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Il Foglio - La Verità Rassegna Stampa
14.05.2020 Ancora sul caso di Silvia/Aisha Romano
Commenti di Souad Sbai, Giulio Meotti

Testata:Il Foglio - La Verità
Autore: Souad Sbai - Giulio Meotti
Titolo: «I professionisti dell'islamofobia soltanto ora si interessano di Silvia - La loro 'scelta'»
Riprendiamo dalla VERITA' di oggi, 14/05/2020, a pag. 11 con il titolo "I professionisti dell'islamofobia soltanto ora si interessano di Silvia", il commento di Souad Sbai; dal FOGLIO, di ieri 13/05/2020, a pag. 2, con il titolo "La loro 'scelta' ", il commento di Giulio Meotti.

Ecco gli articoli:

Silvia Romano adesso si chiama Aisha. “Io convertita, non ...
Silvia/Aisha Romano

LA VERITA'
- Souad Sbai: "I professionisti dell'islamofobia soltanto ora si interessano di Silvia"

Immagine correlata
Souad Sbai

Dopo la corsa meschina in aeroporto di Conte e Di Maio, il ritorno di Silvia Romano ha risvegliato dal torpore provocato dal Coronavirus i vari professionisti dell'islamofobia che continuano a infestare la comunità musulmana in Italia. Quale migliore occasione per imbracciare nuovamente le armi del vittimismo davanti alle critiche e ai dubbi espressi circa la conversione «non forzata» della giovane? Saremmo dunque irrispettosi del principio della «libertà religiosa», di cui invece tali professionisti si ergono con impertinenza a falsi profeti? Nella terribile disavventura che la ragazza ha vissuto, dal rapimento fino alla liberazione, la regia dell'estremismo è conclamata: Al Shabaab, Al Qaeda, Turchia, Qatar, Fratelli Musulmani. Manca soltanto l'Isis, per il momento. Violenza e costrizione sono alla base dell'intera vicenda. Dove si colloca la «libertà religiosa» nelle condizioni ambientali e psicologiche nelle quali il processò di conversione si è compiuto? Che i professionisti dell'islamofobia allora ci illuminino sull'esistenza nelle sacre scritture di riferimenti che rendano quanto accaduto lecito e degno di felicitazioni dal punto di vista religioso. Inizialmente, una voce autorevole della comunità musulmana in Italia aveva espresso possibile «dispiacere» nel caso in cui la conversione si fosse rivelata né «consapevole» né «onesta», offrendo opportunamente a Silvia Romano la propria disponibilità per «approfondimenti e orientamenti». Tuttavia, di fronte al montare delle polemiche, sembra che abbia anch'egli preferito rifugiarsi nei classici «schemi mentali» dell'islamofobia: «Polemiche su conversione? Molto rumore per nulla», ha dichiarato. Dove sta la consapevolezza e l'onestà di chi, sconfessandosi; finisce per benedire una conversione che ha avuto luogo in un contesto marcatamente estremista che più estremista non si può? Guai però ad adombrare sospetti di radicalizzazione, neppure quando la scuola di religione è quella jihadista: il piagnisteo dell'islamofobia a difesa delle «differenze» è sempre pronto ad attaccare. Certo, «odio» e «ignoranza» sono stati il motore di molti ingiustificati e inaccettabili attacchi rivolti a Silvia Romano. Al contempo, è sorprendente quanto sconfortante vedere come persino imam italiani notoriamente moderati siano inciampati nella sua veste «non occidentale», e per due motivi. In primo luogo, non si tratta di un abito tradizionale, ma di una veste che i radicali somali impongono alle loro donne in segno di differenziazione. Secondo, se anche di abito tradizionale si trattasse, la copertura totale del corpo femminile è un indicatore di fondamentalismo culturale. Quanta ipocrisia, insomma. Finche non è apparsa come «una di loro», verso Silvia Romano c'è stata solo indifferenza. Mentre adesso, sotto la copertura del politicamente corretto e approfittando dell'ignavia dei governanti italiani, sembra si stia configurando una complicità di fatto con l'agenda politico-ideologica dell'islamismo radicale, contro la quale i musulmani continuano a combattere anche in Africa. Tutto ciò è un disonore per l'islam e per tutto quello che per i suoi fedeli rappresenta.

