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Il Foglio - Avvenire - Il Messaggero Rassegna Stampa
12.09.2019 Foglio e Avvenire contro Donald Trump, accusato addirittura di favorire il terrorismo islamista
I pezzi di parte di Giulio Meotti, Elena Molinari, equilibrato quello di Flavio Pompetti

Testata:Il Foglio - Avvenire - Il Messaggero
Autore: Giulio Meotti - Elena Molinari - Flavio Pompetti
Titolo: «Trump flirta con talebani e ayatollah, il jihad mondiale fa festa. Israele freme su quattro fronti di guerra - L'11 settembre di Donald Trump - Trump: 'Distruggeremo chi ci attacca'»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 12/09/2019, a pag.1, con il titolo "Trump flirta con talebani e ayatollah, il jihad mondiale fa festa. Israele freme su quattro fronti di guerra" il commento di Giulio Meotti; da AVVENIRE, a pag. 13, con il titolo "L'11 settembre di Donald Trump", il commento di Elena Molinari; dal MESSAGGERO, a pag. 11, con il titolo "Trump: 'Distruggeremo chi ci attacca' ", il commento di Flavio Pompetti.

Continua, dettata da Giuliano Ferrara, la linea del FOGLIO di aperta ostilità nei confronti di Donald Trump. Oggi tocca a Giulio Meotti scrivere un pezzo contro il Presidente americano, attaccato fin dal titolo, secondo cui "Trump flirta con talebani e ayatollah, il jihad mondiale fa festa". Secondo il FOGLIO, perciò, la presidenza Trump offre vantaggi ai terroristi islamisti: una posizione che è evidentemente assurda, ma che viene ripresa anche da Elena Molinari su Avvenire.  Per un commento equilibrato leggere invece il pezzo del Messaggero.

Ecco gli articoli:

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Donald Trump alla commemorazione delle vittime dell'11 settembre

IL FOGLIO - Giulio Meotti: "Trump flirta con talebani e ayatollah, il jihad mondiale fa festa. Israele freme su quattro fronti di guerra"

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Giulio Meotti

Roma. It could happen, ha risposto il presidente americano Donald Trump alla domanda su un suo possibile incontro con l’iraniano Hassan Rohani. Sarebbe la prima volta per i leader dei due paesi in aperta ostilità dalla presa dell’ambasciata americana a Teheran nel 1979. A Gerusalemme, l’enclave ebraica dove la vicenda ha ricadute più concrete di una photo opportunity, lo ritengono cosa fatta. “Questa è la conclusione dell’establishment di sicurezza di Israele dopo l’incontro a Londra del premier Benjamin Netanyahu con il segretario alla Difesa degli Stati Uniti Mark Esper”, rivela Haaretz. “Con un avvertimento: a meno che il membro meno prevedibile della coppia, Donald Trump, cambi idea all’ultimo minuto”. A conferma anche il segretario di stato Mike Pompeo, che ha aggiunto che l’incontro potrebbe avvenire “senza precondizioni”. E in questa chiave vanno lette le dimissioni di John Bolton. “Un fatto che delizia il nordcoreano Kim Jong Un, l’iraniano Hassan Rohani, il russo Vladimir Putin e il venezuelano Nicolás Maduro” commenta il Wall Street Journal. Bolton si era opposto al mancato incontro fra Trump e i talebani a Camp David ed era un sostenitore del regime change a Teheran. Che Trump fosse disposto a incontrare i basisti di al Qaida nell’anniversario dell’11 settembre e il capo del regime islamista che in quarant’anni ha destabilizzato il medio oriente, finanziato tutto il terrorismo contro lo stato ebraico e tiranneggiato la propria popolazione, non è un bel segnale al jihad internazionale, di cui talebani e ayatollah sono fra i due poli maggiori. “Immaginate se, nel 2011, Barack Obama non solo avesse ritirato le forze statunitensi dall’Iraq, facilitando l’ascesa dello Stato islamico, ma avesse anche invitato i leader dello Stato islamico a Camp David” ha scritto ieri sul Washington Post Marc Thiessen, ex speechwriter di George W. Bush. “La decisione di Obama di ritirare le truppe americane fu catastrofica, ma neppure lui era abbastanza stupido da cercare una foto con i terroristi”. Rohani non è un Kim Jong-un qualunque, il goffo satrapo di un regime fatiscente che si regge in piedi grazie alla Cina. Rohani è il presidente di una repubblica islamica e di una dittatura in turbante che quest’anno ha celebrato i trent’anni della fatwa contro Salman Rushdie e che è già entrato nella “soglia” pre atomica (e sarebbe la prima vera “bomba di Allah”, se non contiamo il Pakistan in teoria alleato degli americani). Un regime, l’Iran, che già beneficia dell’appeasement della vecchia Europa. Se a questo si aggiungesse quello americano, caotico e trumpiano, potrebbe essere funesto, specie per quello stato ebraico la cui distruzione è considerata strategica nei piani iraniani di egemonia. Per questo a Gerusalemme in questi giorni si è, oltre che in quella elettorale, in ansia preatomica. “Immagina cosa avrebbe fatto Netanyahu in questo momento se Obama avesse espresso interesse a incontrare Rohani”, ha detto ad al Monitor un dirigente del Likud. Israele è impegnato a bombardare le propaggini iraniane su ben quattro fronti: Gaza (Hamas), Libano (Hezbollah), Siria e Iraq (le milizie sciite). Identica la minaccia: iraniana. Due giorni fa, Netanyahu in conferenza stampa ha rivelato un’area vicino ad Abadeh, in Iran, e fotografata il 27 marzo scorso, in cui l’Iran “ha condotto esperimenti per sviluppare armi nucleari”. Ieri, Netanyahu è stato portato via di corsa dal palco elettorale ad Ahdod, mentre suonava la sirena antimissili (missili iraniani). America e Israele, “grande e piccolo Satana” secondo gli ayatollah. Che guaio sarebbe se il grande lasciasse solo il piccolo a vedersela con i mullah, in uno scompiglio di appeasement da cui si rischia, come spesso accade, di uscire con una guerra.

