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La Stampa - Libero Rassegna Stampa
09.10.2019 Siria: i kurdi minacciati da Iran e Turchia non si arrendono
Due servizi di Paolo Mastrolilli, commento di Andrea Morigi

Testata:La Stampa - Libero
Autore: Paolo Mastrolilli - Andrea Morigi
Titolo: «Blitz in Siria, Teheran stoppa Erdogan. Trump cambia idea: no al ritiro dei soldati - La rabbia degli evangelici per le mosse di Donald - I curdi infuriati: 'Erdogan è peggio di Assad'»
 
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 09/10/2019, a pag.13, con i titoli "Blitz in Siria, Teheran stoppa Erdogan. Trump cambia idea: no al ritiro dei soldati", "La rabbia degli evangelici per le mosse di Donald", due servizi di Paolo Mastrolilli; da LIBERO, a pag. 11, con il titolo "I curdi infuriati: 'Erdogan è peggio di Assad' ", il commento di Andrea Morigi.

Ecco gli articoli:

LA STAMPA - Paolo Mastrolilli: "Blitz in Siria, Teheran stoppa Erdogan. Trump cambia idea: no al ritiro dei soldati"

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Paolo Mastrolilli
 
Il presidente Trump invita il leader turco Erdogan alla Casa Bianca, e frena sul via libera dato all'invasione della Siria settentrionale, mentre anche l'Iran critica l'operazione. I soldati americani però hanno già evacuato la regione, mentre Ankara sta trasportando velocemente i propri militari al confine e le forze curde dell'Sdf si preparano alla resistenza. Domenica sera Trump ha annunciato il ritiro dalla Siria in maniera «impulsiva», se è giusta la versione del senatore repubblicano Graham, perché da tempo vuole mantenere la promessa elettorale di mettere fine alle guerre senza fine, conservando così l'appoggio della sua base durante l'inchiesta per l'impeachment. Però gli stessi repubblicani si sono ribellati, insieme a diversi leader religiosi evangelici, perché pensano che a guadagnarci saranno proprio Assad, l'Iran, la Russia e l'Isis, con la probabile liberazione o fuga di circa 2.500 terroristi, mentre curdi e cristiani saranno massacrati. Lunedì sera perciò la Casa Bianca ha tenuto un briefing con i giornalisti, in cui ha negato che il presidente abbia dato luce verde all'offensiva turca. Anzi, ha segnalato la sua avversione, e si è limitato a decidere l'evacuazione di circa 50 o 100 uomini delle forze speciali, per metterli al sicuro. Nessun ritiro completo dalla Siria è stato ordinato, e poco dopo Trump ha minacciato di obliterare l'economia di Ankara, se usasse una mano troppo pesante. Ieri mattina il capo della Casa Bianca è tornato a correggere la rotta via Twitter, assicurando che «noi potremmo essere nel processo di lasciare la Siria, ma non abbiamo abbandonato in alcun modo i curdi. Allo stesso modo, la nostra relazione con la Turchia, partner Nato e commerciale, è buona». Quindi il presidente ha annunciato di aver invitato Erdogan alla Casa Bianca il 13 novembre. Anche l'Iran, attraverso il ministro degli Esteri Zarif, ha criticato la possibile invasione turca, rompendo quindi la fragile alleanza costruita con Mosca e Ankara. Chi si frega le mani è il Free Syrian Army, ossia l'esercito dell'opposizione siriana ormai sconfitto, che spera di riconquistare terreno grazie alle truppe di Erdogan, mentre il leader delle forze curde Sdf, Mazlum Kobani, ha dichiarato di essere pronto alla resistenza. Il vice presidente turco Fuat Oktay ha rigettato le pressioni americane, e Ankara sta trasportando le sue truppe al confine vicino Akcakale, davanti alle città siriane di Tel Abyad e Ras al Ain, da dove sono stati evacuati i 50 soldati americani. Erdogan avrebbe promesso di concentrare le operazioni in 4 basi e limitarne lo scopo. Trump invece spera di fermarlo, ma il leader turco non sembra disposto ad aspettare fino al 13 novembre.

LA STAMPA - Paolo Mastrolilli: "La rabbia degli evangelici per le mosse di Donald"

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Peshmerga kurdi

Sul piano della politica interna, il presidente Trump ha deciso la sua mossa in Siria per mantenere la promessa elettorale di mettere fine alle guerre, e quindi rafforzare il consenso nella sua base durante l'inchiesta sull'impeachment. Perciò i pericoli che corre vengono dalla reazione negativa di alcuni leader evangelici e diversi senatori repubblicani. Il potente reverendo Pat Robertson ha avvertito che «consentendo il massacro di cristiani e curdi da parte dei turchi, il presidente rischia di perdere il mandato del Paradiso», ossia l'appoggio di Dio per la sua missione. La comunità evangelica è rimasta la base incrollabile di Trump, anche dopo le rivelazioni sulle infedeltà coniugali, soprattutto perché vuole i giudici conservatori che lui sta nominando. Se però la linea di Robertson si diffondesse, il capo della Casa Bianca rischierebbe di perdere consensi fondamentali per la rielezione nel 2020. Le defezioni dei senatori repubblicani rappresentano invece un pericolo più immediato, perché da loro dipende la possibilità di bloccare l'impeachment con il voto finale nella Camera alta. Al momento siamo lontani dalle 20 defezioni che servirebbero a condannare il presidente, ma lui non può permettersi di alienare questi parlamentari repubblicani. Da qui le mezze marce indietro delle ultime ore.

