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La Stampa - Il Foglio Rassegna Stampa
05.11.2019 La longa manus dell'Iran su Iraq e Libano
Cronaca di Giordano Stabile, commento di Daniele Raineri

Testata:La Stampa - Il Foglio
Autore: Giordano Stabile - Daniele Raineri
Titolo: «Assalto in Iraq e crisi in Libano, Teheran teme la rivolta degli alleati - A Baghdad la piazza non molla, ma l’Iran prepara la repressione»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 05/11/2019, a pag. 9, con il titolo "Assalto in Iraq e crisi in Libano, Teheran teme la rivolta degli alleati", la cronaca di Giordano Stabile; dal FOGLIO a pag.1 con il titolo "A Baghdad la piazza non molla, ma l’Iran prepara la repressione", il commento di Daniele Raineri.

Ecco gli articoli:

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Baghdad

LA STAMPA - Giordano Stabile: "Usa pronti ad agire contro Ankara"

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Giordano Stabile

A Teheran il poster gigante per celebrare i 40 anni dell'assalto all'ambasciata americana era quasi pronto, ma gli occhi della Repubblica islamica erano puntati verso Karbala, città santa dell'islam sciita, e verso un'altra sede diplomatica. La propria. Centinaia di manifestanti assediavano il consolato, fino a scalare il muro di cinta e ad ammainare la bandiera iraniana. Erano minuti concitati. Le forze di sicurezza irachene, colte di sorpresa, portavano via il personale dal retro, poi si schieravano attorno al perimetro per respingere l'attacco. Alla fine quattro dimostranti sono rimasti sul terreno. In un mese di «intifada irachena», la protesta di massa contro il governo corrotto, la crisi che strangola la vita dei giovani, era la prima manifestazione di aperta ostilità contro l'Iran. Ali Khamenei è riuscito nell'impresa di sorpassare George W. Bush come leader straniero più odiato, in un Paese che ospita i massimi santuari dello sciismo . La battaglia si è poi spostata nel centro di Baghdad. Ieri pomeriggio la folla ha dato l'assalto ai ponti sul Tigri che uniscono i sobborghi orientali alla Zona verde, dove hanno sede governo e ministeri. Le forze di sicurezza hanno sparato lacrimogeni ad altezza d'uomo e munizioni vere. Sul ponte Ahrar sarebbero morte almeno 5 persone. La rabbia contro il governo non fa che crescere, dopo le dimissioni-farsa del premier Adel Abdel Mahdi. Una settimana fa era sulla soglia d'uscita ma è stato richiamato da Teheran, attraverso il leader del più importante blocco filo-iraniano, Hadi al-Amiri. Dopodiché è intervenuta la guida suprema Ali Khamenei. Ha ammonito i manifestanti a portare avanti «le loro legittime richieste» ma «nella legalità», e soprattutto a guardarsi dagli Stati Uniti e dal Mossad «che cercano di creare un vuoto di potere» in Iran e Libano. Un'ingerenza che si è trasformata in boomerang. La battaglia nel Levante arabo vede sempre più in prima linea l'Iran. Ieri ha ricevuto un nuovo avvertimento dalla Casa Bianca: finché «non cambierà il suo comportamento ostile, continuerà subire sanzioni devastanti». In questo momento, però, Khamenei e il generale Qassem Suleimani sono più preoccupati dalla piega in Libano e soprattutto Iraq. Il tentativo di stroncare le proteste con la forza, 270 morti e 4000 feriti, è fallito. La repressione ha distrutto la fiducia della gente nelle forze di sicurezza e nelle milizie sciite, che pure avevano salvato il Paese dall'Isis. Ora la minaccia estremista sunnita è passata in secondo piano, tanto che a Baghdad sono stati accolti dimostranti da Falluja, roccaforte jihadista. Segno che le divisioni settarie passano in secondo piano davanti al disastro economico. Teheran può forse perdere Beirut ma non Baghdad. L'interscambio, 12 miliardi di dollari, è essenziale per sopravvivere alle sanzioni americane. Mollare il premier Mahdi è rischioso. Il generale Suleimani ha impiegato 5 mesi di trattative per metterlo in sella. Mentre la piazza chiede una riforma costituzionale ed elettorale che potrebbe indebolire la presa iraniana. Il presidente curdo Barham Salih era ieri a Erbil per discuterne con il presidente della regione autonoma, Nechirvan Barzani. Senza riforme politiche è impossibile rilanciare l'economia. L'Iraq produce 4,5 milioni di barili di petrolio al giorno e ha un reddito di soli 5 mila dollari pro capite all'anno. Il 95% dei giovani dichiara che per ottenere un lavoro deve ricorrere al «wasta», il sistema clientelare. Il sistema è bloccato, in Iraq come in Libano. Anche Beirut è tornata in piazza contro le finte dimissioni del premier Saad Hariri, che sta per essere reincaricato. Le principali strade sono state di nuovo bloccate, mentre la situazione economica continua a deteriorarsi. E' stato imposto il controllo dei capitali e la Banca centrale sta pensando di svalutare la lira: da 1500 a 2000 per un dollaro. Il che significa un taglio degli stipendi di un terzo, perché i salari sono pagati in lire ma affitti, rette scolastiche, servizi in dollari. Il rischio di un collasso finanziario è sempre più concreto.

