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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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La Stampa - Il Foglio Rassegna Stampa
06.08.2019 Donald Trump: parole giuste deopo gli attentati suprematisti, ma Claudio Cerasa preferisce demonizzarlo
Cronaca di Francesco Semprini, editoriale del direttore del Foglio

Testata:La Stampa - Il Foglio
Autore: Francesco Semprini - Claudio Cerasa
Titolo: «Trump risponde ai massacri: 'Pena di morte a chi compie reati d'odio e stragi di massa' - Non esiste un terrorismo di serie B»

Riprendiamo oggi, 06/08/2019, dalla STAMPA a pag. 10, con il titolo "Trump risponde ai massacri: 'Pena di morte a chi compie reati d'odio e stragi di massa' ", il commento di Francesco Semprini; dal FOGLIO, a pag. 1, l'editoriale "Non esiste un terrorismo di serie B" di Claudio Cerasa.

Mentre Francesco Semprini si limita a riportare i fatti e le dichiarazioni di Donald Trump dopo i due attentati di matrice suprematista in America, che non risparmiano attacchi a tutti gli attentatori di stragi,  Claudio Cerasa approfitta dell'occasione per attaccare frontalmente Trump.

Cerasa definisce più volte i sostenitori di Trump una "pazza banda di sovranisti xenofobi" e accusa il Presidente americano di "speculare" sulle stragi, provocando indignazione soltanto per quelle causate da terroristi islamisti e non per quelle dei suprematisti bianchi. Cerasa conclude accusando di cecità chi segue il modello di Trump. Non una parola sui risultati raggiunti dalla sua Amministrazione in Medio Oriente, per esempio con il trasferimento dell'Ambasciata americana a Gerusalemme e con la messa in discussione dell'accordo con la teocrazia iraniana voluto dal suo predecessore Obama. Cerasa invece preferisce - nello stile di Giuliano Ferrara - demonizzare chi la pensa diversamente, unendosi al coro contro Trump, da degno seguace del "Pensiero Unico". Contribuisce alla disinformazione anche il SOLE24ORE, che titola "Trump, orrore per le stragi. Ma non cita i limiti alle armi".

Ecco gli articoli:

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Donald Trump

LA STAMPA - Francesco Semprini: "Trump risponde ai massacri: 'Pena di morte a chi compie reati d'odio e stragi di massa' "

