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La Stampa - Il Foglio Rassegna Stampa
17.12.2019 L'antisemita Lannutti non molla e incassa l'appoggio di Salvini e Di Maio
Ilario Lombardo, commento di Valerio Valentini

Testata:La Stampa - Il Foglio
Autore: Ilario Lombardo - Valerio Valentini
Titolo: «'Commissione banche, non mi ritiro. Luigi mi ha detto di andare avanti' - No, Lannutti no»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 17/12/2019, a pag. 2, con il titolo 'Commissione banche, non mi ritiro. Luigi mi ha detto di andare avanti', la cronaca di Ilario Lombardo; dal FOGLIO, a pag. II, l'articolo "No, Lannutti no" di Valerio Valentini.

A destra: Elio Lannutti

Ecco gli articoli:

LA STAMPA - Ilario Lombardo: 'Commissione banche, non mi ritiro. Luigi mi ha detto di andare avanti'

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Ilario Lombardo

«Io non mi sfilo da un bel niente. E nessuno mi ha chiesto un passo indietro». Giovedì, quando si riuniranno i membri della commissione di inchiesta sulle banche, il senatore Elio Lannutti sarà ancora il candidato del M5S alla presidenza.
Però Luigi Di Maio è stato freddo: «Dipende dagli accordi di maggioranza...», dice. «Io non mi volevo candidare e, fino a quando è stato possibile, ho tifato per Gianluigi Paragone. È stato il gruppo a volermi. E Di Maio nell'ultima assemblea, a mia precisa domanda ha risposto: vai avanti».
Nonostante su di lei pesi ancora quel tweet antisemita? «Mi sono scusato il giorno dopo. Ora basta. Ho pronte le denunce contro chi mi accusa di essere antisemita. Forse mi attaccano per paura. Perché io so. Sono la memoria storica di tutti i crac bancari: dal 2001 al 2018 ce ne sono stati per 98 miliardi di euro e 1,6 milioni di risparmiatori. Ho scritto un libro che si chiama "Morte dei Paschi". La prefazione è di Di Maio. Lo ha presentato lui alla Camera. Sa bene chi sono».
Salvini ha detto che la Lega la voterà. Lo ha fatto per spaccare la maggioranza? Pd e Renzi sono contrari. «Ringrazio Salvini perché credo che la nomina debba avvenire con il più ampio consenso possibile. Se Pd e Renzi non mi voteranno saranno loro a spaccare la maggioranza. Se ne assumeranno le responsabilità».
Ma lei ha fatto della guerra a Bankitalia la sua missione. Non è un po' il vostro «capro espiatorio», come ha detto il governatore Ignazio Visco? «Voglio tranquillizzarlo. Non deve avere paura, se non ha nulla da nascondere. Se ci sono stati tutti questi fallimenti, qualche responsabilità ci sarà o no? Guardo all'attualità: la nomina di Antonio Blandini a commissario della Popolare di Bari. È lo stesso commissario della Banca Tercas il cui salvataggio fu imposto alla Pop Bari. C'è un approccio un po' troppo fideistisco su Bankitalia».
Lei è l'autore di un libro chiamato "Banda d'Italia". «Pur nella mia radicalità sono sempre stato rispettoso delle istituzioni. Il presidente non è un dittatore e si attiene alla maggioranza. La commissione non si deve sovrapporre alla magistratura, ma indagare le zone d'ombra, correggere cosa non è andato bene. Non voglio fare il Torquemada».
Su cosa intende indagare? «Su Mps, sul ruolo di Alessandro Profumo e Fabrizio Viola. Sulla morte di David Rossi. Sul salvataggio Tercas e i soldi del Fondo interbancario che la commissaria Vestager definì aiuto di Stato prima di essere smentita dalla Corte di Giustizia Ue. Non si è mai dimessa nonostante quella decisione dell'Ue ci costrinse a subire il bail in delle quattro banche, mentre in Germania si taceva su altri salvataggi. Mi ha colpito che il presidente di Abi Antonio Patuelli abbia detto le mie stesse cose. Dopo 35 anni di battaglie sulle banche lo considero un trofeo».
Le va bene la formula che salva Pop Bari? «La Banca pubblica degli investimenti, con un occhio al Sud, è nel programma. E servirà ad aiutare un territorio depredato anche dalle politiche dirigistiche di Bankitalia che ha permesso la colonizzazione dei grandi gruppi».
Non è colpa delle piccole dimensioni delle banche in un territorio senza impresa? «È la teoria neoliberista fallita che è alla base della riforma delle popolari di Renzi. Le banche dipendono dalla capacità dei banchieri e dei direttori».
È favorevole alla riforma di Bankitalia targata M5s-Lega? «La Romeo-Patuanelli è necessaria ma va emendata con la legge 231/01 sulla responsabilità delle imprese: chi non vigila con attenzione ne risponde e risarcisce i risparmiatori».
C'è la volontà della politica di mettere le mani su un organo autonomo come fa con la Rai? «In altri Paesi, azionista della banca centrale è il pubblico, non le banche private. Saniamo l'anomalia. Perché non deve funzionare come le altre autorità indipendenti, l'AgCom e l'Antitrust?»
Che, appunto, rispondono alla politica che ne sceglie i vertici. «Rispondono al Parlamento. È la democrazia».

