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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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La Stampa - Il Foglio Rassegna Stampa
10.05.2019 Venezuela, l'appello di Juan Guaidó all'Italia
Paolo Mastrolilli intervista Juan Guaidó, commento di Daniele Raineri

Testata:La Stampa - Il Foglio
Autore: Paolo Mastrolilli - Daniele Raineri
Titolo: «'Ora vorrei parlare con Conte per spiegargli il nostro dramma' - Duro Maduro»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 10/05/2019, a pag. 8  con il titolo 'Ora vorrei parlare con Conte per spiegargli il nostro dramma', l'intervista di Paolo Mastrolilli a Juan Guaidó; dal FOGLIO, a pag. 1-4, con il titolo "Duro Maduro" il commento di Daniele Raineri.

Ecco gli articoli:


Juan Guaidó

LA STAMPA - Paolo Mastrolilli: "Il regime tenuto in vita da soldati e 007 cubani"

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Paolo Mastrolilli

Se gli americani proponessero adesso l’intervento militare, probabilmente lo accetterei». Sono ore drammatiche, quando il presidente incaricato del Venezuela Juan Guaidó mi riceve nella sede del partito Voluntad Popular. La Corte Suprema ha incriminato sette deputati per gli eventi del 30 aprile, e poco dopo il nostro incontro la polizia politica Sebin arresterà il vice presidente dell’Asamblea Nacional, Edgar Zambrano, per fare terra bruciata intorno a Guaidó. Uno dei ricercati, Mariela Magallanes, è rifugiata nella casa dell’ambasciatore italiano, e domani ci sarà una nuova protesta.
Vorrebbe parlare con il premier Conte, che non l’ha ancora riconosciuta, per spiegare la drammaticità della situazione?
«Si, se è interessato a capire l’emergenza. Questo ormai è terrorismo di Stato contro il Parlamento, che l’Italia riconosce».
Roma non riconosce né la rielezione di Maduro, né la sua presidenza ad interim. Così si apre uno spazio per mediare, o chiude le porte alla sua presenza nel futuro Venezuela?
«L’Italia riconosce il Parlamento nazionale, e me come suo presidente. La nostra Costituzione affida al presidente del Parlamento di gestire la transizione, in casi come questi. Poi abbiamo una forte comunità italo venezuelana, che sta vivendo un dramma, e ciò rappresenta un elemento aggiuntivo importante».
È noto che in passato il governo chavista ha dato aiuti economici all’estero, per ottenere appoggio. È possibile che anche il sostegno dei Cinque stelle a Maduro dipenda da questo?
«Non ci sono dubbi che il chavismo ha investito denaro venezuelano per finanziare molti processi elettorali, e ricevere in cambio appoggio diplomatico all’estero. Un caso emblematico è quello di Correa in Ecuador, ma è successo anche in Argentina, Nicaragua, Bolivia, Cuba, usando il petrolio di Pdvsa. Ho prove che sia accaduto anche con i Cinque stelle? No. Ma si può dire che è una pratica usata dal regime, tanto Chavez, quanto Maduro».
Se diventerà presidente, l’Italia rischia di essere estromessa?
«È una domanda interessante, ma noi non avremo alcun tipo di risentimento. Il Venezuela ha subito venti anni di governo del risentimento e dell’odio: noi non ci comporteremo così, la nostra filosofia sarà il servizio e l’amore».
La settimana scorsa i vescovi venezuelani hanno inviato un lettera privata al Papa per la transizione. Cosa può fare Francesco?
«Il Papa è un leader spirituale mondiale. E’ una figura di grande rilevanza, e la sua statura morale può avere un effetto in Venezuela. La situazione è chiara: c’è una crisi umanitaria senza precedenti, riconosciuta dall’Onu. Cosa si può fare? Non permettere che diventi la normalità. Alcune regioni sono nelle mani dalla guerriglia colombiana Eln, ci hanno convertiti in una pista del narcotraffico. Bisogna facilitare la transizione».
Il regime chavista è complice del narcotraffico?
«Stiamo ai fatti. Due nipoti della First Lady del Paese sono stati condannati per narcotraffico negli Usa. Un aereo della Air France è stato intercettato con a bordo una tonnellata di droga. Come può avvenire una cosa simile, senza la complicità delle autorità? Il governo facilita il narcotraffico in Venezuela».
Gira voce che avete incontrato i diplomatici russi a Caracas, per facilitare un accordo tra loro e gli Usa.
«Parliamo con tutti i Paesi disposti a collaborare per la cessazione dell’usurpazione. La Russia ha interessi e contratti in Venezuela, e li rispetteremo, perché siamo gente seria. Lo stesso vale per la Cina, e chiunque voglia favorire soluzione reale».
È disposto ad accettare un governo di transizione neutrale, con o senza lei e Maduro, per tenere le elezioni tra 8 o 9 mesi?
«Il percorso costituzionale mi abilita come presidente incaricato, ma siamo favorevoli a qualunque processo che porti un cambio».
Invocherà l’articolo 187 della Costituzione per chiedere l’intervento militare esterno?
«È una possibilità. La strada che abbiamo indicato è quella delle elezioni, però la gente soffre e dobbiamo considerare tutto con responsabilità».
Un intervento con truppe Usa, o di Paesi vicini?
«L’unico intervento militare in corso in Venezuela è quello cubano. Non dobbiamo confondere i mezzi con gli obiettivi: l’obiettivo è la pace, ma il tempo stringe perché, la gente muore».
Se gli Usa le dicessero di agire ora, cosa risponderebbe?
«Se l’intervento desse una soluzione alla crisi, probabilmente lo accetterei».
Il gruppo di contatto Ue propone di inviare una missione politica.
«Il dialogo è un meccanismo, non un obiettivo: servirebbe solo se portasse alle elezioni».
Dunque niente mediazioni come quella dell’ex premier spagnolo Zapatero: l’obiettivo deve essere fissare la data del voto.
«Esattamente».
Altri militari sono pronti a schierarsi con voi?
«Ce ne saranno altri, lo sappiamo. Le nostre comunicazioni con loro continuano, perché avranno un ruolo fondamentale nella ricostruzione del Venezuela».
L’insurrezione tentata lo scorso 30 aprile potrebbe ripetersi con un esito diverso?
«Avremo più opportunità, perché molti venezuelani si stanno unendo alla Operación Libertad».