LIBERO - Andrea Morigi: "I curdi infuriati: 'Erdogan è peggio di Assad' "

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Andrea Morigi

l voli di ricognizione dell'aviazione militare turca si sono già intensificati sui cieli al confine con Siria e Iraq. Le milizie sostenute da Ankara si schierano ad Akcakale, a est del fiume Eufrate, davanti alla cittadina siriana di Tel Abyad, perlustrata dai droni come la vicina Raqqa, mentre i convogli militari entrano a Jarabulus, nel nord est della Siria. Nello spazio vuoto lasciato dalle truppe statunitensi, arrivano i carri armati di Recep Tayyp Erdogan. Ai curdi, ormai circondati, non rimane che indietreggiare ed evacuare i villaggi di frontiera per decidere il da farsi. Si valuta anche «una collaborazione con il presidente siriano Bashar al Assad, con l'obiettivo di combattere le forze turche», annuncia il comandante delle Forze Democratiche Siriane, Mazlum Abdi, citato dal portale Rojava Network Broadcasting. Fra i due fuochi, però, ci sono le carceri nelle quali sono detenuti i terroristi del Califfato. Finora erano affidati agli americani mentre ora «la custodia dei prigionieri dell'Isis è secondaria», per le forze curde, avverte Abdi. I Paesi europei rifiutano di rimpatriare i loro foreign fighter e non si sa che intenzioni abbia la Turchia nei loro riguardi. Il rischio concreto è che tornino liberi e si riorganizzino come schegge impazzite in un conflitto già di per sé senza un esito certo.

L'AIUTO DI MOSCA Di fronte all'ennesimo ribaltamento di fronte degli ultimi anni, l'unico punto fermo sembra rappresentato dalla presenza delle truppe russe. Il regime di Damasco è rimasto in piedi grazie all'intervento di Vladimir Putin. L'unica possibilità di contrastare, per via militare o diplomatica l'invasione turca passa da Mosca e Damasco. Così, il presidente del Kurdistan iracheno Nechirvan Barzani, durante un incontro con il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, ha chiesto a Mosca di intervenire «per evitare ulteriori sofferenze al popolo curdo in Siria». «Abbiamo espresso francamente la nostra preoccupazione che le zone a est dell'Eufrate, come le chiamano, siano destabilizzate a causa di un'azione militare», ha detto a Rudaw l'ex ministro degli Esteri iracheno ed esponente della leadership del Partito democratico del Kurdistan Hoshyar Zebari, presente all'incontro con Lavrov. «Per questo il presidente ha chiesto a Lavrov di usare la sua influenza per evitare qualsiasi tragedia umanitaria o la fuga della popolazione da queste zone», ha aggiunto, definendo i colloqui «positivi». 11 ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu e l'omologo russo Sergej Lavrov hanno già avviato un confronto ieri, con una telefonata per fare il punto sulla situazione nel nord est della Siria, dove Ankara è in procinto di effettuare un'operazione militare per costituire una safe zone lungo il proprio confine. Lo scorso 7 agosto, al termine di un lungo negoziato, Turchia e Usa avevano raggiunto nella capitale turca Ankara l'accordo per la costituzione di una safe zone nel nord della Siria. L'area "tampone" prevista nell'accordo misura 30-32 km di profondità e 480 chilometri di lunghezza, estesi in territorio siriano lungo il confine turco, a partire dalla riva est del fiume Eufrate fino al confine con l'Iraq.

L'ALTOLÀ DI WASHINGTON Il presidente degli Stati Uniti conferma di aver lasciato campo libero a Erdogan, ma lo avverte: «Possiamo aver avviato il processo per lasciare la Siria, ma in nessun modo possiamo abbandonare i curdi che sono persone speciali e straordinari combattenti». Trump ricorda che «stiamo aiutando i curdi finanziariamente e con armi» e torna a mettere in guardia Ankara: «Le nostre relazioni con la Turchia, un partner Nato e commerciale, sono state molto buone. La Turchia ha già una popolazione curda molto ampia e comprende perfettamente che mentre abbiamo solo 50 soldati rimasti in quella parte della Siria, che stiamo rimuovendo, ogni combattimento non necessario e spontaneo da parte della Turchia sarà devastante per la loro economia e per la loro fragile valuta», conclude il presidente Usa. Intanto, sono i curdi a sentirsi «pugnalati alle spalle» dall'America.

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