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Francesco Semprini

Dopo un weekend di sangue che ha indignato l'America per la brutalità delle stragi a El Paso, in Texas, e Dayton, in Ohio, ennesimo bollettino di guerra dell'America a mano armata, è il presidente degli Stati Uniti a scendere in campo proponendo una timida (e inedita) stretta sulla circolazione di pistole e fucili. L'inquilino della Casa Bianca ha deciso di parlare alla nazione condannando il razzismo, ma mantenendosi convenientemente vago sulla questione della diffusione delle armi: «Con una sola voce la nostra nazione deve condannare il razzismo, il bigottismo e il suprematismo bianco. Queste ideologie sinistre devono essere sconfitte. L'odio non ha posto in America. L'odio deforma la mente, saccheggia il cuore e divora l'anima». Trump invoca l'unità nazionale e chiede che repubblicani e democratici si uniscano per mettere a punto un piano volto a rafforzare i controlli su chi acquista armi. Ma ribadisce: «Sono stati l'odio e i disturbi mentali a sparare, non le armi», ha detto. «L'odio non deve avere posto in America», ha aggiunto, annunciando di aver ordinato al Dipartimento della giustizia di mettere a punto una legislazione che preveda la pena di morte per i crimini d'odio e le stragi di massa. Su Twitter apre a «forti controlli» sulla vendita, auspicando un'alleanza bipartisan che unisca però una legislazione in tal senso a una «riforma dell'immigrazione disperatamente necessaria», perché, spiega, «dai tragici eventi di El Paso e dell'Ohio deve scaturire qualcosa di buono se non di grande». Patrick Crusius, il 21enne killer di El Paso, è da giorni sotto torchio degli investigatori e, secondo indiscrezioni, non mostrerebbe alcun segno di pentimento per la strage in cui ha ucciso 22 persone, la gran parte cittadini messicani e di origine ispanica. Il giovane rischia la condanna alla pena di morte. Gli ex compagni di classe di Connor Bett, il 24enne responsabile della strage di ieri a Dayton, in Ohio, in cui sono morte 9 persone, hanno invece raccontato che il giovane, poi ucciso dalla polizia, era stato sospeso per aver compilato una lista di «persone da aggredire» e un'altra di «ragazze da stuprare». I resoconti di due ex compagni di classe sono emersi dopo che la polizia aveva detto che non c'era nulla nel passato di Bett che gli avrebbe impedito di acquistare il fucile calibro 223 con cui ha aperto il fuoco davanti a un bar affollato. I due giovani hanno riferito all'Associated Press che Bett era stato sospeso durante l'ultimo anno di liceo, in una scuola alla periferia di Bellbrook, dopo il ritrovamento di una lista scarabocchiata nel bagno di una scuola. Il direttore dell'Fbi Chris Wray ha ordinato nel frattempo una vasta operazione su tutto il territorio nazionale per sventare nuove minacce di stragi di massa dopo i massacri di El Paso e di Dayton. La vicenda tuttavia travalica i confini nazionali: il Messico minaccia azioni legali contro gli Usa dopo la strage di El Paso, accusando l'amministrazione Trump di non aver adeguatamente protetto i propri cittadini in quello che il ministro degli Esteri Marcelo Ebrard ha definito «un attacco terroristico contro messicani innocenti». Almeno sette, quelli rimasti uccisi nella sparatoria e nove i feriti. «Il presidente - dice - mi ha chiesto di assicurare che l'indignazione del Messico si traduca in efficaci azioni mirate a ristabilire un'adeguata protezione dei cittadini messicani negli Usa». Da segnalare, infine, l'episodio avvenuto durante un incontro di calcio del campionato statunitense tra le squadre dei Philadelphia Union e dei Dc United. Per festeggiare un suo gol, il capitano del Philadelphia, Alejandro Bedoya, di origini colombiane, si è diretto verso i microfoni di una tv e ha lanciato il suo grido di dolore per El Paso. «Hey, Congresso! Fate qualcosa ora! Ponete fine alla violenza delle armi. Andiamo!».

IL FOGLIO - Claudio Cerasa: "Non esiste un terrorismo di serie B"