IL FOGLIO - Daniele Raineri: "A Baghdad la piazza non molla, ma l’Iran prepara la repressione"

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Daniele Raineri

Roma. La situazione in Iraq oggi è molto più pericolosa rispetto agli anni dello Stato islamico. In questi giorni nelle piazze più importanti del paese c’è una protesta popolare di proporzioni enormi e perlopiù pacifica che punta a sostituire la classe politica, considerata troppo compromessa con l’Iran. Ma quella classe politica è costretta a non ascoltare le richieste e a rifiutare il negoziato con i manifestanti perché l’Iran si oppone. Anzi, di fatto l’Iran ha preso il comando della situazione e ha mandato il generale Qassem Suleimani, comandante delle operazioni all’estero delle Guardie della rivoluzione, a guidare la repressione. Quando il 4 ottobre, il giorno dopo le proteste più grandi, i capi delle forze di sicurezza irachena si sono riuniti nella Zona verde di Baghdad per decidere cosa fare assieme con il primo ministro Adil Abdul Mahdi, hanno trovato al posto del primo ministro proprio Suleimani. E quando una settimana fa i politici iracheni hanno deciso che il primo ministro Abdul Mahdi si doveva dimettere per dare un segnale alla piazza – e Abdul Mahdi era d’accordo – Suleimani è intervenuto dietro le quinte per ordinare che il primo ministro restasse al suo posto – gli è bastato dire al capo di un partito sciita che prende ordini dall’Iran di non aderire all’accordo. Che è la dimostrazione pratica di quello che dicono gli iracheni in piazza: siamo stanchi di una classe politica che non ascolta noi e si adegua alle decisioni prese dall’Iran. Ed è la ragione che spiega perché nelle piazze dell’Iraq vediamo scene che fino a settembre sarebbero state impensabili, come prese da un film di fantascienza: masse di iracheni che in pubblico battono le scarpe contro grandi ritratti di Suleimani e dell’ayatollah Khamenei. Sono passati undici anni da quando un giornalista iracheno tirò una scarpa contro il presidente americano George W. Bush (a proposito: nel 2018 si è fatto eleggere al Parlamento iracheno, ora si trova fra i politici), ora le scarpe toccano agli iraniani. Da una parte c’è una protesta popolare che per ora non si affievolisce e ha coinvolto in modo trasversale la società irachena –dai religiosi sciiti come il carismatico ayatollah Sistani che nel 2014 annunciò la riscossa popolare contro lo Stato islamico agli studenti dei licei e delle università per arrivare al patriarca caldeo Louis Sako, che ieri è sceso anche lui a piazza Tahrir per dire ai manifestanti parole molto belle: “Siamo venuti per esprimere la nostra ammirazione a questi giovani che hanno rotto la barriera settaria e riguadagnato l’identità nazionale irachena, dimostrando che la patria è preziosa. La cosa che i politici non potevano fare” (fonte Agensir). Ricordiamocene, quando si dirà che i manifestanti sono tutti terroristi come succede quando si parla di Siria. Dall’altra parte c’è l’Iran che non intende mollare la presa. Il regime di Teheran difende lo status quo perché non vuole perdere il governo vassallo. E Suleimani ha già detto agli iracheni “ora vi facciamo vedere come risolviamo noi questi problemi”. I cecchini hanno sparato dai tetti e hanno ucciso più di duecento persone. Il numero degli arresti, anche dentro gli ospedali, è superiore a mille ma non ci sono cifre ufficiali. Milizie travestite da forze speciali hanno fatto irruzione negli studi di sei televisioni. Tutti i presidi delle scuole irachene sono stati licenziati perché non sono riusciti a trattenere gli studenti che hanno manifestato. E domenica un’attivista molto conosciuta che prestava cure mediche in piazza, Saba al Mahdawi, è stata rapita. Se lo schema antidemocratico sarà applicato, seguiranno molte altre sparizioni.

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