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La Stampa - Il Foglio Rassegna Stampa
19.07.2019 Usa, ancora accuse insensate di 'razzismo' contro Donald Trump
Cronaca di parte di Paolo Mastrolilli, la faziosità di Paola Peduzzi

Testata:La Stampa - Il Foglio
Autore: Paolo Mastrolilli - Paola Peduzzi
Titolo: «Trump si smarca dalla sua base: no ai cori contro la deputata Omar - Così il mondo conservatore americano cerca una legittimità a 'send her back'»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 19/07/2019, a pag.16 con il titolo "Trump si smarca dalla sua base: no ai cori contro la deputata Omar" il commento di Paolo Mastrollilli; dal FOGLIO, a pag. 1, con il titolo "Così il mondo conservatore americano cerca una legittimità a 'send her back' ", il commento di Paola Peduzzi.

A destra: Donald Trump e le quattro deputate estremiste

Anche oggi, dopo gli articoli dei giorni scorsi(http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=6&sez=120&id=75303) Paolo Mastrolilli tiene conto soltanto della versione di chi attacca Donald Trump, dando legittimità alle assurde accuse di "razzismo" contro il Presidente americano.

Fa peggio Paola Peduzzi, che nel suo pezzo ignora l'odio contro Israele manifestato da una delle quattro. Peduzzi scrive di "retorica trumpiana", che farebbe presa sulla "pancia americana", e "nazionalismo bianco". Non si arresta la crociata del Foglio, contro il Presidente americano.

Ecco gli articoli:

LA STAMPA - Paolo Mastrollilli: "Trump si smarca dalla sua base: no ai cori contro la deputata Omar"

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Paolo Mastrolilli

La polemica per i tweet razzisti sta sfuggendo di mano al presidente Trump, se persino il suo alleato britannico Boris Johnson decide di condannarli come «totalmente inaccettabili». Ieri infatti il capo della Casa Bianca ha fatto una mezza marcia indietro, dicendo di non aver apprezzato le urla del pubblico al suo comizio di mercoledì sera in North Carolina, che chiedevano di «rimandare indietro» la deputata di origini somale Omar. Aldilà della sincerità del suo "pentimento", i sondaggi nel frattempo dicono che la popolarità di Trump è aumentata negli ultimi giorni, soprattutto nella sua base repubblicana, e quindi sul piano elettorale la sua strategia della divisione sta funzionando.

Le urla al comizio
Il presidente aveva attaccato via Twitter Alexandria Ocasio, nata a New York ma di origini portoricane; Ayanna Pressley, nata a Cincinnati da una famiglia afro-americana; Rashida Tlaib, nata a Detroit da una famiglia palestinese; e Ilhan Omar, nata a Mogadiscio, in Somalia. Aveva detto che invece di criticare gli Usa, dovrebbero tornare nei loro paesi ad aggiustare i rispettivi governi. La Camera ha risposto approvando una risoluzione di condanna di questi messaggi, definendoli razzisti. Mercoledì sera Trump ha tenuto un comizio in North Carolina, e il pubblico lo ha interrotto urlando «send her back», cioè mandala indietro. Un chiaro riferimento a Omar, per uno slogan che sta prendendo il posto del «lock her up» usato contro Hillary nel 2016. La First Lady Melania e la figlia Ivanka hanno reagito col silenzio, ma oltre a quella di Boris Johnson, alcune voci critiche cominciano ad alzarsi anche tra i repubblicani. Perché era stato il presidente Lincoln ad avvertire che «una casa divisa contro sé stessa» non può stare in piedi, e chiedere di rimandare nel suo paese una cittadina americana eletta in Congresso contraddice i valori fondanti degli Usa. Ieri Trump ha reagito dicendo che «non ho condiviso quelle urla e ho cercato di fermarle». Così però ha contraddetto la realtà, per almeno due motivi. Primo, quelle urla erano una citazione quasi letterale dei suoi tweet, in cui aveva detto che le deputate progressiste democratiche dovevano tornare da dove erano venute. Secondo, perché le immagini televisive provano che il presidente ha taciuto per 13 secondi, lasciando quindi che le grida «send her back» si ripetessero. In realtà il capo della Casa Bianca pensa che così sta costringendo i democratici a scegliere la strada dell'estremismo, che pagheranno alle elezioni dell'anno prossimo. Infatti la sua popolarità è salita, da quando ha scatenato questo nuovo scontro.

