie e poi preso le distanze", scrive sul Point Etienne Gemelle. "Il reato di blasfemia non è ancora nel codice penale, ma è I giornalisti che "capiscono" i terroristi, “non avrai il mio odio" che diventa una caricatura, la "marcia contro l'islamofobia", il caso Mila stato interiorizzato e la Francia - come altri paesi occidentali del resto-difende meno la sua libertà di espressione, scegliendo spesso di inchinarsi al sempre più lungo corteo degli `offesi". Parlando al Figaro, l'ex giornalista di Charlie Hebdo, Zineb El Rhazoui, regolarmente minacciata di morte, punta il dito contro chi accusava la rivista di islamofobia: "Ricordo tutti coloro che hanno contribuito all'isolamento e alla discesa di Charlie agli inferi. Hanno una responsabilità morale per il destino riservato a Charlie. E' normale che cinque anni dopo questo orribile crimine, questa orribile battuta d'arresto per la libertà di espressione e per la cultura francese, ci sia ancora un `collettivo contro l'islamofobia' in Francia? E' normale che cinque anni dopo questo attacco devo continuare a camminare con uomini armati nel cuore di Parigi?" Anche il settimanale Marianne in edicola osa chiedere: "I fratelli Kouachi possono vantare una vittoria postuma? Si". Cinque anni e cinque atti di capitolazione, scrivono. Primo atto. "Charb" e i suoi colleghi sono morti da appena sei giorni quando la scrittrice Virginie Despentes, oggi uno dei nomi più blasonati della letteratura femminile nell'Esagono, sull'Inrockuptibles scrive: "Sono Charlie e i ragazzi entrati con le armi. Quelli che avevano appena comprato un kalashnikov al mercato nero e avevano deciso, a modo loro, l'unico a loro disposizione, di morire in piedi anziché in ginocchio […] Li ho amati nella loro goffaggine quando li ho visti con le armi in mano seminare il terrore gridando `abbiamo vendicato il Profeta"'. Non una parola sulla sorte dei vignettisti, giornalisti e impiegati di Charlie assassinati per aver ironizzato sull'islam. Secondo atto. Il 17 novembre 2015, quattro giorni dopo gli attacchi al Bataclan, il giornalista Antoine Leiris che ha perso la moglie nel concerto scrive: "Non avrai il mio odio". Diventerà, scrive Marianne, lo "slogan informale nei circoli progressisti". Mantenere la calma, non cedere alla stigmatizzazione, non odiare, in nome dei valori umanisti. Nobile intento. Ma portata all'estremo fino a diventare una caricatura, "la fede di Leiris ha impedito non solo l'indignazione ma anche una lucida analisi della situazione". Terzo atto. Il direttore di Mediapart, Edwy Plenel, sei giorni dopo la strage tiene un incontro nella periferia di Parigi con... Tariq Ramadan. E accusa Charlie di "guerra ai musulmani". Quarto atto. Nel 2019 la svolta della "marcia contro l'islamofo- bia". Uno slogan che esce dalla cerchia delle associazioni religiose salafite "per riunire la quasi totalità delle leader politici di sinistra". Besancenot, Hamon, Jadot, Mélenchon: tutti hanno firmato l'appello per la "marcia contro l'islamofobia", durante la quale si urla "Allahu akbar". Quinto atto, l'ultimo. "Possiamo criticare l'islam senza temere perla propria sicurezza?", si chiede Marianne. E' il caso Mila e pone una serie di domande fondamentali. Nel gennaio scorso, questa ragazza di sedici anni ha risposto a insulti omofobi sul suo account Instagram criticando l'islam. Minacciata di morte, Mila fugge dalla scuola ed è posta sotto la protezione della polizia. "Da parte dei partiti politici di sinistra, delle organizzazioni femministe e delle associazioni Lgbt, c'è il silenzio radio: quando gli aggressori sono musulmani la parola d'ordine è ovviamente chiudere gli occhi e coprirsi le orecchie". Con lo "spirito di Charlie" che arretra e la "cancel culture" che avanza in parallelo ai taglialingue islamisti, in tribunale sembra esserci finita la libertà di espressione, questa sconosciuta.

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