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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Il Giornale - Il Foglio Rassegna Stampa
26.11.2019 I filocinesi: ecco chi, in Italia, spinge per avvicinarsi alla dittatura di Pechino
Commenti di Fausto Biloslavo, Giulia Pompili

Testata:Il Giornale - Il Foglio
Autore: Fausto Biloslavo - Giulia Pompili
Titolo: «Non c'è solo Grillo. Ecco la rete che opera per ridurre l'Italia a un feudo della Cina - Alla corte cinese»
Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 26/11/2019, a pag.4, con il titolo "Non c'è solo Grillo. Ecco la rete che opera per ridurre l'Italia a un feudo della Cina", il commento di Fausto Biloslavo; dal FOGLIO a pag. 1-4, con il titolo "Alla corte cinese" il commento di Giulia Pompili.

Per approfondire, ecco la pagina dedicata all'argomento ieri da IC: http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=6&sez=120&id=76723

Ecco gli articoli:

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Beppe Grillo ieri con l'ambasciatore cinese

IL GIORNALE - Fausto Biloslavo: "Non c'è solo Grillo. Ecco la rete che opera per ridurre l'Italia a un feudo della Cina"

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Fausto Biloslavo

Non sono pochi gli amici italiani della Cina, anche se qualcuno, come i dirigenti del Pd fa lo smemorato. E pure la doppia visita in 24 ore di Beppe Grillo all'ambasciatore cinese non è una novità. Nel 2013 il fondatore del Movimento 5 stelle, si era recato in compagnia di Gianroberto Casaleggio a baciare la pantofola all'allora ambasciatore cinese Ding Wei. I membri del governo italiano negli ultimi tempi sono più in Cina che negli Stati Uniti. L'ultimo è il ministro con la delega per la Ricerca, Lorenzo Fioramonti, da ieri mattina a Pechino. L'esponente grillino deve inaugurare la settimana Cina-Italia della Scienza della Tecnologia e dell'Innovazione 2019 con il suo omologo locale Wang Zhigang. Fioramonti, come ministro dell'Università e dell'Istruzione, sembra non pensare agli studenti di Hong Kong che si battono per la democrazia con archi e frecce, mentre stringe la mano ai dignitari di Pechino. Il politico più prono al potere cinese è il titolare della Farnesina, Luigi Di Maio, che a marzo ha firmato, come ministro dello Sviluppo economico, il contestato memorandum Italia-Cina sulla nuova Via della Seta durante la visita in pompa magna nel nostro paese del presidente Xi Jinping. Il leader M5s, dopo avere visitato la Cina durante il governo Conte 1 è tornato a Shangai da titolare della Farnesina il 4 novembre per la seconda edizione del China International Import Expo, il gran bazar dell'importazione cinese. Illuminanti le parole del ministro degli Esteri cinese, che lo ha accolto: «Lei ministro Di Maio è un nostro buon amico. Un politico giovane molto in gamba con una grande visione strategica». E Di Maio ha risposto come se Pechino fosse il nostro principale alleato al posto di Washington: «Guardiamo alla Cina come un Paese che deve essere sempre più partner dell'Italia per lo sviluppo. L'adesione alla Via della Seta ha segnato un rafforzamento delle nostre relazioni». E senza neppure far finta di dire una parola sugli studenti di Hong Kong ha annunciato la prossima tappa della lunga marcia di avvicinamento alla Cina: «Il 2020, quando celebreremo il 50° anniversario delle nostre relazioni». Ieri su Repubblica è arrivata a Di Maio la stoccata di Joshua Wong, uno degli storici leader pro democrazia ad Hong Kong: «L'Italia deve stare attenta a non dipendere dagli interessi economici cinesi. () la Cina è nota per non rispettare le regole ed è tristemente nota per le violazioni dei diritti umani». L'opposizione si è scatenata da Fdi, che mercoledì chiederà lumi al governo in Parlamento, Fi e Lega. Il vero tessitore dietro le quinte dei rapporti con la Cina è l'ambasciatore Ettore Sequi. Diplomatico di lungo corso con esperienza da prima linea in Afghanistan è stato per quattro anni a Pechino. Da settembre, con il nuovo governo Conte, è capo di gabinetto del ministro Di Maio alla Farnesina. Prima ancora aveva ricoperto lo stesso ruolo con Federica Mogherini e il suo successore Paolo Gentiloni, fino alla nomina in Cina nel 2015. Sequi è il vero trait d'union, fra governi diversi, con Pechino. Grazie all'allora ambasciatore il colosso cinese CCCC si è avvicinato al porto di Trieste fin dalla visita dell'ex presidente del Friuli-Venezia Giulia, Debora Serracchiani, figura di spicco del Pd. Nel dicembre 2017 Serracchiani dichiarava convinta: «Le tappe della visita () hanno avuto al centro il tema dell'intera piattaforma logistica del Friuli Venezia Giulia () anche in relazione agli importanti impegni che i nostri due governi hanno raggiunto sul progetto della nuova Via della Seta». E sempre nel 2017 Sequi aveva gestito il grande colpo dell'arrivo del premier Gentiloni in Cina al Forum «One Belt, One Road», il maxi progetto della nuova Via della Seta. Il presidente Xi è visibilmente soddisfatto e fa spuntare pure un tenore che intona «O sole mio». Le basi del memorandum con l'Italia firmato dal governo Conte 1 erano state chiaramente tracciate dal Pd, ma quando arriva la firma Serracchiani prende le distanze. E il neo segretario, Luca Zingaretti, sostiene che nell'intesa con la Cina «uno degli errori del governo italiano è stato quello di essersi mosso «senza concertazione, o dialogo con altri paesi europei e anche in parte con gli Usa e di avere cercato una fuga in avanti». Giravolte da non credere, ma è Prodi a scendere in campo in difesa del memorandum Italia-Cina. Il 15 marzo dichiara: «Mi sembra che l'Italia debba svegliarsi e prendere la parte dei traffici verso Est. E non parlo solo di Cina». Assieme ai grillini uno dei politici più attivi nell'aprire le porte ai cinesi è stato l'ex sottosegretario in quota Lega dello Sviluppo economico, Michele Geraci, soprannominato «China man». Geraci è il fondatore della Task force Cina, che si proponeva «di potenziare i rapporti bilaterali». Non solo: prima di arrivare al governo «China man» scrisse sul blog di Grillo che dalla «Cina possiamo imparare qualcosa» anche sul tema «della sicurezza pubblica», si spera non in stile Tienanmen.

