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La Stampa - Il Foglio Rassegna Stampa
28.08.2019 Usa/Iran: Trump apre a trattative, ma la linea di fermezza non cambia
Commenti di Giordano Stabile, Paolo Mastrolilli, Daniele Raineri

Testata:La Stampa - Il Foglio
Autore: Giordano Stabile - Paolo Mastrolilli - Daniele Raineri
Titolo: «Rohani risponde a Trump: via le sanzioni, poi trattiamo - Da Washington avvertimento a Roma: sanzioni se ospita i voli dei Pasdaran - La guerra nello Yemen - Ossessione persiana»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 28/08/2019, a pag.11 con il titolo "Rohani risponde a Trump: via le sanzioni, poi trattiamo" il commento di Giordano Stabile; con il titolo "Da Washington avvertimento a Roma: sanzioni se ospita i voli dei Pasdaran", il commento di Paolo Mastrolilli; la breve "La guerra nello Yemen"; dal FOGLIO, a pag. 1, con il titolo "Ossessione persiana", il commento di Daniele Raineri.

A destra: Donald Trump, Hassan Rohani

La linea adottata da Donald Trump è di disponibilità a incontrare chiunque e, allo stesso tempo, di fermezza in modo da non cedere alle richieste degli avversari/nemici. E' una nuova politica che ha già dato frutti in Medio oriente e in Asia orientale, e che adesso Trump adotta nella relazione con il regime iraniano e con gli Houthi, finanziati dall'Iran, in Yemen.

Ecco gli articoli:

LA STAMPA - Giordano Stabile: "Rohani risponde a Trump: via le sanzioni, poi trattiamo"

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Giordano Stabile

Hassan Rohani rispedisce la palla nel campo di Donald Trump e pone le sue condizioni a un possibile incontro con il presidente americano. Anzi, una condizione, ma pesante. E cioè che gli Stati Uniti tolgano le sanzioni imposte all'Iran dopo il loro ritiro unilaterale dall'accordo sul nucleare nel 2015. «Senza questo passo – ha spiegato in un discorso alla nazione in tv – la porta non potrà essere aperta». Rohani ha anche ribadito che gli iraniani sono un popolo «del dialogo» e che Teheran «non ha mai voluto e mai vorrà la bomba atomica». Ma la condizione posta rischia di stoppare sul nascere il possibile summit, un obiettivo al quale ha lavorato la diplomazia francese, ed Emmanuel Macron in prima persona. Trump ha sempre ribadito che la «massima pressione» serviva proprio a riportare l'Iran al tavolo delle trattative, per un «accordo migliore» di quello raggiunto da Obama. Difficile che si privi in anticipo della sua arma migliore. L'intervento francese è arrivato quando la situazione sembrava sul punto di sfuggire di mano ai duellanti. La crisi delle petroliere, con sabotaggi, abbordaggi e sequestri, ha spinto America e Iran a un passo dal conflitto. A fine giugno i Pasdaran hanno abbattuto un drone spia americano e Trump era «a cinque minuti» dall'ordinare la rappresaglia. Lo stop totale alle esportazioni di petrolio ha messo la Repubblica islamica con le spalle al muro. A maggio, Rohani ha risposto alle pressioni con il ritiro parziale da alcune clausole dell'accordo, su tutte i limiti all'arricchimento di uranio. Il presidente iraniano ha anche avvertito che se «non potremo più esportare petrolio neppure gli altri potranno farlo», mentre i Pasdaran minacciavano di chiudere lo stretto di Hormuz, la giugulare del traffico petrolifero mondiale. Con il Golfo persico trasformato «in una scatola di fiammiferi» era la Francia a fare da pompiere. Dopo un viaggio del ministro degli Esteri Jean-Yves Le Drian a Teheran, ad aprile, il collega Jawad Zarif ha aperto un canale diretto fra Rohani e Macron. Il leader francese ha elaborato una proposta - via le sanzioni in cambio del pieno rispetto del trattato da parte di Teheran - che sperava di far approvare da Trump al G7 di Biarritz. Neanche l'arrivo a sorpresa di Zarif, domenica, ha sbloccato la situazione. In compenso, imboccato da Macron in conferenza stampa, il capo della Casa Bianca ha rivelato di avere «buone sensazioni» e che «nelle prossime settimane» si poteva arrivare a un vertice. Forse all'Assemblea annuale dell'Onu prevista a metà settembre. Rohani si era già speso sul fronte interno per rintuzzare gli oltranzisti e spiegare che un incontro, anche con il nemico americano, era doveroso «nell'interesse della nazione». Sa che ogni colloquio dovrebbe essere approvato dalla Guida suprema Ali Khamenei, che ha già definito eventuali nuovi negoziati un «veleno». Anche per questo Rohani ha posto un paletto difficile da scavalcare, la fine delle «sanzioni ingiuste e illegali». Un segnale al fronte interno: sono pronto a negoziare, ma senza ledere la dignità della Repubblica islamica. La diplomazia però non si ferma. Zarif era impegnato in una missione in Cina e in Giappone. Tokyo ha fatto da ambasciatore fra Iran e Usa, Pechino è fra i firmatari dell'accordo del 2015. Potrebbero affiancare la Francia nel pressing sulla Casa Bianca.