IL FOGLIO - Paola Peduzzi: "Così il mondo conservatore americano cerca una legittimità a 'send her back' "

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Paola Peduzzi

Roma. “Send her back”, mandatela a casa sua, cantava la folla, “send her back”, le ultime tre parole che danno il ritmo al trumpismo, dopo il “lock her up” degli inizi, rivolto a Hillary Clinton (imprigionatela), e il grande classico, “build the wall”, fate il muro, il mantra per tutte le stagioni. “Send her back” è stata la risposta del pubblico che si è ritrovato mercoledì sera all’East Carolina University di Greenwall quando il presidente americano, Donald Trump, ha detto, parlando degli “ideologi di sinistra che vedono il nostro paese come una forza del male”: “Ho un consiglio per questi estremisti pieni d’odio che cercano costantemente di tirar giù il nostro paese. Non amano il nostro paese. Penso anzi che in alcuni casi lo odino. E allora sapete cosa? Se non lo amano, dite loro di andarsene, fateli andare via”. Gli estremisti pieni d’odio sono quattro deputate democratiche, meglio conosciute come “The Squad”, Alexandria Ocasio-Cortez, Rashida Tlaib, Ayanna Pressley e Ilhan Omar (era con lei che ce l’aveva in quel momento Trump: “Send her back” era per la Omar), che da giorni sono l’obiettivo della retorica trumpiana. Devono tornarsene a casa loro, ripete il presidente, che pure ieri ha detto di non essere d’accordo con “send her back”, ma casa loro è l’America – anche la Omar, l’unica delle quattro a non essere nata sul suolo americano, è cittadina dal 2000 – e quindi il motivo per cui non “appartengono all’America” è che non hanno la pelle bianca. Nazionalismo bianco: da quando il trumpismo è il volto degli Stati Uniti, questa ideologia scandisce la battaglia culturale del paese, al punto che qualche giorno fa Kellyanne Conway, consigliera della Casa Bianca, ha risposto a un giornalista che le chiedeva conto delle parole del presidente: “Ma tu di che etnia sei?”. Ora questa è una domanda plausibile. Il Partito repubblicano, che ha smesso di combattere Trump, è un po’ indignato e un po’ preoccupato, ma senza enfasi. Alcuni intellettuali conservatori si interrogano su come passerà alla storia una compagine politica che ha deciso di assecondare l’istinto “bianco” della cosiddetta pancia americana, e trovano soltanto risposte impietose: “Quando tutto ciò sarà finito, nessuno oserà nemmeno ammettere di aver sostenuto questa roba”, ha scritto David Frum. Ma molta parte dei conservatori sta perlustrando avida la strada della legittimazione intellettuale del nazionalismo bianco. Al RitzCarlton di Washington, si è svolta la National Conservatism Conference, in cui si sono incontrati esponenti di diverse filosofie interne al mondo conservatore: l’incontro esemplificativo è stato quello tra John Bolton, consigliere per la Sicurezza nazionale superinterventista, e Tucker Carlson, anchorman di Fox News è contro gli interventi e a favore dell’appease - ment con i dittatori: quando il presidente americano ha superato il confine nordcoreano e ha stretto la mano a Kim Jong Un, Carlson era nella delegazione, mentre Bolton era stato spedito in Mongolia. Le divisioni tradizionali sono state liquidate in fretta, così come il “presunto razzismo” di Trump: “E’ un argomento così noioso – ha detto Carlson – Senza prospettive. Non può essere risolto, non può essere cambiato”. Quel che si è cercato di trovare, in questo consesso, è stata una definizione della ideologia che vuole compattare il conservatorismo attuale: il nazionalismo. C’è chi ci mette più bianco e chi meno, ma ecco: è nazionalismo bianco. Così anche riascoltare Ronald Reagan, regista di una delle stagioni più entusiasmanti del conservatorismo americano, è diventato un mestiere da nostalgici, o da antitrumpiani o addirittura da liberal, paradosso assoluto. Ma una frase dell’ultimo discorso dell’ex presidente risuona oggi come un contraltare del “send her back” del popolo trumpiano, la dimostrazione che certi istinti vanno governati e non assecondati, è per questo che eleggiamo i nostri leader: per migliorarci. La frase è questa: “Guidiamo il mondo perché, unici fra tutte le nazioni, riceviamo forza da ogni paese e da ogni angolo del mondo. Se chiudessimo la porta a nuovi americani, la nostra leadership nel mondo andrebbe perduta”. Reagan, un noto ideologo di sinistra, estremista pieno d’odio.

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