AVVENIRE - Elena Molinari: "L' 11 settembre di Donald Trump"

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Diciotto anni dopo gli attacchi terroristici che uccisero 3mila persone fra New York, Washington e la Pennsylvania, l'anniversario per gli Stati Uniti di Donald Trump è all'insegna delle minacce. I taleban, che in Afghanistan avevano dato rifugio all'architetto della tragedia, Osama Bin Laden, hanno avvertito gli Stati Uniti che «rimpiangeranno presto» di aver abbandonato il tavolo dei negoziati. II presidente Usa risponde che continuerà a colpire il gruppo, e tutti i nemici dell'America, con una forza mai vista. E il leader di al-Qaeda, Ayman al-Zawahiri, invita i musulmani ad attaccare obiettivi statunitensi, europei, israeliani e russi. Doveva essere il primo anniversario all'insegna della pace, la vigilia della fine dei 18 anni di guerra in Afghanistan che hanno fatto seguito agli attacchi dell'11 settembre. II capo della Casa Bianca aveva organizzato infatti un vertice a Camp David per siglare solennemente un accordo con taleban - che gli Stati Uniti hanno cacciato dal potere in Afghanistan proprio nel 2001- che gli avrebbe permesso di ottenere due risultati decisivi in vista delle elezioni del prossimo anno: ritirare tutti gli oltre 14mila soldati che ancora rimangono nel Paese asiatico e ottenere da un nemico storico degli Stati Uniti garanzie contro il terrorismo. I sondaggi rivelano infatti che Trump ha bisogno di una vittoria d'immagine. Secondo una rivelazione Cnn, sei americani su dieci affermano il capo della Casa Bianca non merita di essere rieletto. Nello stesso periodo di presidenza nel 2011 intorno al 50% degli intervistati non voleva la rielezione di Barack Obama. Un altro sondaggio, di Washington Post/Abc, mostra il calo dell'indice di approvazione di Trump al 38%. Ma l'intesa con gli "studenti del corano" è naufragata all'indomani di un attacco dei taleban che ha ucciso un soldato Usa, soprattutto a causa di un veto del consigliere per la Sicurezza nazionale John Bolton, che ha per questo perso il posto. Ieri il capo di Stato Usa è tornato sull'episodio in occasione delle commemorazioni al Pentagono. «Avevamo fissato dei colloqui di pace. Li ho annullati quando ho saputo che avevano ucciso un grande soldato americano di Puerto Rico ed altri 11 innocenti. Pensavano di dimostrare forza, ma hanno dimostrato una inesorabile debolezza». Quindi ha scandito: «Se, per qualsiasi ragione, torneranno nel nostro Paese, useremo la potenza di un genere che gli Stati Uniti non hanno mai usato prima». Per ora la violenza annunciata dai taleban si è manifestata in una decina di province del nord dell'Afghanistan dove negli ultimi giorni gli scontri sono aumentati esponenzialmente. Intanto il leader di al Qaeda, Ayman al-Zawahiri, ha invitato i fedeli dell'islam ad attaccare ovunque possano americani, europei, israeliani e russi. Il gruppo Site intelligence, che monitora l'attività dei gruppi estremisti, ha riferito che in un video Zawahiri critica anche gli ex militanti che hanno definito inaccettabili gli attacchi dell' 11 settembre perché hanno ucciso civili innocenti.