IL FOGLIO - Giulia Pompili: "Alla corte cinese"

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Giulia Pompili

Roma. L’ambasciata cinese in Italia ha pubblicato ieri una fotografia dell’ingresso della sede diplomatica di via Bruxelles a Roma con un messaggio: “La nostra Ambasciata si è da sempre impegnata a promuovere lo sviluppo delle relazioni sino-italiane e la sua porta rimarrà sempre aperta agli amici italiani di diversi settori”. Il riferimento è all’am - pia copertura mediatica che hanno avuto gli incontri, nel fine settimana, tra Beppe Grillo e l’ambasciatore Li Junhua. I rapporti tra diplomatici e rappresentanti di partito sono una consuetudine, ma il problema con Grillo è sempre il solito: in che veste si è presentato dall’ambasciatore? Come “garante” dei Cinque stelle al governo oppure come privato cittadino? Un altro aspetto interessante riguarda il programma del weekend: Grillo è arrivato venerdì sera a Roma direttamente da Genova per un incontro che, scriveva ieri Repubblica, “è stato chiesto dalla parte cinese” mesi fa e poi rimandato. E fin qui, dicevamo, nulla di anomalo. L’anomalia semmai si verifica il giorno dopo, cioè sabato, quando Grillo, a meno di ventiquattro ore dal primo incontro (e dopo un colloquio con il ministro degli Esteri italiano nonché leader del M5s Luigi Di Maio) torna in ambasciata e ci resta per altre due ore e mezzo di faccia a faccia. Dopo le speculazioni dei quotidiani sul doppio incontro di Grillo – e stimolata dalla nuova politica di Pechino che chiede alle sue sedi diplomatiche di “replicare alla guerra mediatica occidentale” – l’ambasciata cinese scrive su Twitter che “la sua porta resta sempre aperta”. Eppure in passato quella stessa porta è stata chiusa all’attuale segretario del Pd, Nicola Zingaretti, che una ventina d’anni fa, da responsabile internazionale dei Ds, si fece promotore di una serie di incontri in Italia con il Dalai Lama Tenzin Gyatso. Incontrare il capo politico del Tibet indipendente porta da sempre molte grane con i cinesi, e lo sanno bene anche Giuliano Pisapia e il comune di Milano che nel 2012 rifiutarono di dargli la cittadinanza onoraria dopo le pressioni di Pechino. All’epoca, a scandalizzarsi per la faccenda fu proprio Grillo, che sul suo blog scriveva: “La Cina, oltre ad aver occupato il Tibet, ha occupato anche Palazzo Marino. I neo maoisti meneghini hanno bocciato l’onorificenza a Tenzin Gyatso in nome dei danè”, e poi: “Ho avuto l’onore di incontrare il Dalai Lama nella sua ultima visita a Milano. Mi concesse mezz’ora del suo prezioso tempo e, alla fine del colloquio, mi donò una sciarpa bianca e un forte abbraccio. Gli promisi il mio appoggio. Il Tibet è occupato, straziato, e l’Italia fa affari con chi lo occupa senza provare vergogna e si lascia ricattare nelle sue decisioni politiche per motivi economici”. Grillo ha incontrato il Dalai Lama come Zingaretti, e ha usato in passato parole particolarmente critiche contro Pechino. Eppure solo per lui, per il “garante” dei Cinque stelle, la porta dell’ambasciata cinese è spalancata. Questo passaggio è fondamentale: se fino a pochi anni fa Grillo parlava della Cina come del peggior regime possibile con il quale non è corretto fare affari, oggi pubblica sul suo blog gli articoli di tale Fabio Massimo Parenti, “professore associato all’istituto internazionale Lorenzo dei Medici di Firenze”, apparentemente un filocinese capace di negare la brutale repressione di Pechino nell’area dello Xinjiang contro gli uiguri. E infatti Grillo la definisce testualmente una “campagna mediatica sui diritti umani volta a screditare l’operato del governo cinese”. Ma le porte aperte dell’ambasciata sono anche per Di Maio, naturalmente, unico ministro degli Esteri del G7 ad aver parlato di Hong Kong come di un “affa - re interno alla Cina” e sul