IL FOGLIO - Giulio Meotti: "La loro 'scelta' "

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Giulio Meotti

Roma. Saima Sardar, un'infermiera cristiana di Faisalabad, in Pakistan, è stata uccisa dall'ex fidanzato perché si era rifiutata di sposarlo e convertirsi all'islam. "Se non rifiuti la tua fede, non ti converti e non ti sposi con me, morirai", le aveva detto l'uomo. Anche Binish Paul è stata buttata giù da un palazzo perché si era rifiutata di convertirsi all'islam, sempre in Pakistan. Mariam Yehya Ibrahim Ishag, una dottoressa in Sudan, ha deciso di rimanere cristiana ed è stata condannata a morte. "Ti abbiamo concesso tre giorni per abiurare, ma hai deciso di non riconvertirti all'islam. Ti condanno alla morte per impiccagione", le ha detto il giudice Abbas Mohammed al-Khalifa. Dopo la mobilitazione internazionale, Mariam è riuscita ad andare a vivere nel New Hampshire. Sarebbe durato molto meno il calvario di Asia Bibi, la cristiana pakistana oggi esule in Canada, se si fosse convertita all'islam. Il litigio nel suo villaggio scoppiò quando Bibi andò a prendere un po' d'acqua in un secchio e le altre donne si rifiutarono di berne dopo che gli fu detto che era "haram", vietato dal Corano. Allora le donne hanno intimato che Bibi avrebbe dovuto convertirsi all'islam. Cinque giorni dopo, una folla di duecento persone la circondò mentre Bibi era fuori a raccogliere frutta e la accusò di avere insultato il profeta Maometto. Le dissero nuovamente di convertirsi all'islam o di morire. Una "scelta" cui è stata posta di fronte anche in carcere, dove Bibi ha trascorso dieci anni prima di riuscire a raggiungere all'estero la sua famiglia. Prosegue la mobilitazione della famiglia e di qualche organizzazione cristiana per Leah Sharibu, da due anni prigioniera di Boko Haram, l'unica ragazza cristiana tra le scolare di Dapchi rapite che, nonostante avesse potuto essere liberata insieme alle compagne di scuola, ha rifiutato di convertirsi. Le ragazze che erano con lei hanno raccontato: "Boko Haram disse a Leah di accettare l'islam e lei rifiutò. Quindi dissero che non sarebbe venuta con noi e che sarebbe dovuta tornare a sedersi con altre tre ragazze che avevano lì. L'abbiamo supplicata di recitare la dichiarazione islamica, di mettere l'hijab e salire sul veicolo, ma lei ha detto che non era la sua fede, quindi perché avrebbe dovuto dirlo? Se vogliono ucciderla, possono andare avanti, ma lei non dirà che è musulmana". Anche il padre della studentessa, Nathan Sharibu, si è detto fiero del coraggio con cui Leah ha rifiutato di abbracciare la fede islamica. Lo ha rivelato anche Muhammadu Buhari, il presidente della Nigeria: "Leah è ancora nelle mani dei terroristi perché, a loro dire, non ha abiurato la sua fede cristiana. Ma noi, in quanto rappresentanti del governo di e per tutti i nigeriani, affermiamo che nessuno ha il diritto di costringere un'altra persona a cambiare la sua fede contro la sua volontà e che ogni vita è sacra. Faremo di tutto per liberare lei e gli altri rapiti, a prescindere dalla loro fede religiosa". Stessa sorte per Grace Taku, l'operatrice umanitaria mai rilasciata per il suo rifiuto alla conversione. Sarà perché non sono post cristiane occidentali andate in missione umanitaria, ma cristiane indigene la cui umanità è stata sradicata in anni di oppressioni; sarà perché sono le figlie di un cristianesimo che si trovava in quelle terre da prima che nascesse l'islam; sarà infine perché non si sono convertite inverando un ecumenismo che si porta moltissimo sui media, che parlano di "scelta" e mai di "sottomissione". Ma le loro storie, il loro martirio, a parte qualche hashtag, non hanno trovato ancora una parte sul set cinematografico della cattiva coscienza occidentale.

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