LA STAMPA - Paolo Mastrolilli: "Da Washington avvertimento a Roma: sanzioni se ospita i voli dei Pasdaran"

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Paolo Mastrolilli

Gli Stati Uniti hanno chiesto a tutti i Paesi di negare a Mahan Air un ambiente permissivo sul piano operativo, che essa usa in violazione delle norme sull'aviazione civile, per facilitare le attività maligne del regime iraniano». Questo richiamo all'Italia, che il Dipartimento di Stato condivide con La Stampa, riguarda una compagnia aerea della Repubblica islamica sottoposta a sanzioni dagli Usa, perché è accusata di operare in realtà per la Qods Force dell'Islamic Revolutionary Guards Corps. Di conseguenza il nostro Paese si espone a sua volta al rischio di essere soggetto alle misure di Washington, se non interverrà per bloccare queste operazioni, come peraltro hanno già fatto la Germania nel gennaio scorso e la Francia in marzo. Mahan è una compagnia civile che opera il volo W5140 su Fiumicino, e il volo W5110 su Malpensa, pubblicizzati anche su internet. Il 12 ottobre del 2011 il Treasury Department l'ha sottoposta a sanzioni in base all'Executive Order 13224, perché «provvede sostegno finanziario, materiale e tecnologico alla Qods Force dell'Islamic Revolutionary Guards Corps». In altre parole, è un braccio operativo dei corpi scelti dei pasdaran. Gli americani l'accusano di aver trasportato combattenti stranieri nei Paesi del Medio Oriente, armi e fondi. Mahan è stata usata anche da Qasem Soleimani, potente capo della Qods Force, e gli Usa hanno pubblicato le foto dei suoi aerei che riportavano in Iran i cadaveri dei combattenti della Fatemiyoun Division uccisi in Siria. L'accordo nucleare JCPOA aveva portato all'annullamento delle sanzioni americane, ma l'8 maggio del 2018 il presidente Trump ha cessato la partecipazione all'intesa, e di conseguenza le sanzioni sono tornate in vigore. Ciò significa che i voli di Mahan in Italia violano le misure imposte da Washington. La Stampa aveva chiesto un chiarimento su questo punto al dipartimento di Stato prima dell'inizio del G7 di Biarritz, con cui domandavamo se Roma si esponeva a sua volta alle ritorsioni americane, collaborando con una compagnia sottoposta a sanzioni. Lunedì sera abbiamo ricevuto la risposta. Come prima cosa, un portavoce del Dipartimento di Stato ha fatto questa dichiarazione: «Gli Stati Uniti hanno chiesto a tutti i Paesi di negare a Mahan Air un ambiente permissivo sul piano operativo, che essa usa in violazione delle norme sull'aviazione civile, per facilitare le attività maligne del regime iraniano». Considerando che la domanda riguardava in maniera specifica il comportamento dell'Italia nei confronti della compagnia aerea iraniana, si tratta di un chiaro richiamo alla richiesta già fatta nei mesi scorsi per sospendere i voli. Quanto alle potenziali conseguenze, Foggy Bottom rimanda alla nota pubblicata il 23 luglio scorso dall'Office of Foreign Assets Control dello US Department of Treasury, intitolata «Deceptive Practices by Iran with respect to the Civil Aviation Industry'. Quel documento avvertiva che «le parti dell'industria dell'aviazione civile che si impegnano o sostengono il trasferimento non autorizzato di aerei e beni originati negli Usa, tecnologia, o servizi all'Iran, o che conducono attività con le linee aeree iraniane designate, rischiano sanzioni da parte dell'OFAC». L'Italia non era citata esplicitamente, ma ora la dichiarazione del Dipartimento di Stato chiarisce che collaborando con Mahan si espone alle misure.