IL FOGLIO - Daniele Raineri: "Duro Maduro"

Donald Trump agisce, altri parlano. Questa è la nuova politica di Washington, da cui anche l'Italia avrebbe molto da imparare. Questo vale anche per il Foglio, con la sua ostinazione verso Trump, fuori luogo su un quotidiano serio.

Ecco l'articolo:

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Daniele Raineri

Il presidente americano Donald Trump si lamenta in privato con i suoi di essere stato ingannato sulla situazione reale in Venezuela, dove credeva che sarebbe stato molto più facile rimpiazzare il leader chavista Nicolás Maduro con una figura dell’opposizione, scrive il Washington Post in un pezzo firmato da quattro giornalisti. Trump ora mette in discussione la strategia molto aggressiva degli Stati Uniti e incolpa soprattutto il suo consigliere per la Sicurezza nazionale, John Bolton, che secondo il presidente “ci vuole trascinare in guerra”. La delusione arriva dopo che la settimana scorsa un piano americano per convincere due figure chiave del regime venezuelano ad abbandonare Maduro e l’esercito a marciare verso il palazzo assieme con l’opposizione per incoronare come leader temporaneo Juan Guaidó è finito in un nulla di fatto. Questo tipo di manovre per riuscire ha bisogno di raggiungere una massa critica, di un consenso così vasto e condiviso da far apparire la fine dei chavisti come inevitabile. Invece il piano è stato un fallimento, l’opposizione si chiede se i rapporti con gli americani siano davvero un vantaggio nella lotta politica e Maduro è un “tough cookie”, dice ora Trump, è un tipo più duro di quanto pensassimo. Nell’elogio a Maduro si percepisce il cambio di sentimento del presidente americano verso la leadership venezuelana che sa dominare la folla o perlomeno incute ancora abbastanza timore da riuscire a contenere le proteste.


Pro e contro il dittatore Maduro

Come dimenticare di quando Trump cambiò tono con il dittatore nordcoreano Kim Jong Un e lo definì uno “smart cookie”? Fu il momento in cui dagli insulti passò alle aperture. Se sei una canaglia coriacea e sei appoggiato da Vladimir Putin – e il venezuelano Maduro soddisfa entrambi questi requisiti – è possibile che Trump cominci a guardarti con ammirazione. L’idea di un colpo facile in Venezuela è ormai svaporata e adesso gli stessi diplomatici americani sentiti dal Washington Post dicono che sarà una crisi “a lungo termine”, quelle che meno piacciono al presidente americano – anche se si parla della fine di un regime che dispone di riserve petrolifere immense ma ha ridotto il paese alla fame. Nello scontento di Trump si sente anche l’impulso fortissimo che lo spinge a sganciare l’America dagli affari del mondo. A dicembre annunciò un ritiro totale dei duemila soldati americani dalla Siria – per la verità quel ritiro dev’essersi in qualche modo interrotto perché i soldati sono ancora in Siria – e l’Amministrazione sta negoziando con i talebani per ritirarsi in fretta anche dall’Afghanistan. Il piano per cacciare Maduro sembrava rapido e allettante, tanto da giustificare un’eccezione alla linea trumpiana del disimpegno totale. Ora che i tempi si allungano e che si rimediano umiliazioni internazionali, il presidente americano potrebbe essere tentato di tornare alla sua impostazione di default: facciamoci i fatti nostri. Il consigliere per la Sicurezza nazionale Bolton ha da sempre altre idee sul ruolo dell’America nel mondo, molto diverse e interventiste dall’Iran al Venezuela, e sebbene il suo posto non sia considerato a rischio dagli insider di Washington esce ridimensionato agli occhi di Trump dalla cilecca nella campagna venezuelana. Bolton si è molto esposto contro Maduro, dice che il venezuelano ora vive in un bunker tormentato dal sospetto di essere circondato da traditori e gli ha intimato di abbandonare il paese per ritirarsi su qualche spiaggia tropicale, ma questa retorica suona vuota. Maduro non perde tempo, il fallimento della marcia che avrebbe dovuto spodestarlo gli offre la chance di aggredire gli oppositori. Martedì l’Assemblea costituente in mano ai chavisti ha revocato l’immunità parlamentare a sette politici vicini a Guaidó e mercoledì il servizio di sicurezza fedele a Maduro, il Sebin, ha arrestato Edgar Zambrano, il vice di Guaidó. Quando Zambrano si è rifiutato di scendere dalla macchina, gli agenti hanno agganciato il veicolo a un carro attrezzi e lo hanno portato via. La Corte suprema, controllata da Maduro, accusa lui e altre nove figure dell’opposizione di tradimento, complotto e ribellione. L’Amministrazione Trump ha avvertito di non meglio specificate “conseguenze” se non sarà liberato, ma non è chiaro a cosa si riferisca. Se gli uomini che guidano le proteste cominciano a essere arrestati e neutralizzati, il campo di manovra dell’opposizione a Maduro si restringe.

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