IL MESSAGGERO - Flavio Pompetti: Trump: 'Distruggeremo chi ci attacca'

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Sobrietà, dolore, e rabbia. La commemorazione del diciottesimo anniversario della strage dell'11 settembre ha mostrato ieri i segni indelebili della ferita aperta dall'attacco terrorista alle Torri Gemelle di New York. Il dolore delle famiglie prima di tutto, ancora in lacrime nelle piazze in cui si è svolta la cerimonia. Martedì sera si sono svolte le esequie di Michael Haub, uno dei 342 pompieri morti in quel giorno mentre lottavano per arginare i danni e salvare vite umane. I resti erano stati appena identificati dalla polizia, e i suoi cari hanno potuto finalmente ufficializzare il lutto che li affliggeva da quasi vent'anni. Solo il 60% delle 2753 vittime ha ricevuto una simile certificazione, mentre migliaia di familiari aspettano ancora il verdetto.

I SINDACI I tre sindaci di New York che erano presenti a Ground Zero: Giuliani, Bloomberg e de Blasio, hanno taciuto in forma di rispetto. Ma la voce della politica, sedimentata dopo anni di dibattito, è emersa nelle voci dei sopravvissuti. Nicholas Haros che nell'attacco perse la madre settantenne è salito sul podio con una maglietta su cui era scritto: «Qualcuno quel giorno ha fatto qualcosa», e ha chiesto alla deputata musulmana del Minnesota Ilhan Omar che ha pronunciato quella frase di chiedere scusa, e di chiarire che sono stati terroristi della sua fede religiosa a eseguire la strage. Debra Epps ha chiesto invece a nome del fratello scomparso un legge che impedisca agli stragisti di venire in possesso di armi d'assalto. Mike Pence ha presieduto la commemorazione a Shanksville, la landa sperduta in Pennsylvania dove i passeggeri sequestrati dal commando riuscirono a ribellarsi, prendere il comando dell'aereo e abbatterlo prima che potesse dirigersi verso la capitale. Donald e Melania Trump erano invece al Pentagono, dove il presidente ha rotto più volte il protocollo del discorso che era stato preparato dai suoi assistenti con i suoi commenti personali. Ha ripetuto di essere stato tra i «primi soccorritori» al World Trade Center, e di aver passato tanto tempo lì nei mesi successivi, due circostanze smentite dai cronisti che seguirono la cronaca del tempo. Ha promesso che se mai i terroristi si riaffacceranno sul suolo statunitense «li inseguiremo dovunque siano, e useremo contro di loro armi di potere inaudito, e non parlo nemmeno di quello nucleare».

IL VIDEO «Continueremo a combattere» gli ha risposto in un video Fattuale leader di al Qaida, Ayman al Zawahiri nel quale ricorda il «benedetto attacco di diciotto anni fa», e chiede ai suoi seguaci di essere «inventivi e creativi» nel colpire gli interessi di Israele, degli Usa, della Francia, della Germania e dei paesi europei dovunque si trovino nel mondo. E un razzo è esploso (senza causare vittime o feriti) nel compound in cui si trova l'ambasciata degli Stati Uniti a Kabul. A Washington nel frattempo Zalmay Kalilzad, l'inviato degli Usa che ha diretto il negoziato con i talebani per il ritiro dei marines, sta ritoccando il suo piano di azione. Il Pentagono non sembra più interessato a dettare condizioni, ma si accontenterebbe di un atto formale di cessate il fuoco da parte delle milizie per concludere la trattativa. L'occasione sarebbe il voto presidenziale del 28 settembre, nel quale Ashraf Ghani, se riconfermato, potrebbe divenire il terzo incomodo nel patteggiamento che nell'ultimo anno aveva visto solo statunitensi e talebani al tavolo. Ghani sembrava condannato alla sconfitta al termine di una gestione inconcludente dell'ufficio della presidenza, ma la rottura delle trattative tra gli Usa e le milizie tribali ha rilanciato le sue speranze di divenire il prossimo ago della bilancia della crisi ventennale del suo Paese.

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