quale il suo partito applica la “politica della non interferenza”. Questa spiccata simpatia del M5s per il governo cinese spiega anche la rinnovata amicizia poco commerciale e molto politica che abbiamo raccontato spesso anche su queste colonne nel periodo della firma del Memorandum d’intesa sulla Via della seta a fine marzo di quest’anno. Quando i grillini promuovevano la grottesca esportazione di qualche conteiner di arance via aereo (lasciando pensare che a interessarli non fosse precisamente lo sviluppo del commercio internazionale italiano) mentre la Francia ai cinesi vendeva direttamente gli aerei per 30 miliardi di euro. Il ruolo della Casaleggio Associati Tutto ha inizio, manco a dirlo, con la Casaleggio Associati, che in passato si è avvicinata ai rappresentanti industriali di Pechino. Hanno scritto d’altra parte Nicola Biondo e Marco Canestrari nel loro libro “Sistema Casaleggio”: “La Cina è una di quelle tappe d’affari che Casaleggio senior ha coltivato nel tempo. Era il giugno 2013 quando in un laconico comunicato stampa l’ambasciatore cinese Ding Wei comunicava di aver incontrato i cofondatori del M5s Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio”. Da allora l’azienda che controlla il M5s attraverso Rousseau ne ha fatta di strada (e di affari cinesi). Fino a raggiungere, oggi, una matura collaborazione con Huawei. Il ceo Thomas Miao una decina di giorni fa ha inaugurato la presentazione alla Casaleggio del report “Smart Company”. Ma già a febbraio il Mise smentì con veemenza una “presunta messa al bando” dei colossi delle telecomunicazioni cinesi Huawei e Zte. Entrambe le aziende, qualunque evento organizzino, possono contare sulla presenza di “rappresentanti istituzionali”, quasi sempre del M5s. Prima da ministro dello Sviluppo, poi da ministro degli Esteri, Di Maio pone un’attenzione particolare ai temi che stanno a cuore a Pechino. Tanto che un anno fa, dopo la sua prima missione istituzionale a Shanghai, il Mise pubblicò sul suo sito un’intervista (non firmata) all’allora ambasciatore cinese in Italia, Li Ruiyu. Una stranezza irrituale, per così dire, da parte del Mise. Lì dove Di Maio lavorava con un altro promotore degli interessi cinesi… ops, italiani in Cina: l’ex sottosegretario Michele Geraci. Che pur non avendo più alcun ruolo istituzionale, è da giorni impegnato in un tour mediatico in Cina “per cercare di aiutare le nostre aziende e non dissipare tutto il capitale investito nei mesi scorsi”. Parla ancora da sottosegretario, nelle interviste, e parla al plurale, ma non si sa bene chi rappresenti. Si dice che agli investitori cinesi Geraci continui a ripetere che tornerà al governo “dopo il 26 gennaio”. Il fatto è che nel frattempo la Lega, il partito a cui dice di appartenere, ha cambiato direzione. O meglio, l’ha aggiustata. Ieri Matteo Salvini ha detto al Corriere di essere “preoccupato” dagli incontri di Grillo con l’ambasciatore cinese, “e i frequenti viaggi di Di Maio in Cina. E per contro, stanno zitti sulla situazione di Hong Kong. Non vorrei che stessero cambiando la collocazione internazionale dell’Italia”. Gian Marco Centinaio, ex ministro leghista dell’Agricoltura, in questi giorni guida l’an - nuale delegazione di parlamentari a Taiwan, che è da sempre mal tollerata dall’ambasciata cinese ma quest’anno lo sarà ancora di più, perché gli italiani hanno incontrato i vertici del governo di Taipei. A colloquio con il Foglio, Centinaio parla dei suoi rapporti “con l’ambasciata di Taiwan a Roma” e di “un paese dove ci sono libertà e diritti civili”. Spiega Centinaio: “L’Italia deve avere l’autorevolezza di mantenere rapporti con la Cina e anche con Taiwan. Senza dover abbassare il capo come fanno altri, senza fare scelte”. Sembra invece che il M5s abbia scelto.

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