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Claudio Cerasa

Ragionare sulla strage della scorsa settimana al El Paso usando la chiave di lettura del rapporto causa-effetto è un modo come un altro di buttare la palla in tribuna, di speculare su un evento traumatico e di mettere un atto di terrorismo al servizio della propria campagna elettorale. Il rapporto causa-effetto applicato al caso di El Paso – dove un ragazzo di 21 anni, subito dopo aver pubblicato sulla rete un manifesto di quattro pagine contro “l’invasione ispanica del Texas”, è entrato con un mitra in un supermercato uccidendo ventuno persone e ferendone almeno ventisei – suggerirebbe di scaricare sull’internazionale sovranista le responsabilità morali della strage texana. Ma il vero argomento che merita di essere messo a fuoco all’indomani del discorso dedicato da Donald Trump alla strage di El Paso (e a quella di Dayton) riguarda un punto particolare, e diverso, che ha a che fare con una chiave di lettura più efficace rispetto a quella pigra della causa-effetto: i teorici dell’effetto senza causa. Per quanto si possa non amare il presidente americano – e la sua pazza banda di sovranisti xenofobi al seguito – bisogna riconoscere che le stragi compiute dai suprematisti bianchi non sono una novità dell’epoca trumpiana (è successo anche ai tempi di Obama, di Bush e di Clinton) e in fondo lo stesso Anders Breivik ha ucciso in nome dell’antimulticulturalismo settantasette persone in Norvegia nel 2011 quando il ciuffo incendiario di Donald Trump era ancora lontano dalla Casa Bianca. Ciò che cambia rispetto al passato è che alla testa del paese-guida del mondo libero vi è un presidente che – pur condannando con forza, come ha fatto ieri, “il razzismo e il suprematismo bianco, ideologie sinistre che devono essere sconfitte” – non sembra interessato fino in fondo a indagare sulle origini del terrorismo suprematista. Di fronte a ogni attentato di matrice islamista, Donald Trump non manca mai di ricordare come sia una vergogna concentrarsi sul problema del terrorismo senza prendere in considerazione il problema dell’islamismo. Al contrario, però, il presidente americano, e la sua simpatica banda di xenofobi al seguito, ogni volta che un suprematista colpisce tende a girare attorno al problema (anche nel potente discorso di ieri la parola terrorismo non è stata mai usata) e tende a individuare nel motore del terrore una qualche ragione diversa dall’ideologia. “A premere il grilletto – ha detto ieri Trump – sono stati odio e instabilità mentale. Le fake news hanno contribuito enormemente ad alimentare una rabbia e una collera montate nel corso di molti anni. Dobbiamo fermare l’idealizzazione della violenza nella nostra società. Ciò include i videogiochi atroci e raccapriccianti che sono ormai all’ordine del giorno. Oggi è troppo facile per i giovani in difficoltà circondarsi di una cultura che celebra la violenza: dobbiamo riconoscere che internet ha fornito una via pericolosa per le menti disturbate radicalizzate”. Stabilire un rapporto causa-effetto tra il suprematismo politico e il suprematismo terroristico è un’operazione spericolata e sbagliata. Ma chiedere, come ha fatto ieri il Wall Street Journal, che i politici che individuano nel lessico dei terroristi alcuni tratti non estranei ai propri lemmi (“Sostituzione”, “invasione”) trattino tutti i terrorismi allo stesso modo è il minimo che si possa pretendere. E per farlo occorrerebbe riconoscere quello che oggi è invece difficile riconoscere. Occorrerebbe riconoscere che i suprematisti non sono necessariamente pazzi, non agiscono necessariamente per frustrazione, non si muovono necessariamente come lupi solitari, non attaccano necessariamente in modo casuale, non sono necessariamente spinti all’omicidio dai videogiochi, ma uccidono persone sulla base di un’ideologia condivisa, globale, transnazionale, interconnessa, violenta che negli ultimi anni, in America, ha fatto più morti del terrorismo islamista. E i numeri in fondo parlano da soli. L’Fbi ha affermato di aver effettuato cento arresti legati al terrorismo interno negli ultimi nove mesi. L’Anti-Defamation League, nei giorni scorsi, ha ricordato che gli omicidi dei suprematisti bianchi negli Stati Uniti sono più che raddoppiati nel 2017, con gruppi estremisti di estrema destra e suprematisti bianchi che si sono resi responsabili del 59 per cento degli omicidi legati all’estremismo nel 2017, contro il 20 per cento dell’anno prima, e ha aggiunto che nel 2018 è stato registrato un aumento del 182 per cento della propaganda dell’odio rispetto all’anno precedente. Qualche mese fa l’Europol, l’agenzia di contrasto al crimine dell’Unione europea, ha calcolato che gli arresti degli estremisti di destra in Europa sono quasi raddoppiati nel 2017 rispetto al 2016. Lo scorso marzo, in Nuova Zelanda, pochi mesi dopo la strage di un suprematista bianco in una sinagoga di Pittsburgh, un fanatico bianchi è entrato in due moschee a Christchurch uccidendo 49 persone e il terrorista di Christchurch ha scritto che si è ispirato a un’altra serie di attacchi di suprematisti bianchi compiuta negli anni passati in Norvegia, negli Stati Uniti, in Italia, in Svezia e nel Regno Unito – secondo un’indagine del New York Times, “almeno un terzo dei killer estremisti bianchi dal 2011 sono stati ispirati da altri che hanno perpetrato attacchi simili, hanno professato rispetto per loro o hanno mostrato interesse per le loro tattiche”. Le motivazioni di queste stragi sono varie e sono spesso troppo contorte per essere ordinate in unico rigido schema. Il razzismo, la xenofobia, il suprematismo non nascono con Trump, lo sappiamo, ma gli amici di Trump devono ricordarsi che per tenere ben distinta la causa dall’effetto è bene ricordarsi di essere contro il suprematismo anche i giorni prima di una strage e non solo i giorni dopo. Il dramma del nuovo vecchio terrorismo non è internet, non sono le fake news, non sono i giornali, non sono le pistole ma sono i pistola che giocando con il terrorismo di serie A e quello di serie B e si rifiutano ogni giorno di guardare in faccia la realtà.

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