IL FOGLIO - Valerio Valentini: "No, Lannutti no"


Il commento antisemita di Lannutti

Roma. L’accordo sul da farsi, in verità, ci sarebbe già: o, quantomeno, sarebbe chiaro quel che da farsi non si può. Se non fosse che, però, Elio Lannutti non demorde. E anzi s’impunta, s’incapriccia nella sua aspirazione somma di diventare il presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche. Ed è così che, ha fatto sapere, anziché fare un passo indietro come tutti perfino nel suo stesso partito gli chiedono, il senatore del M5s, già presidente dell’Adusbef, s’impegnerà a rispondere per le vie legali a tutti quelli che, ricordandogli quel tweet quantomeno obbrobrioso sui protocolli dei Savi di Sion, osano parlare delle sue tendenze antisemite. Ed è così che, ad alcuni suoi colleghi, ieri pomeriggio ha già dato la notizia: “Mi sono trovato già un avvocato a cui nei prossimi giorni affiderò l’incarico di difendermi contro queste calunnie”. Solo che il prescelto ha un nome che, nei corridoi di Palazzo Madama e non solo, risuona ancora con un certo clamore: perché l’avvocato in questione è, nientedimeno, Antonio Di Pietro. Il quale, però, interpellato, pare cadere dalle nuvole, con quel tono intriso di doppiezza contadina che non sai mai dire se ti stia depistando o se davvero lo stupore è reale: “Io avvocato difensore di Lannutti? Mi date una notizia, non ne so nulla”, risponde a telefono l’ex pm, con le buste della spesa ancora in mano. “E poi io che c’azzecco con lui?”. C’azzeccherebbe, in verità: se non altro per essere stato, Di Pietro, il leader di quell’Italia dei valori con cui Lannutti fece il suo debutto in Parlamento, nel lontano 2008. “Con Di Maio ci ho parlato già qualche settimana fa”, racconta Lannutti. “Gli ho chiesto se era il caso che rinunciassi, e lui mi ha detto di no”. E che il senatore ci creda ancora, nella sua elezione a sommo Torquemada dei banchieri, lo dimostra anche la strana compitezza istituzionale con cui, lui sempre pronto a vestire i panni dell’incendiario, s’è acconciato a far sapere, via Facebook, che “la commissione parlamentare di inchiesta sulle banche non è un tribunale e non è un organo di vigilanza”. Come a mettere le mani avanti, insomma, o a tentare di ricostruirsi, un po’ fuori tempo massimo, un minimo di credibilità anche dalle parti del Quirinale, dove certo – pur non intromettendosi in questioni di stretta pertinenza parlamentare – non farebbero i salti di gioia di fronte all’elezione di uno che ha definito il Capo dello stato, negli anni, “mummia sicula”, “traditore” e “padrino”. Nel senso di mafioso. E insomma si capisce perché, anche e soprattutto dentro i Cinque stelle, si sia attivata tutta una diplomazia di conciliaboli e messaggi in bottiglia alle spalle di Lannutti. Compresa la richiesta, fatta giungere a esponenti renziani, di affossare la candidatura del senatore. E siccome l’accordo prevedeva di tenere il Senato al riparo