LA STAMPA: "La guerra nello Yemen"

L'amministrazione Trump si sta preparando a iniziare colloqui diretti con le forze dei ribelli Houthi in Yemen, sostenute dall'Iran, nel tentativo di mettere fine ad una guerra che dura da quattro anni e che è diventato un fronte volatile nel conflitto con Teheran. Lo scrive il «Wall Street Journal», citando fonti a conoscenza del dossier. Gli Usa stanno cercando di spingere l'Arabia Saudita a partecipare a colloqui segreti in Oman con i leader Houthi per arrivare ad un cessare il fuoco in Yemen. Sul terreno la situazione resta incandescente: le forze della coalizione militare a guida saudita ieri hanno intercettato e abbattuto sei missili balistici lanciati dallo Yemen contro «obiettivi civili» nel sud dell'Arabia.

IL FOGLIO - Daniele Raineri: "Ossessione persiana"

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Daniele Raineri

Roma. Il presidente americano, Donald Trump, ha già provato con Kim Jong Un della Corea del nord l’ebbrezza vertiginosa che danno gli incontri storici e non vede l’ora di ripetere l’esperienza con gli iraniani. Una volta che hai assaggiato l’effetto, i media del mondo in trance che seguono ogni tuo passo, l’effetto atomico sui social media, gli storici costretti a prendere nota – “per la prima volta nella storia”, una frase che ha un potere seduttivo incomparabile – è presumibile che tu ne voglia ancora. Al G7 di Biarritz Trump ha aperto a un incontro con gli iraniani e il presidente francese Emmanuel Macron, che si è trasformato in un abilissimo partner diplomatico della Casa Bianca, da Putin all’Iran e chissà che ritorno vede in questo suo ruolo di facilitatore, ha detto che potrebbe avvenire già “nelle prossime settimane”. Nel frattempo il presidente iraniano, Hassan Rohani, ha risposto che in cambio dell’incontro vuole la fine di tutte le sanzioni e rifiuta di far entrare nell’eventuale negoziato il dossier missili balistici (che è un dossier importante, perché se gli iraniani lavorano ai missili balistici allora il programma atomico ha il potenziale per diventare pericoloso), e sono ostacoli molto grossi. Ma l’impres - sione è che Trump desideri questo incontro tra America e Iran con un appetito irresistibile, sin da quando a giugno fermò gli aerei già in volo per bombardare l’Iran dopo che un missile iraniano aveva abbattuto un sofisticatissimo aereo spia americano in volo sul Golfo. Subito dopo venne fuori che Trump aveva chiesto agli iraniani di parlare attraverso l’Oman, che fa da canale diplomatico, e due giorni dopo davanti ai giornalisti li ha ringraziati per non avere colpito un aereo militare americano che viaggiava sulla stessa rotta dell’aereo spia. Che deve fare di più un presidente per avere un incontro con il leader di un paese nemico? E’ possibile che su tutta la questione pesi molto la fissazione trumpiana per battere Obama. Un accordo di pace con Teheran che congelasse il programma atomico è stato il grande progetto in politica estera di Obama, quello che lui voleva lasciare come eredità al mondo. Pur di ottenerlo è passato sopra a crisi gravissime – per esempio ha deciso di soprassedere sulla guerra civile in Siria sebbene avesse minacciato il regime di non usare armi chimiche contro i civili. E’ una linea rossa che per noi non dev’essere varcata altrimenti interverremo. Fu varcata senza danni, perché Obama non voleva mettere a repentaglio il negoziato con l’Iran. Quando Trump è arrivato alla Casa Bianca ha disfatto l’accordo di Obama, che era costato così tanto. Adesso la sua ambizione nuda è surclassare il suo predecessore, che pensava di passare alla storia grazie ai mesi di trattativa a Ginevra. Trump vuole le bandiere americane e iraniane al vento che fanno da coreografia, vuole i fotografi e i flash, vuole stringere la mano a un leader in turbante mentre gli storici prendono appunti e Obama da casa si chiede dove ha sbagliato – e tutto questo mentre si va verso la campagna elettorale. Certo, c’è il rischio che sul piano dei fatti non ottenga nulla, come sta succedendo con Kim, che lui definisce “un furbetto”. La Corea del nord non è più vicina alla fine del suo programma militare atomico di quanto non lo fosse nel 2017. Il regime iraniano torchiato dalle sanzioni potrebbe avere imparato la lezione, se devono fare scena per accontentare il presidente americano e in cambio otterranno un po’ di sollievo, allora perché no?

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