dalle tensioni, visto che quelle intorno alla legge di Bilancio sono già troppe, ecco che a impallinare Lannutti ci hanno pensato quelli di Iv: prima Matteo Renzi e a seguire Gennaro Migliore, Ettore Rosato e Luigi Marattin. Ma anche nel Pd la contrarietà alla nomina di Lannutti è assoluta. Anche perché l’altra opzione, quella che vedrebbe la nomina di Carla Ruocco alla presidenza della commissione Banche, concederebbe ai dem la guida di un’altra commissione, quella delle Finanze alla Camera attualmente detenuta dalla deputata campana: il nome che circola, al Nazareno, è quello del franceschiniano Fabio Melilli, attualmente capogruppo in Bilancio. Del resto, al netto dei suoi toni talvolta aspri, al netto perfino di quella figura non proprio edificante che fece quando tentò di incalzare il governatore Ignazio Visco chiedendogli: “Dov’è l’oro della Banca d’Italia?” (“E’ in Banca d’Italia”, rispose, tra l’imbarazzato e il costernato, Visco), al netto di tutto questo la Ruocco ha saputo guadagnarsi anche una fama di “grillina competente”, o “grillina ragionevole”, che non è poco. Se ne accorse perfino Giovanni Tria, quando se la vide comparire nel suo ufficio di Via XX Settembre, pochi giorni dopo la conquista del 2,4 per cento di deficit festeggiato dal balcone di Palazzo Chigi, tutta preoccupata per quella decisione: “Ma come mai si è deciso di arrivare fino a quella cifra?”, si sentì chiedere l’allora ministro dell’Economia, un po’ incredulo di fronte a quella richiesta a cui la Ruocco fece seguire una precisazione: “Io, comunque, sul balcone non c’ero”. Come che sia, ci vorrà tempo per convincere Lannutti a rinunciare. “Per ora il nostro candidato resta lui”, dice il capogruppo del M5s al Senato Gianluca Perilli, precisando che, però, “non è detto che giovedì si arrivi alla soluzione”. Sì, perché la commissione d’inchiesta dovrebbe riunirsi appunto tra due giorni, ma quasi nessuno ci scommette davvero. Neppure Vincenzo Presutto, senatore grillino da poco promosso “facilitatore” (cioè responsabile nazionale) per l’economia del M5s, che è stato subito investito della responsabilità del nuovo ruolo e già domenica sera, poche ore dopo la sua nomina, è stato mandato a Palazzo Chigi per partecipare al vertice di maggioranza sulla Banca popolare di Bari. Del resto, ci sono da definire ancora altri incarichi parlamentari, come le vicepresidenze di alcune commissioni e la presidenza di quella del Lavoro del Senato, rimasti vacanti dopo il cambio di governo. E su quelle un’intesa ancora non c’è. Così come non è stata trovata per la guida dell’altra commissione d’inchiesta bicamerale, quella sul Forteto (la comunità fiorentina al centro, in passato, di scandali sessuali): e se questa, come sembra, spetterà a un senatore, quella sulle Banche andrà necessariamente assegnata a un deputato. O una deputata. Tutto, pur di evitare Lannutti

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